Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53399 del 10/10/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 53399 Anno 2017
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: APRILE STEFANO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
SCAROLA DOMENICO nato il 01/10/1986 a COSENZA
SCORZA SALVATORE FRANCESCO nato il 30/05/1982 a CASTROVILLARI

avverso la sentenza del 12/02/2016 della CORTE ASSISE APPELLO di
CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA
CASELLA che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi.
Udito il difensore
E’ presente l’avvocato NOBILE VINCENZO del foro di LOCRI, in difesa della parte
civile DE MARCO ALDO, che conclude chiedendo il rigetto del ricorso e la
conferma della sentenza impugnata, deposita le conclusioni e la nota spese.
E’ presente l’avvocato CARUSO FRANCESCO A. DETTO FRANZ del foro di
COSENZA, in difesa di SCAROLA DOMENICO, che conclude chiedendo
l’accoglimento del ricorso.
E’ presente l’avvocato ARICO’ GIOVANNI del foro di ROMA, in difesa di SCAROLA
DOMENICO, che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
E’ presente l’avvocato ROTUNDO SERGIO del foro di CATANZARO, in difesa di

Data Udienza: 10/10/2017

SCORZA SALVATORE FRANCESCO, che chiede l’accoglimento del ricorso.
E presente l’avvocato GAITO ALFREDO del foro di ROMA, in difesa di SCORZA
SALVATORE FRANCESCO, che conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso e

l’annullamento della sentenza impugnata.

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RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d’assise d’appello di Catanzaro
ha confermato la sentenza pronunciata dalla Corte d’assise di Cosenza in data 15
luglio 2014 con la quale Salvatore Francesco Scorza e Domenico Scarola sono
stati giudicati responsabili del duplice omicidio di Barbara Indrieri e Rosellina
Indrieri e del tentato omicidio di Silas De Marco, fatti commessi in un unico
contesto e con premeditazione in data 16 febbraio 2011 (artt. 110, 112, comma
primo, n. 1, 81 cpv., 56, 575, 577, comma primo, n. 3 cod. pen. — Capo 1), e

cpv., 61, comma primo, n. 2, cod. pen., 2, 4 e 7, I. n. 895\1967 — Capo ibis;
artt. 110, 112, comma primo, n. 1, 81 cpv., 61, comma primo, n. 2, 648 cod.
pen. — Capo iter).
1.1. Secondo la ricostruzione operata con concorde valutazione in entrambi i
gradi del giudizio, gli imputati facevano irruzione, verosimilmente con l’ausilio di
un terzo soggetto, nell’abitazione della famiglia di Gaetano De Marco (che
sarebbe rimasto ucciso circa due mesi dopo i fatti) con il preciso intento di
vendicare l’omicidio di Domenico Presta, avvenuto un mese prima e commesso
da Aldo De Marco (già condannato con sentenza irrevocabile), fratello di
Gaetano, cognato di Rosellina Indrieri (coniuge di Gaetano De Marco) e zio di
Barbara Indrieri e Silas De Marco, intento già dichiarato da Gaetano Pellegrino,
cugino di Domenico Presta, che già prima dell’omicidio di questi aveva
minacciato Silas De Marco dicendogli che se fosse successo qualcosa al cugino
per la sua famiglia non c’era scampo perché li avrebbero ammazzati tutti.
In particolare, secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, dopo
che la porta d’ingresso dell’abitazione era stata attinta da alcuni colpi di fucile,
Scorza faceva ingresso nell’abitazione sparando e colpendo Silas De Marco, che
si accasciava e rimaneva ferito, mentre Scarola sparava all’indirizzo delle due
donne con un’arma che si inceppava, sicché i due aggressori seguivano le donne
sul balcone, raggiungendole e colpendole mortalmente. Nella fase di fuga Scarola
scivolava nei pressi di Silas De Marco, così avvedendosi che lo stesso era ancora
in vita, sicché lo colpiva con un violentissimo colpo alla testa allo scopo di
ucciderlo, senza fortunatamente riuscirci.
I giudici di merito fondavano l’affermazione di responsabilità degli imputati
Scorza e Scarola sulla dichiarazione resa al dibattimento dal teste Silas De
Marco, rimasto vivo nonostante le gravi lesioni riportate, che, dopo un periodo di
reticenza dovuto al timore di ulteriori possibili ritorsioni — timore che lo aveva
indotto a fuggire dalla Calabria per trovare riparo in Piemonte —, trovava il
coraggio di riferire la verità e indicare gli aggressori, in ragione dell’avvenuto
arresto di Franco Presta, soggetto che la vittima ritiene essere il vertice del
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dei connessi reati in materia di armi (artt. 110, 112, comma primo, n. 1, 81

gruppo criminale che aveva ordinato gli omicidi dei famigliari e il tentato omicidio
commesso in suo danno.
A giudizio delle Corti di merito le dichiarazioni del teste oculare Silas De
Marco, ritenuto credibile, trovavano piena aderenza alle risultanze probatorie
generiche che avevano consentito di ricostruire la dinamica dell’aggressione in

elementi di fatto e, in particolare, per quanto concerne: le modalità
dell’irruzione, il numero delle persone e delle armi utilizzate, il numero dei colpi
esplosi, l’inceppamento di un’arma lunga, il colpo di grazia inferto allo stesso
mentre si trovava ferito e agonizzante e stava cercando aiuto utilizzando il
telefono cellulare in suo possesso.
I giudici di merito hanno, poi, ritenuto falsi e comunque inattendibili gli alibi
proposti dagli imputati per mezzo di testi legati da rapporti di familiarità,
parentela e particolare vicinanza, ovvero per mezzo di elementi tecnici
(tracciamento GPS del veicolo asseritamente in uso a Scarola) ritenuti non
univocamente attribuibili ai movimenti dell’imputato.

2. Ricorrono, con distinti atti, Domenico Scarola e Salvatore Francesco
Scorza.
2.1. Domenico Scarola ricorre con due distinti ricorsi, il primo proposto per
mezzo del difensore avv. Franz Caruso, e il secondo per mezzo del difensore avv.
Giovanni Arico’.
2.1.1. Osserva il ricorrente Scarola, con il primo motivo di ricorso riportato
in entrambi gli atti d’impugnazione, che la sentenza è nulla per violazione di
legge, in relazione all’articolo 192 cod. proc. pen., e per vizio della motivazione
con riguardo alla attendibilità delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa.
In particolare, si contesta la attendibilità della persona offesa, costituitasi
parte civile perciò portatrice di interessi, le dichiarazioni della quale,
caratterizzate da contraddittorietà, si scontrano con numerosi elementi
probatori, sia per quanto riguarda il riconoscimento – effettuato in condizioni di
estrema difficoltà (per la rapidità dell’azione, per le ferite riportate e per il
travisamento del volto degli aggressori) – degli imputati — le cui caratteristiche
fisiche non corrispondono a quelle indicate all’atto della descrizione —, sia per
quello che concerne la perdita di equilibrio di uno dei killer — circostanza che non
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termini del tutto sovrapponibili a quelli riferiti dal teste con riguardo ai principali

ha trovato riscontro nei rilievi tecnici —, sia in considerazione dell’assenza di
«riscontri individualizzanti».
Sul medesimo tema, il ricorso a firma dell’avv. Arico’ censura, inoltre, la
sentenza impugnata nella parte in cui enumera tra gli elementi indiziari la
circostanza che il telefono dell’imputato era rimasto completamente inattivo dalle
19.49.31 alle ore 22.12.42, in coincidenza con l’aggressione compiuta verso le

20:00, trattandosi di circostanza non conclusiva.
Ad avviso del difensore, inoltre, la sentenza impugnata non fornisce
adeguata e logica spiegazione:
alla evidente contraddittorietà, denunciata nei motivi di appello, della
dichiarazione della persona offesa con riguardo alle dichiarazioni del teste
Miglietta, che aveva ricevuto una telefonata dalla zia di Silas De Marco
dalla quale aveva appreso che la vittima aveva confidato alla zia Donna
di avere riconosciuto due dei tre sparatori nelle persone di Franco Presta
e del padrino di Domenico Presta (identificato poi in Costantino Scorza);
alla inattendibilità del riconoscimento effettuato sulla base di un album
fotografico predisposto dalla polizia giudiziaria caratterizzato dalla
selezione di persone vicine al clan Presta, così essendo evidente la
capacità di influenzare il ricordo del teste.
2.1.2. Osserva il ricorrente Scarola, con il secondo e il terzo motivo del
ricorso presentato dall’avv. Caruso, che la sentenza è nulla per vizio della
motivazione in ordine alla presunta falsità dell’alibi dell’imputato, essendo stata
pedissequamente richiamata la motivazione del giudice di primo grado che
risulta incentrata sulla generica presunzione di inattendibilità delle dichiarazioni
testimoniali a discarico.
Viene, inoltre, censurata la motivazione per illogicità quello che concerne la
ritenuta inattendibilità dell’alibi offerto da Oliva, alibi che viene illogicamente
ritenuto falso in contrasto con le evidenze documentali concernenti i tabulati
telefonici da cui emerge che gli apparati telefonici della donna e dell’imputato
agganciavano effettivamente delle celle diverse, dimenticando però di confutare
l’affermazione del consulente di parte secondo la quale due apparecchi pur
situazioni nello stesso luogo possono agganciare celle differenti.
Viene, altresì, censurata la motivazione nella parte in cui ritiene che
costituisca prova schiacciante della partecipazione di Scarola il tracciato dei
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r)

tabulati telefonici da cui emerge che, fino a pochi istanti prima della supposta
partecipazione all’azione criminale, l’imputato era intento a scambiare messaggi,
senza avvedersi del fatto che proprio il frenetico scambio di messaggi dimostra la
impossibilità della partecipazione all’azione delittuosa.
Analogamente viene censurata la sentenza per quello che riguarda il

tracciamento GPS del veicolo in uso all’imputato, secondo i quali il veicolo si
trovava a notevole distanza dal luogo dei fatti.
2.1.3. Osserva, con il secondo motivo del ricorso presentato dall’avv. Arico’,
che la sentenza è nulla per violazione di legge e per vizio della motivazione in
relazione alla circostanza aggravante della premeditazione, essendosi
congetturalmente ritenuta la sussistenza della medesima in forza della
circostanza che il crimine sarebbe stato commesso a distanza di 30 giorni
dall’omicidio che si voleva vendicare, senza che sia emerso alcun elemento in
ordine alla preventiva deliberazione e organizzazione di tale condotta.
2.1.4. Osserva, con il quarto motivo del ricorso presentato dall’avv. Arico’,
che la sentenza è nulla per violazione di legge e per vizio della motivazione in
relazione alle circostanze attenuanti generiche, essendo state le medesime
escluse immotivatamente.
2.2. Ricorre Salvatore Francesco Scorza con ricorso presentato dagli avvocati
Sergio Rotundo e Alfredo Gaito.
2.2.1. Osserva il ricorrente Scorza, con il primo motivo di ricorso, che la
sentenza è nulla per violazione di legge, in relazione agli artt. 191, 192 e 546
cod. proc. pen., e per vizio della motivazione con riguardo alla attendibilità delle
dichiarazioni accusatorie della persona offesa.
In particolare, si censura la attendibilità della persona offesa, costituitasi
parte civile perciò portatrice di interessi, le dichiarazioni della quale,
caratterizzate da contraddittorietà, si scontrano con numerosi elementi
probatori, sia per quanto riguarda il riconoscimento – effettuato in condizioni di
estrema difficoltà (per la rapidità dell’azione, per le ferite riportate e per il
travisamento del volto degli aggressori) – degli imputati le cui caratteristiche
fisiche non corrispondono a quelle indicate all’atto della descrizione, sia per
quello che concerne la perdita di equilibrio di uno dei killer, circostanza che non
ha trovato riscontro nei rilievi tecnici.
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mancato riconoscimento dell’alibi derivante dai reporter del sistema di

Sul medesimo tema, il ricorso censura, inoltre, la sentenza impugnata nella
parte in cui:
non

fornisce

adeguata

e

logica

spiegazione

alla

evidente

contraddittorietà, denunciata nei motivi di appello, della dichiarazione
della persona offesa che ha varie volte cambiato versione, indicando

non

fornisce

adeguata

e

logica

spiegazione

alla

evidente

contraddittorietà, denunciata nei motivi di appello, della dichiarazione
della persona offesa con riguardo alle dichiarazioni del teste Miglietta,
che aveva ricevuto una telefonata dalla zia di Silas De Marco dalla quale
aveva appreso che la vittima aveva confidato alla zia Donna di avere
riconosciuto due dei tre sparatori nelle persone di Franco Presta e del
padrino di Domenico Presta (identificato poi in Costantino Scorza);
non

fornisce

adeguata

e

logica

spiegazione

alla

evidente

contraddittorietà, denunciata nei motivi di appello, della dichiarazione
della persona offesa con riguardo alle dichiarazioni del teste Francesco
Galizia, che ha escluso di avere raccolto le confidenze della vittima in
ordine ai nomi degli autori del fatto;
non

fornisce

adeguata

e

logica

spiegazione

alla

evidente

contraddittorietà, denunciata nei motivi di appello, della dichiarazione
della persona offesa con riguardo all’originaria identificazione del veicolo
utilizzato dai killer con quello di Scorza, essendosi accertato che il veicolo
dato alle fiamme non era di proprietà dell’imputato, nonché alla
insufficienza della motivazione nella parte in cui giustifica l’errore sulla
base del «pregiudizio mentale» del dichiarante, senza avvedersi che ciò
travolge l’intera attendibilità della dichiarazione testimoniale, come
peraltro è emerso anche con riguardo l’episodio del motorino impiegato
nell’omicidio del padre;
non fornisce adeguata e logica spiegazione alla inattendibilità del
riconoscimento effettuato sulla base di una percezione visiva raccolta in
condizioni di difficoltà;
afferma la falsità dell’alibi dell’imputato, essendo stata pedissequamente
richiamata la motivazione del giudice di primo grado incentrata sulla
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diversi soggetti come responsabili del crimine;

generica presunzione di inattendibilità delle dichiarazioni testimoniali a
discarico;
viene esclusa la sussistenza dei presupposti per la riapertura
dell’istruttoria relazione alla richiesta di audizione dell’avv. Montone, che
aveva rappresentato l’esistenza di un teste oculare il quale aveva visto

l’omicidio.
2.2.3. Osserva il ricorrente Scorza, con il secondo motivo di ricorso, che la
sentenza è nulla per violazione di legge e per vizio della motivazione in relazione
alla circostanza aggravante della premeditazione, essendosi congetturalmente
ritenuta la sussistenza della medesima, nonché in relazione alla recidiva, ritenuta
pur in presenza di una pena estinta perché espiata in regime di affidamento al
servizio sociale, e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche che risulta illegittimamente incentrato sulla sussistenza della
premeditazione.
2.2.4. L’avv. Gaito, difensore di Scorza, ha depositato in data 18 settembre
2017 motivi nuovi con i quali ha, ulteriormente, denunciato:
– l’assenza di una logica e coerente motivazione in grado di confutare i
motivi di appello, che sarebbero stati esaminati in maniera superficiale e
asfittica,
– il ribaltamento del discorso giustificativo nel senso che, individuati i
presunti colpevoli sulla base delle dichiarazioni della persona offesa ritenuta di
per sé credibile, la motivazione si è concentrata nel trovare supporti a tale
ricostruzione senza, invece, procedere nel senso opposto, cercando elementi
diversi in grado di corroborare la dichiarazione accusatoria, sicché la credibilità
soggettiva di Silas De Marco – allorquando si risolve ad accusare Scorza – poggia
unicamente sulle sue stesse dichiarazioni in merito alla paura di possibili ulteriori
vendette da parte di Presta;
– gli accertamenti balistici non possono essere portati a sostegno della
credibilità di Silas De Marco poiché privi di capacità dimostrativa rispetto alla
credibilità del dichiarante;
– la causale dell’azione, per come individuata dallo stesso De Marco nel
desiderio di vendetta dei Presta, non costituisce un elemento a carico di Scorza
poiché il legame di questi con il clan è «solo un indizio» in grado di corroborare
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allontanarsi due persone dopo l’incendio del veicolo utilizzato per

unicamente il movente, ma non l’individuazione degli autori, ed è, semmai,
idoneo a coinvolgere Presta il quale, però, non risulta neppure indiziato per tali
fatti;
– il quadro indiziario sarebbe, perciò, basato su fatti incerti dai quali non è
possibile trarre alcuna conclusione a mente dell’art. 192, comma 2, cod. proc.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che i ricorsi sono infondati.

2. È preliminare esaminare i motivi di ricorso che riguardano la dichiarazione
della persona offesa Silas De Marco, il riconoscimento dallo stesso effettuato di
entrambi gli imputati come componenti del commando che ha tentato di
ucciderlo e ucciso la sorella e la madre, nonché l’alibi degli imputati.
2.1. È noto che «le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc.
pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono
essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione,
della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo
racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto
a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U,
Sentenza n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214).
Per quanto riguarda, poi, i limiti del sindacato di legittimità, è utile ricordare
che la giurisprudenza è orientata nel senso che «in tema di valutazione della
prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è una questione
di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica,
che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia
incorso in manifeste contraddizioni» (Sez. 2, Sentenza n. 7667 del 29/01/2015,
Cannmarota, Rv. 262575.
In particolare, si è affermato che «integra il vizio di mancanza della
motivazione, la omessa valutazione nella sentenza impugnata delle allegazioni
difensive in astratto idonee ad incidere sulla valutazione di attendibilità della
testimonianza della persona offesa» (Sez. 2, Sentenza n. 10758 del 29/01/2015,
Giugliano, Rv. 263129).
9

pen.

2.2. Ciò premesso, nel caso oggetto del giudizio entrambi i giudici di merito,
con concorde valutazione, hanno ritenuto attendibile e credibile la dichiarazione
della persona offesa la quale ha operato un chiaro, preciso e univoco
riconoscimento degli imputati, che peraltro ben conosceva, descrivendo i fatti in
maniera pienamente aderente alle risultanze oggettive, per come ricostruite

I giudici di merito hanno, anche, logicamente giustificato l’iniziale reticenza
della persona offesa nell’indicare gli autori del fatto motivata, non solo dal grave
trauma subito, ma anche e soprattutto dalla concreta e persistente paura di
subire, egli stesso o i propri familiari, ulteriori azioni violente da parte del gruppo
criminale cui facevano riferimento, almeno a livello di importanti relazioni
familiari e interpersonali, i due imputati, sicché, soltanto a seguito dell’arresto
del soggetto di vertice di tale clan, la persona offesa ritrovava una parziale
serenità tale da consentirgli di riferire agli organi investigativi e poi al giudice
tutti gli elementi a sua conoscenza.
Si tratta, in effetti, di una congrua e logica motivazione posta a sostegno
della credibilità e attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa,
motivazione che non viene specificamente censurata nei motivi di ricorso, né
vengono dedotti elementi probatori di segno contrario, essendo state
ampiamente esaminate e confutate le argomentazioni difensive incentrate sulla
iniziale reticenza e contraddittorietà, come detto ritenuta pienamente
giustificata, sulla apparente discordanza con le dichiarazioni del teste Galizia, il
quale è stato giudicato inattendibile con concorde valutazione dei giudici di
merito tenuto conto che il medesimo aveva candidamente ammesso, una volta
ricevuta la citazione come testimone, che non voleva andare «nei casini», così
rendendo evidente la propria ritrosia a riferire il vero.
Sono stati giudicati, inoltre, del tutto irrilevanti, a porre in dubbio la
attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, le argomentazioni difensive
concernenti le iniziali dichiarazioni della stessa concernenti l’individuazione
dell’autovettura dell’imputato nel veicolo dato alle fiamme e visto in un video,
come pure – in un contesto non afferente il procedimento di cui si tratta l’individuazione del motorino utilizzato per commettere l’omicidio del padre,
essendosi posto in luce che lo stesso teste ha chiarito di avere ipotizzato un
collegamento tra detti veicoli e gli imputati.
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dalla polizia giudiziaria e dai consulenti e periti.

Allo stesso modo la motivazione fornisce logica e coerente risposta della non
contraddittorietà con la versione della persona offesa del contenuto della
dichiarazione del teste Miglietta, il quale ha riferito della comunicazione ricevuta
da Maria De Marco che riferiva a sua volta di quanto riferitole dalla sorella zia
Donna in merito alle confidenze ricevute da Silas de Marco, posto che il primo

alla zia alcuno dei nomi degli aggressori.
È inammissibile e del tutto infondata, poi, la censura concernente la
formazione del fascicolo fotografico impiegato per il riconoscimento, sia perché la
questione non è stata tempestivamente posta nel giudizio di merito, sicché è
tardiva, sia perché, come risulta dall’ampia motivazione sul punto, l’album in
questione è stato formato sulla base delle indicazioni delle caratteristiche fisiche
e sociali degli autori del fatto come indicati dalla persona offesa che, peraltro,
aveva già dichiarato di conoscerli ancor prima di procedere al riconoscimento.
Da ultimo, i giudici di merito hanno logicamente e congruamente motivato in
ordine alla rilevanza, a supporto della dichiarazione della persona offesa, delle
risultanze degli accertamenti concernenti l’esame dei tabulati telefonici dai quali
emerge che, immediatamente prima dell’azione di fuoco e per un periodo di
tempo successivo ad essa tale da consentire l’allontanamento e la dispersione
delle prove a carico, entrambi gli apparati telefonici degli imputati sono risultati
spenti.
È del pari infondata la censura concernente la concreta possibilità di Silas De
Marco di vedere e percepire i tratti somatici dei propri aggressori, essendo
chiarito, con accertamento di fatto che non è contestato nel ricorso, la piena
capacità visiva della persona offesa, pur attinta dal colpo di arma da fuoco, e la
compatibilità della posizione dallo stesso assunta rispetto a quella degli
aggressori.
2.3. Passando a esaminare la questione dell’alibi, è opportuno ricordare che
la giurisprudenza di legittimità è orientata nel ritenere che «una ricognizione
personale soggettivamente certa ed oggettivamente attendibile è prova
sufficiente per l’affermazione della responsabilità; essa può essere inficiata da
dati certi idonei a contrastarla, ma non da mere supposizioni né da un alibi
rimasto sfornito di prova e la cui prova sia ritenuta dubbia» (Sez. 2, Sentenza n.
10141 del 04/07/1995, P.M. in proc. Michelotto, Rv. 202767).
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teste di riferimento ha escluso che Silas De Marco abbia effettivamente riferito

Il giudizio d’inattendibilità o di falsità dell’alibi, operato con concorde
valutazione da entrambi i giudici di merito, viene censurato mediante la
riproposizione dell’argomentazioni sviluppate nell’atto di appello che, di per sé,
costituivano già la riproposizione delle argomentazioni esaminate nel corso del
giudizio di primo grado, sicché i ricorsi sul punto appaiono del tutto generici e

superate con ampia e logica motivazione.
Il giudizio d’inattendibilità, attribuito alle dichiarazioni testimoniali di familiari
e di altri soggetti legati da strettissime relazioni interpersonali con gli imputati,
viene censurato con argomenti generici che non si confrontano con la
motivazione del provvedimento impugnato.
Allo stesso modo il ricorso non si confronta con la motivazione del
provvedimento impugnato per quello che riguarda la questione del tracciamento
GPS dell’autovettura dell’imputato, avendo logicamente evidenziato il giudice di
merito che non è risultato certo l’utilizzo da parte dell’imputato del veicolo in
questione.
Completamente de-assiale è la censura concernente la ritenuta
inattendibilità dell’alibi offerto da Oliva (poi tratta a giudizio per falsa
testimonianza) a Scarola perché non si confronta con l’elemento obiettivo
costituito dal tracciamento delle utenze cellulari dal quale è emersa la
circostanza che i due si trovavano in luoghi tra loro distanti, apparendo del tutto
inconferente il richiamo alla generica possibilità che i telefoni in questione, pur
trovandosi in tesi nel medesimo luogo, abbiano occasionalmente agganciato
diverse celle.

3. È inammissibile e comunque infondato il motivo di ricorso presentato
nell’interesse di Scorza relativo alla mancata riapertura dell’istruttoria in appello.
Il Collegio condivide, in proposito, l’orientamento della giurisprudenza di
legittimità secondo il quale «in tema di rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale, per prova “sopravvenuta o scoperta” dopo la sentenza di primo
grado si intende la prova con carattere di novità, rinvenibile laddove essa
sopraggiunga autonomamente, senza alcuno svolgimento di attività, o quando
venga reperita dopo l’espletamento di un’opera di ricerca, la quale dia i suoi
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aspecifici essendo incentrati sulla mera reiterazione di argomentazioni già

risultati in un momento posteriore alla decisione» (Sez. 3, Sentenza n. 11530 del
29/01/2013, A.E., Rv. 254991).
Manca, nel ricorso, qualsiasi riferimento a tale requisito di ammissibilità;
anzi risulta che la missiva dell’avvocato Montone, lungi dal fare riferimento alla
circostanza che gli individui visti nei pressi del veicolo dato alle fiamme fossero

teste di riferimento potesse riferire in ordine al fatto di avere notato due
persone, peraltro in compagnia di cani, allontanarsi dal veicolo che bruciava, così
risultando del tutto irrilevante l’elemento di prova sopravvenuto, essendo il
medesimo del tutto estraneo alla attribuibilità dell’omicidio agli imputati.
In ogni caso, deve essere ricordato l’orientamento di legittimità secondo il
quale «in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata
rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri
l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata,
di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento
e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state
presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di
determinate prove in appello» (Sez. 6, Sentenza n. 1400 del 22/10/2014 dep.
2015, PR, Rv. 261799).
A tale proposito, in effetti, il motivo di ricorso appare del tutto inammissibile
posto che non sono segnalate lacune o illogicità su punti decisivi della sentenza
impugnata derivanti dalla mancata assunzione della prova richiesta.
In ogni caso, come si è detto, appare corretto il giudizio d’irrilevanza
formulato dalla Corte di assise di appello, giudizio che ha portato al rigetto della
richiesta di riapertura dell’istruttoria.

4. I motivi di ricorso che riguardano l’aggravante della premeditazione, le
circostanze attenuanti generiche, la recidiva, il giudizio di bilanciamento il
complessivo trattamento sanzionatorio sono quantomeno infondati.
4.1. Per quanto riguarda la premeditazione, entrambi i ricorsi non si
confrontano con la motivazione della sentenza impugnata che riconosce la
sussistenza dell’aggravante facendo leva sugli elementi oggettivi della
organizzazione preventiva, della sorveglianza posta in essere nei confronti della
famiglia De Marco e dell’annunciata azione di vendetta.
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coloro che ivi lo avevano condotto, riguarda unicamente la possibilità che un

Di fianco a tali elementi oggettivi, i giudici di merito hanno evidenziato lo
strettissimo rapporto esistente tra gli imputati e il clan Presta, nell’ambito del
quale si sono manifestati i propositi di vendetta palesemente annunciati alla
persona offesa, e la rituale ricorrenza del trentesimo giorno successivo
all’omicidio di Domenico Presta – omicidio compiuto da Aldo De Marco, zio di

carattere particolarmente indicativo della pervicace preordinazione dell’azione di
fuoco.
4.2. I motivi di ricorso che concernono le circostanze attenuanti generiche il
giudizio di bilanciamento e il trattamento sanzionatorio sono palesemente
inammissibili, per genericità e aspecificità, poiché non si confrontano con l’ampia
motivazione la quale dà conto della assoluta gravità del fatto e del
comportamento degli imputati.
4.3. Per quanto riguarda il ricorso di Scorza, è inammissibile la doglianza
concernente la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in
ragione della ritenuta recidivanza, posto che, per un verso, la questione della
insussistenza della recidiva non è stata dedotta nell’appello, e, per altro verso, le
indicate circostanze attenuanti sono state escluse principalmente in
considerazione della gravità del fatto e del comportamento degli imputati, tanto
che ogni riferimento alla recidivanza appare irrilevante.

5. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna
dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
I ricorrenti vanno, altresì, condannati alla rifusione delle spese sostenute nel
grado dalla parte civile Aldo De Marco, che si liquidano come da dispositivo
tenuto conto dello sforzo defensionale profuso.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile Aldo De Marco, che
liquida in euro 3.500, per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA.
Così deciso il 10 ottobre 2017.

Silas De Marco – , ricorrenza che, per l’obiettiva sussistenza, assume un

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