Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53400 del 10/10/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 53400 Anno 2017
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: CAIRO ANTONIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
KRAHULEC MICHAL nato il 05/03/1990 a VELKI KRITIS( REP. SLOVACCA)
DRIDI AHMED nato il 11/12/1993 a LA MARSA( TUNISIA)
BILANI KARLO nato il 14/01/1994 a KARLSRUE DURLECH( GERMANIA)
KROCKA MARTIN nato il 19/04/1982 a PARTIZANSKE( REP. SLOVACCA)

avverso la sentenza del 12/04/2016 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO CAIRO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA
CASELLA
che ha concluso per
Il PG chiede l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Udito il difensore
E’ presente l’avvocato MONDUCCI JURI del foro di BOLOGNA in difesa di:
KRAHULEC MICHAL anche in sostituzione dell’avv.to Massimo Landi del foro di
Lucca per BILANI KARLO e dell’avv.to Claudia Selmi del foro di Lucca per la
posizione di AHMED DRIDI, giusta delega depositata in udienza. Si riporta ai
motivi dei ricorsi e ne chiede l’accoglimento.

Data Udienza: 10/10/2017

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Genova, con sentenza in data 12 aprile 2016,
confermava la decisione emessa dal Giudice per l’udienza preliminare del medesimo
Tribunale con cui kraulech Michal, Krocka Martin, Ahmed Dridi e Bilani Karlo erano
stati dichiarati colpevoli dei reati ascritti, previa esclusione della circostanza
aggravante dei motivi abietti e futili e, ritenuta per kraulech Michal la recidiva
infraquinquennale, concesse le circostanze attenuanti generiche, equivalenti alle
aggravanti per Didri e Bilani, con la continuazione e la diminuente del rito

– kraulech Michal, anni undici mesi due di reclusione ed euro 100 di multa;
– Krocka Martin, anni dodici giorni sedici di reclusione ed euro 100 di multa;
Ahmed Dridi e Bilani Karlo anni sette mesi nove giorni dieci di reclusione ed
euro 100 di multa ciascuno,
oltre pene accessorie e statuizioni civili.
Riteneva la Corte territoriale provata la contestazione di tentato omicidio in
concorso, poiché gli imputati, armatisi di mazze, bastoni e tubi innocenti, si erano
portati il 25/1/2014, in Genova alla Piazza Piccapietra, ove dormivano i “senza
tetto”, Bobak Jan, Velochova Alice, Jonas Koloman e Jonosova Zuzana. La prima
coppia era riparata da giacigli di cartone e, l’altra, da una tenda. Giunti sul posto,
gli imputati colpivano reiteratamente le persone offese e così ponevano in essere
un’azione idonea a produrre l’evento lesivo, senza riuscire nell’intento per cause
estranee al loro volere.
L’azione procurava alle vittime lesioni significative. Bobak Jan riportava una
frattura della teca cranica guaribile in 30 giorni s.c., con necessità, tuttavia, di
preventiva sottoposizione a un delicato intervento chirurgico; Velochova Alice,
riportava lesioni guaribili in giorni 42, derivatele da una frattura scomposta
pluriframmentraria; Jonas Koloman ancora, subiva lesioni ritenute guaribili in
giorni 30, derivategli dalle fratture descritte nei referti in atti e Jonosova Zuzana
riportava esiti giudicati guaribili in giorni 40 s.c. al pari collegati alle fratture
indicate nei referti.
2. Ricorrono per cassazione a mezzo dei rispettivi difensori gli imputati e
deducono quanto segue.
2.1. Ahmed Dridi lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione.
Afferma che erroneamente la Corte territoriale non aveva riqualificato il fatto come
lesioni aggravate e aveva, piuttosto, ribadito il ragionamento del primo giudice,
valorizzando indicatori equivoci in funzione della prova del dolo del delitto di
omicidio tentato. In questa logica si erano richiamate le armi impiegate e la
localizzazione dei colpi. I mezzi utilizzati erano, tuttavia, più adatti a ferire che a
cagionare la morte delle persone offese ed anche la mazza da baseball, che era un
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t,i

abbreviato erano state inflitte, in particolare, le seguenti condanne nei confronti di:

souvenir di viaggio e non risultava idonea a dimostrare l’indicato aninus necandi.
Se, invero, l’intento fosse stato quello di uccidere gli autori si sarebbero procurati
altre armi e non avrebbero fatto uso di quelle che avevano recuperato in itinere e
nei pressi di un cantiere. Uno degli imputati, del resto, deteneva un’arma bianca
che non aveva utilizzato per il delitto, aspetto su cui la stessa Corte territoriale
aveva reso una motivazione inappagante.
I distretti corporei attinti, nonostante la brutalità dell’aggressione, non erano
poi conosciuti direttamente dagli aggressori. Le vittime, infatti, risultavano coperte

fossero stati diretti o meno verso distretti vitali. Erroneo era stato, pertanto, il
riferimento all’istituto dell’aberratio, categoria non rilevante nella specie e richiamo
non pertinente da parte del giudice a quo.
2.2. Contraddittoria risultava, ancora, la motivazione sul trattamento
sanzionatorio.
L’azione risultava coerente con quanto avevano riferito gli imputati: tutti
intendevano rispondere ai torti che aveva subito il Krauleck, ponendo in essere,
tuttavia, un gesto violento, ma solo lesivo.
Le stesse immagini videoriprese restituivano l’azione brutale posta in essere
senza affatto dare conto del dolo d’omicidio, contrariamente ritenuto dalla Corte
territoriale. Piuttosto, sì enucleava un quadro compatibile con la volontà lesiva
avendo, appunto, gli imputati interrotto spontaneamente l’azione ed essendosi
allontanati dai luoghi. Si era, dunque, omessa di prendere in considerazione
l’ipotesi che ricorresse la desistenza di cui all’art. 56 comma 3 cod. pen..
3. Ricorre per cassazione Krocka Martin e lamenta quanto segue.
3.1. Con il primo motivo si duole della erronea qualificazione giuridica del fatto
e del ritenuto dolo alternativo. In particolare la condotta sarebbe stata recuperabile
alla fattispecie lesiva e la Corte territoriale non aveva dato adeguato conto delle
ragioni che l’avevano indotta ad escludere la indicata qualificazione, ritenendo il
tentato omicidio.
Non si era correttamente valutato il mancato uso del coltello, da parte di uno
dei coimputati, che pure disponeva dell’arma; la circostanza che le lesioni
riguardassero distretti corporei non vitali (braccia e mani) e che solo una delle
vittime aveva riportato un trauma cranico. Quelli indicati erano dati egualmente
trascurati unitamente alla durata dell’aggressione, che era stata breve, nel suo
dipanarsi, snodatosi in appena venti secondi.
3.2. Erroneamente era stato ritenuto il dolo alternativo, là dove pacificamente
ricorreva al più un’ ipotesi di dolo eventuale, incompatibile con il tentativo.
4. Ricorre per cassazione Bilani Karlo e lamenta la violazione di legge e il vizio
di motivazione.
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da ripari di fortuna e dalla tenda; i colpi erano stati sferrati senza rendersi conto se

4.1. Si duole della erronea qualificazione giuridica della condotta, essendo stato
ritenuto il delitto di omicidio tentato in luogo della condotta di lesioni, oltre che del
mancato riconoscimento della desistenza.
Non si sarebbe potuto prescindere dal movente del delitto; esso si iscriveva in
un contrasto che il Kraulech aveva avuto qualche giorno prima dei fatti con il
Koloman, per il controllo dei luoghi ove chiedere l’elemosina. All’esito, il primo
aveva chiesto aiuto ai ricorrenti, per vendicare l’affronto subito. La Corte territoriale

il primo, né il secondo Giudice avevano, tuttavia, considerato che il Kraulech aveva
con sé un coltello che non aveva utilizzato. Questo dato escludeva la volontà
omicida. Se avessero inteso uccidere, infatti, i concorrenti avrebbero utilizzato il
coltello e la spiegazione data dalla Corte territoriale non era appagante poiché non
teneva presente che l’aggressione era avvenuta mentre le vittime dormivano.
Il ragionamento della Corte territoriale risultava, ancora, illogico nella parte in
cui aveva ritenuto, quanto ai distretti corporei attinti, che il capo fosse parte
anatomica del corpo facilmente distinguibile anche nell’ipotesi in cui il soggetto
avesse avuto addosso le coperte. Del resto, le lesioni procurate agli arti erano
frutto, a giudizio del ricorrente, della diversa posizione assunta da aggressori e
vittime. Mentre i primi erano in piedi le vittime erano sdraiate e ciò attestava
l’elevata probabilità che le lesioni agli arti non fossero frutto di esiti legati ad azioni
finalizzate a colpire il capo, ma di colpi inferti direttamente in quei distretti del
corpo.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente si sofferma sulla desistenza. Emergeva
dagli atti, afferma, che gli aggressori avevano spontaneamente desistito dall’azione
e ciò a prescindere dallo stesso intervento della guardia giurata sopraggiunta che
aveva, appunto, dichiarato al momento del suo arrivo che erano già in fuga.
5. Ricorre per cassazione kraulech Michal e lamenta il vizio di motivazione e la
violazione di legge; la Corte territoriale non aveva considerato che il delitto
commesso era stato erroneamente qualificato giuridicamente. Si trattava di un fatto
di lesioni e non del tentativo di omicidio ritenuto. In particolare, la Corte territoriale
non aveva considerato che gli aggressori non avessero alcun interesse a fuggire dal
luogo del delitto, poiché alcuno stava sopraggiungendo. La Corte aveva ritenuto che
gli imputati si fossero allontanati dal posto perché avevano eseguito quanto
ritenevano di compiere, ma ciò contrastava con il fatto che le vittime stesse
fossero sul luogo e urlassero, ciò a dimostrazione che l’allontanamento era
avvenuto, perché lo scopo era quello di ledere e non quello di uccidere.
Diversamente non avrebbero lasciato la scena del delitto.
Anche le armi impiegate per l’organizzazione attestavano che si trattava di
oggetti indiscutibilmente offensivi, ma che non
4

P

dimostravano ipso facto

la

aveva posto l’accento sui mezzi commissivi del delitto e sulla relativa micidialità. Né

sussistenza della finalità omicida. Tutti erano stati chiamati dal ricorrente per
andare a picchiare e non per uccidere; si erano dotati di strumenti che
supportavano un’azione finalizzata al cd. corpo a corpo e non all’omicidio. Non
condivisibili erano le conclusioni raggiunte sull’assunzione di cannabinoidi per
procedere all’omicidio stesso, sostanze che non avrebbero assunto, secondo i
giudici territoriali, là dove gli imputati avessero solo inteso colpire con altra finalità
di mera lesione. Si sarebbe, pertanto, dovuta riqualificare la fattispecie nel delitto di

OSSERVA IN DIRITTO

I ricorsi sono infondati e devono essere respinti per quanto si passa ad
esporre.
1. I motivi di doglianza, sviluppati nei diversi atti di impugnazione, sia pur con
talune sfumature e divergenze, risultano sovrapponibili e possono essere trattati
congiuntamente.
1.1. Tuttiiricorrenti, invero, pur richiamando aspetti in parte e marginalmente
diversi, hanno rimesso alla Corte di legittimità il tema della corretta qualificazione
giuridica dei fatti, invocando una lettura diversa degli eventi, tale da ricondurre la
condotta plurisoggettiva al delitto di lesioni aggravate e non al ritenuto tentativo di
omicidio. In questa logica sono stati valorizzati diversi indicatori fattuali, idonei
secondo le rispettive prospettazioni a documentare che gli imputati avessero agito
animo laedendi e non necandi.

Nella prospettiva di ciascuno dei ricorrenti si è, pertanto, ritenuto che si
sarebbe potuto configurare, eventualmente e al più, il solo dolo eventuale,
incompatibile con il tentativo di omicidio e non quello diretto, sia pur nella forma
alternativa che, al contrario, era stato ritenuto dalla Corte territoriale, nel
confermare il giudizio espresso dal primo decidente.
In questa logica i diversi ricorsi valorizzano essenzialmente dati convergenti
in funzione dell’esclusione del dolo d’omicidio e, tra questi, in particolare, il
mancato uso di un coltello, di cui il gruppo disponeva, la particolarità dei mezzi
offensivi; la posizione delle vittime che si presentavano coperte e con i corpi non
direttamente visibili agli aggressori; la durata dell’azione di aggressione,
eccessivamente breve e il tipo di lesioni prodotte all’esito dello scontro.
Ebbene deve premettersi che attraverso i motivi di ricorso per cassazione non
è permesso prospettare censure di merito, già sottoposte alla Corte territoriale, che
le abbia puntualmente esaminate e confutate, con motivazione immune da
illogicità manifesta o contraddittorietà. Ciò specie allorquando si pretende di offrire
una lettura alternativa dei dati probatori, secondo la prospettazíone difensiva,
ritenuta più coerente e plausibile di quella cui abbiano contrariamente aderito i
giudici di merito.
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cui all’art. 583 comma 1 cod. pen.

Le argomentazioni sviluppate si risolvono, nella specifica vicenda, in buona
parte, in una richiesta di rivalutazione del quadro probatorio già scrutinato,
chiamando solo in apparenza la Corte di legittimità a statuire sulla qualificazione
giuridica del fatto e sottoponendo, al contrario, un’ipotesi alternativa nella lettura
dei fatti. Ciò accade senza enucleare, tuttavia ed effettivamente, punti di illogicità
manifesta della decisione o nodi di contraddittorietà di essa. Si critica, al contrario,
attraverso ponderazioni di puro merito, la conclusione cui è giunto il Giudice

Si tratta, a ben vedere, di un meccanismo di devoluzione impugnatoria
inammissibile nel giudizio di legittimità. Esula, invero, dai poteri della Corte di
cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza
che possa integrare il vizio di legittimità la mera proposizione di una diversa, e per
il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte, v. Sez.
U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv.207944).
1.2. Nella specie la Corte d’appello ha spiegato in maniera convincete le
ragioni per le quali non potesse ascriversi al mancato uso del coltello un rilievo
assorbente in funzione dell’esclusione del dolo d’omicidio.
Si legge come quella determinazione si legasse ad una forma di garanzia di
incolumità per il medesimo aggressore. Essa evitava a costui un’azione ravvicinata
e il contatto con la vittima, contatto che avrebbe trasformato la stessa azione di
violenza in un corpo a corpo con i connessi – e logicamente prevedibili – rischi per
gli antagonisti, in un confronto fisico diretto. Tutto ciò sarebbe stato,
contrariamente, evitabile attraverso l’uso di bastoni. o corpi contundenti. Essi
avrebbero permesso di colpire, mantenendo una certa distanza e agendo con
l’impiego di mezzi lesivi che non ponevano l’aggressore nella condizione di dover
combattere contro il suo avversario. Un’azione, dunque, che si sarebbe snodata in
un ambito di “sicurezza” e che non avrebbe posto l’aggressore stesso nella
condizione di divenire destinatario, a sua volta, di colpi contrapposti.
Si comprende, allora, come la richiamata illogicità sviluppata nei ricorsi in
esame non sussista, avendo la Corte territoriale spiegato le ragioni che la
inducevano a non valorizzare quel dato, contrariamente sottolineato da tutti i
ricorrenti, senza, tuttavia, che alcuno degli impugnanti avesse effettivamente
focalizzato il nucleo del ragionamento in cui affermava essersi annidato il vizio
lamentato e denunciato.
Piuttosto, i singoli argomenti sviluppati si proiettano su un piano di pura
valutazione del dato conoscitivo, scrutinio già correttamente operato e non
ulteriormente sindacabile in questa sede.

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territoriale e la valutazione del dato di prova che ha inteso proporre.

Né vale richiamare a confutazione della ricostruzione resa dai Giudici territoriali
i colpi inferti e la durata dell’azione aggressiva. Il dato approfondito da tutti i
ricorrenti è trattato anche nell’interesse del kroka che assume l’incompatibilità di
un’aggressione della durata di circa 20 secondi con una contestazione di omicidio
tentato. A parte che i colpi stessi documentati dalle videoriprese non risultano
affatto esigui deve annotarsi come la Corte territoriale, tuttavia, si sia confrontata
con il tema, sottolineando, da un lato, la carica disumana di violenza esplosa, in

avrebbe giovato alla tesi dei ricorrenti, poiché si non era tenuto presente che anche
un solo colpo, con una durata temporale meno estesa di quella comparata,
pertanto, sarebbe potuto essere idoneo a produrre l’exitus mortale.
Si intende, allora, come il tema sviluppato nei ricorsi non risulti conferente, né
decisivo ai fini della decisione da assumere e, soprattutto, come da esso non si
possa affatto inferire la sussistenza del solo dolo di lesioni.
La Corte territoriale, ancora, si è confrontata con gli altri argomenti anche
sviluppati nei ricorsi per cassazione ed ha elaborato una motivazione immune da
ogni censura.
E’ correttamente impostato e affrontato l’altro nucleo di questioni poste dai
ricorrenti.
In questa logica la lettura della decisione fa intendere come la rilevanza e lo
spessore delle armi impiegate anche fosse uno dei fattori egualmente rilevanti a
fondare il dolo cd alternativo che era stato ritenuto. Si trattava, infatti, di tubi
innocenti e di bastoni di indiscutibile portata offensiva e di mezzi assolutamente
idonei a produrre anche l’evento morte. Si comprende, pertanto, come non abbia
rilievo decisivo l’argomento secondo cui, se i concorrenti avessero effettivamente
inteso uccidere, si sarebbero procurati armi diverse rispetto a quelle utilizzate.
L’incedere logico dei ricorsi qui è viziato e si apre ad ipotesi alternative che si
spingono a pure ipotesi, a confutazione dei dati di prova oggettivamente valorizzati
dalla Corte territoriale. Si oppongono, cioè, aspetti di mera congettura che non
tengono conto né del dinamismo lesivo dell’azione e del contesto in cui i fatti stessi
risultano essere maturati né dell’uso che in concreto è stato operato di quei mezzi
lesivi. Basta, allora, replicare al ragionamento proposto che, ammessa la possibilità
nelle condizioni indicate di procurare armi diverse, ciò non esclude, comunque, che i
concorrenti potessero, in maniera equipollente, produrre l’evento con quelle di cui si
erano dotati in maniera estemporanea, presso il cantiere, proprio in ragione
dell’uso che ne avevano dopo poco fatto. Questo dato priva della necessaria base
logico-confutativa l’argomento opposto a discarico e ne rivela sua inconsistenza
intrinseca.
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quella frazione temporale e, dall’altro, replicando che l’argomento prospettato non

Né hanno rilevanza le considerazioni ulteriori che, al pari, tutti i ricorrenti
hanno inteso proporre in relazione alla entità delle ferite.
Anche sul punto la decisione impugnata è immune da censure di sorta.
L’entità delle lesioni procurate alle vittime non è determinante per escludere il
tentativo e il dolo nella forma ritenuta. L’idoneità dell’azione a produrre l’evento non
può, invero, giudicarsi

ab exitu,

risultando il tentativo di omicidio, istituto

caratterizzato strutturalmente dalla mancata verificazione dell’evento.

altrettanto puntuali sono gli argomenti sviluppati in funzione dell’esclusione della
qualificazione dei fatti come lesioni personali volontarie, apparendo un dato
assolutamente spurio, con la finalità invocata, il richiamo ai distretti corporei attinti
e in cui erano stati prodotti esiti lesivi.
A parte, invero, il dato obiettivo relativo a quanto riportato da Bobak Jan – che
subiva la frattura della teca cranica e il relativo trauma con necessità di intervento
chirurgico – la Corte d’appello ha spiegato che gli esiti a carico di ciascuna delle
vittime, consistenti in fratture agli arti superiori si collegavano alla dinamica
d’azione e alla posizione difensiva assunta da ciascuno degli aggrediti che, sotto la
violenza dei colpi inferti (con mazze e tubi in ferro), tentava di difendersi con
braccia e mani nude. Si comprende, allora, come in parte qua il motivo di ricorso
non si correli affatto alla decisione impugnata e non sviluppi argomenti idonei a
disarticolare il ragionamento logico che la Corte territoriale ha posto a fondamento
della sua decisione escludendo, da un lato, il dolo eventuale e dall’altro
ammettendolo nella forma diretta cd. alternativa.
Gli imputati, infatti, agivano al fine indifferente di produrre l’uno o l’altro degli
esiti, rappresentandoseli e volendoli entrambi. Si tratta di un dolo pacificamente
compatibile con la forma tentata del delitto.
La sentenza impugnata ha, del resto, motivato ed escluso la sussistenza del
dolo eventuale non ammettendo che si versasse al cospetto della sola accettazione
indiretta del rischio morte, là dove gli indicatori di prova enucleati documentavano
una volontà esattamente protesa a produrre indifferentemente e paritariamente le
lesioni o l’exitus in termini diretti.
Infondati risultano proprio gli argomenti finalizzati a criticare la sussistenza
del ritenuto dolo alternativo.
Del resto, è incensurabile nella presente sede, siccome immune da vizi logici e
da contraddizioni, la motivazione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto la
sussistenza nel comportamento dei ricorrenti dell’elemento psicologico del dolo
omicidìario.
Esso è da qualificare come dolo diretto, nella sua manifestazione nota come dolo
alternativo, che si ha quando, come nel caso in esame, il soggetto attivo prevede e
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Sul punto, del resto, la sentenza impugnata risulta correttamente motivata e

vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l’uno o l’altro degli eventi alternativi
causalmente collegabili al suo comportamento cosciente e volontario e cioè, nella
specie, la morte ovvero il grave ferimento della vittima; e la giurisprudenza di
questa Corte è concorde nel ritenere che il dolo diretto, nella sua qualificazione di
dolo alternativo, è compatibile con l’omicidio tentato (cfr., in termini, Cass. 1^
20.10.97 n. 9949; Cass. 1^ 25.5.07 n. 27620).
Il ragionamento svolto dal primo giudice e da quello di secondo grado risulta

l’aggressione, di indiscutibile portata offensiva, le lesioni prodotte, anche agli arti
superiori, di cui è stata data una valida e logica spiegazione, coerente con gli eventi
e la ferma volontà di reiterare i gesti offensivi, protesi a sferrare i colpi con i bastoni
e i tubi di ferro, con indiscutibile e dura violenza.
Né assumono rilevanza le considerazioni svolte sulle urla delle vittime, tema al
pari esaminato dalla Corte territoriale che ha ritenuto come l’urlo stesso non
dimostrasse né vitalità, né assenza d’aninus necandi.
La Corte ha chiarito che esso al più attestava che il soggetto fosse vivo nel
momento in cui era stato lanciato, ma che non garantiva che l’indicata condizione di
vitalità permanesse anche nei momenti successivi.
Prive di fondamento risultano anche le doglianze sviluppate a testimoniare
l’assenza di dolo, pur nella forma alternativa, per la posizione in cui le vittime si
erano presentate agli aggressori al momento dell’azione e per il particolare che
ciascuna di esse risultava completamente coperta.
La Corte d’appello ha motivato correttamente anche su questo punto e non
ha affatto inteso in senso tecnico richiamare l’istituto dell’aberratio, istituto, tra
l’altro, evocato al solo fine di confutare le argomentazioni dell’appello del Krahulec,
che intendeva richiedere il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 116 cod.
pen.. Piuttosto, si intende dalla lettura della sentenza impugnata che l’azione
posta in essere di inaudita violenza fu realizzata “alla cieca” e per ciò solo fu
sorretta da dolo alternativo, avendo in maniera assolutamente indifferente gli
agenti agito al fine di produrre lesioni o morte, rappresentandosi e volendo in
maniera equipollente entrambi gli eventi.
Infine, la Corte territoriale ha esaminato correttamente il tema della
desistenza, proposto dai ricorrenti, escludendolo poiché in fatto non ricorrevano le
condizioni per ritenere che vi fosse volontarietà dell’abbandono del proposito. Sul
punto si è, infatti, spiegato che -a prescindere dalla circostanza che gli atti posti
in essere già integravano il delitto ascritto, in ragione dei mezzi impiegati, dei colpi
inferti, delle lesioni e della durezza con cui erano state colpite le vittime- gli
imputati si erano allontanati perché avevano ultimato o ritenevano di aver ultimato
ciò avrebbero dovuto fare e si accresceva, secondo dopo secondo, il rischio del
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corretto e sono stati valorizzati, in primo luogo, i mezzi utilizzati per eseguire

sopraggiungere delle forze dell’ordine. Una delle vittime (la quinta) era riuscita ad
allontanarsi ed era altamente probabile che potesse chiamare o richiedere
l’intervento delle forze di polizia, trovandosi tutti a circa 80, 100 metri di distanza
dalla piazza principale di Genova. Ebbene, a fronte della motivazione data gli
argomenti a sostengo dei motivi di ricorso chiamano la Corte territoriale a
intervenire su un terreno di merito. Non ha rilevanza opporre l’esame dei filmati e
richiamare dati ritratti dai video agli atti, per dedurre che le vittime fossero in

giungere sul posto. La Corte territoriale ha, infatti, chiarito che la desistenza non
fu volontaria nella specifica vicenda proprio perché i coimputati si allontanarono
per il timore di essere scoperti e che potessero sopravvenire terzi soggetti.
In questa logica ha richiamato anche il giudice a quo il comportamento del
Didri Ahrned che si allontanava tenendo sotto controllo la via di fuga.

Alla luce di quanto premesso i ricorsi sono infondati e devono essere respinti.
Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2017
Il consigliere estensore

Il Presidente

piedi al momento dell’allontanamento o che non vi fosse alcuno in procinto di

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