Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53395 del 10/10/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 53395 Anno 2017
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: CAIRO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SIGNATI SEBASTIANO nato il 22/11/1966 a SAN LUCA

avverso la sentenza del 16/10/2014 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO CAIRO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA
CASELLA
che ha concluso per
Il PG conclude chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore
E’ presente l’avvocato SPITALERI MASSIMILIANO del foro di CATANIA in difesa
di:
SIGNATI SEBASTIANO che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di
ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata.

Data Udienza: 10/10/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 11 maggio 2006 il Giudice per l’udienza preliminare
del Tribunale di Reggio Calabria, all’esito del celebrato giudizio abbreviato,
dichiarava Signati Sebastiano colpevole dei reati di cui agli artt. 74 (capo A) e 73
(capo D) d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 e, riconosciuto il vincolo della continuazione,
ritenuto più grave il primo reato, con la diminuente del rito infliggeva la condanna

d’appello di Reggio Calabria con sentenza in data 2 luglio 2007, in parziale riforma
della sentenza di primo grado, rideterminava la pena in quella di anni otto di
reclusione, operando una riduzione sulla sanzione base da tredici ad undici anni di
reclusione per il delitto più grave e lasciando immutato l’aumento di un anno di
reclusione per il delitto satellite.
Questa Corte con sentenza in data 4 giugno 2008 annullava la decisione
impugnata e rinviava alla Corte d’appello di Messina per nuovo giudizio,
limitatamente al delitto associativo di cui al capo A. Osservava che la Corte
d’appello, nonostante la pronuncia fosse stata impugnata anche sul fatto
associativo, non aveva indicato le ragioni per le quali si dovesse ritenere esistente
una struttura permanente conforme al delitto di cui all’art. 74 d.p.r. 9 ottobre 1990,
n. 309. Con provvedimento in data 11 novembre 2008 correggeva, poi, l’errore
materiale in cui era incorsa nella determinazione del giudice del rinvio; disponeva la
restituzione degli atti alla Corte d’appello di Reggio Calabria e non, come
originariamente statuito, a quella di Messina.
La Corte d’appello, designata quale giudice del rinvio, il 4 maggio 2009, in
parziale riforma della sentenza di primo grado assolveva Signati Sebastiano dal
reato associativo di cui al capo A) e rideterminava la pena per il delitto di cui al
capo D) in quella di anni cinque di reclusione ed euro 18.000 di multa.
Questa Corte di cassazione, con sentenza del 2 dicembre 2010, rilevata la
sussistenza di una nullità di ordine generale nel giudizio d’appello, per omessa
notifica all’imputato di un decreto di anticipazione d’udienza, annullava
nuovamente la sentenza impugnata (emessa dalla Corte d’appello di Reggio
Calabria) e rinviava ad altra sezione di tale ufficio per nuovo giudizio.
Il Giudice del rinvio all’udienza del 12 giugno 2014 rigettava le questioni
sollevate dalla difesa sull’indicazione della Corte d’appello di Reggio Calabria come
giudice titolato alla celebrazione del processo e chiedeva, in via subordinata, che
fosse attivata la relativa procedura di correzione dell’errore materiale presso questa
Corte di legittimità.
Respinte le questioni sollevate la Corte d’appello di Reggio Calabria, in
parziale riforma della decisione impugnata emessa in data 11 maggio 2006 dal
2

alla pena di anni nove mesi quattro di reclusione oltre sanzioni accessorie. La Corte

Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria, assolveva Signati
Sebastiano dal reato di cui al capo A) della imputazione e rideterminava la pena
nei suoi confronti per il reato di cui al capo D) in quella di anni cinque di reclusione
ed euro 18.000 di multa.
2. Ricorre per cassazione Signati Sebastiano a mezzo del difensore di fiducia
avverso

la sentenza da ultimo indicata e l’ordinanza del 12 giugno 2014

deducendo la violazione di legge (artt. 623, 178 e 34 cod. proc. pen.).
Annota il ricorrente che la questione prospettata aveva carattere assorbente

In particolare si trattava di una questione relativa al tema di competenza
funzionale e territoriale della Corte d’appello di Reggio Calabria, investita quale
Giudice del rinvio.
Dopo due annullamenti da parte della Corte di cassazione, si osserva, il
processo si era radicato per la terza volta innanzi la medesima Corte d’appello di
Reggio Calabria in una delle sezioni che avevano già giudicato il Signati. Assume il
ricorrente che la Corte territoriale, accertato che erano esaurite le sezioni
giudicanti, avrebbe dovuto rilevare la sua incompetenza e trasmettere gli atti alla
Corte d’appello di Messina.
Contrariamente si era osservato da parte del giudice a quo che il caso del
secondo annullamento della Corte di cassazione non era affatto contemplato
dall’art. 623 cod. proc. pen. e che la Corte d’appello stessa, designata quale
giudice del rinvio, procedeva in composizione diversa dalle precedenti.
Si era, poi, non correttamente affermato che la determinazione del giudice del
rinvio da parte della Corte di cassazione non fosse sindacabile.
Il punto era smentito, tuttavia, a giudizio del ricorrente, dalla stessa vicenda
processuale. Già nella precedente occasione – dopo la erronea designazione della
Corte d’appello di Messina – era stato individuato da parte della medesima Corte di
legittimità il giudice del rinvio in quello della Corte d’appello di Reggio Calabria con
correzione dell’errore che aveva caratterizzato la relativa statuizione iniziale.
Nella specie, si sarebbe imposto, pertanto, nuovo annullamento con rinvio e
trasmissione degli atti alla Corte d’appello di Messina.
3. All’odierna la difesa, ribaditi gli argomenti a sostegno del ricorso, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 623 cod. proc. pen. in
relazione all’art. 25 Cost., per l’eventualità in cui si fossero ribaditi gli orientamenti
giurisprudenziali formatisi sul punto.
OSSERVA IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Sul primo tema basta osservare che è principio pacifico – che ha già
superato il vaglio di legittimità costituzionale (Corte cost. sent. 294 del 1995) 3

rispetto ad ogni altra ragione di doglianza.

quello secondo cui la sentenza di annullamento, con la quale la Corte di cassazione
devolve il giudizio al giudice del rinvio, è attributiva della competenza in favore di
questi, senza che la corretta applicazione dei criteri per la sua individuazione,
stante il disposto dell’art. 627, comma primo, cod. proc. pen., possa essere in una
qualunque sede sindacata. Ne consegue che la designazione, una volta intervenuta,
non è suscettibile di revoca o modifica, neppure se risulta effettuata in violazione
della legge (Sez. 5, n. 13754 del 06/11/2008 – dep. 30/03/2009, Anello, Rv.

Rv. 265516).
Da ciò discende che il giudice di rinvio non può in alcun caso declinare la
competenza attribuitagli con la sentenza di annullamento (art. 627 comma 1 cod.
proc. pen.) poiché il foro cd. commissorio

risulta irretrattabile, secondo un

principio cardine dell’ordinamento processuale. Esso tende, cioè, a precludere la
l’insorgenza di una situazione di contrasto tra la Corte di cassazione e il giudice del
rinvio, il quale non può porre in discussione la propria competenza alla cognizione
del processo.
2. Venendo all’esame della pregiudiziale

di costituzionalità

prospettata

si deve annotare che regola siffatta non risulta lesiva del principio del giudice
naturale precostituito per legge (art 25 Cost.). Invero, la sentenza emessa dalla
Corte di cassazione che designa il giudice di rinvio costituisce titolo legittimante
l’organo giudiziario a conoscere del processo nel caso concreto. In ciò risiede la
ratio del principio evocato e la preclusione, in sede di rinvio, a discutere del tema

di competenza dell’organo all’uopo designato con la sentenza di annullamento
pronunziata dalla Corte di cassazione. Si intende, proprio in attuazione del principio
del giudice naturale, rendere operativo un meccanismo che, nel sistema positivo,
assicuri la irrevocabilità e la incensurabilità da parte di altro giudice delle decisioni
della Corte di cassazione, in funzione della certezza di determinate statuizioni
giuridiche. Si tratta, infatti, di decisioni emanate dall’organo, cui la Costituzione e
l’ordinamento processuale attribuiscono la funzione di giudice ultimo della
legittimità e, in particolare, la funzione “regolatrice” della giurisdizione nonché della
competenza degli organi giudiziari (Corte cost. sentenza n. 247 del 1995, nonché
sentenze nn. 21 del 1982, 136 del 1972, 51 e 50 del 1970).
Sulla scorta di questi rilievi, del resto, la Corte costituzionale ha già ritenuto
priva di rilevanza, sul piano costituzionale e su quello processuale, la questione
della legittimità della limitazione apportata all’esercizio del diritto di difesa (art 24
Cost. comma 2 Cost.) diritto che deve necessariamente essere adeguato e
contemperato con le legittime finalità di ciascuno stato e grado del
procedimento. Ciò proprio facendo leva sulla autorità di giudicato delle decisioni
della Cassazione in materia, carattere che rende irrilevante ogni questione che
4

243592; Sez. 6, Sentenza n. 46812 del 19/11/2015 Cc. (dep. 25/11/2015), Brizzi,

tenda a rimettere in discussione la competenza attribuita nel caso concreto dalla
Cassazione stessa. Deriva che ogni approfondimento o indagine sul tema è stato
ritenuto definitivamente precluso e, dunque, risulta priva di influenza nel giudizio a
quo una qualsiasi pronuncia della stessa Corte costituzionale sul punto (Corte cost.
sentenza n. 294 del 1995).
Si intende, allora,

alla luce di quanto premesso come

il tema

che

fonderebbe la pregiudiziale di natura costituzionale, prospettata all’udienza di
discussione, oltre ad essere manifestamente infondato per le ragioni anzidette –

d’ordine del sistema, volta a garantire proprio l’attuazione del precetto
superprimario di cui all’art. 25 Cost. – si palesi privo del necessario requisito di
rilevanza, in ragione del principio della irrevocabilità ed incensurabilità delle
decisioni della Corte di cassazione sulla competenza, con l’unica eccezione di cui
all’art. 25 cod. proc. pen.
Va disattesa, pertanto, la questione prospettata di costituzionalità sia per
difetto del presupposto della sua rilevanza, sia perché nel merito manifestamente
infondata.
D’altro canto, surrettiziamente, attraverso il tema proposto, si finirebbe per
richiedere di introdurre nel sistema processuale un mezzo straordinario di
impugnazione volto a permettere di ovviare alle conseguenze, ritenute lesive di
diritti dell’imputato, di (presunti) errori contenuti nelle pronunce della Corte di
cassazione in tema di determinazione della competenza in generale e, in
particolare, nella designazione del giudice del rinvio in caso di annullamento.
Si invocherebbe così una pronuncia additiva palesemente inammissibile su
materia riservata alla discrezionalità legislativa (sentenze Corte cost. nn. 21 del
1982 e 136 del 1972, anche, più in generale, la sentenza n. 471 del 1992).
Del resto, l’effettivo oggetto dell’impugnazione nella specie, finisce per
coincidere con la pronuncia della Corte di cassazione stessa e con la sentenza con
cui essa ha devoluto il giudizio di rinvio designando un determinato giudice. Ciò
nonostante quella decisione sia ex se attributiva della competenza, ai sensi dell’art.
627, comma 1, del codice vigente, che ha tenore identico all’art. 544, primo
comma, del codice abrogato, in funzione di ribadire il principio d’ordine cui si è fatto
cenno e di specificare, ancora una volta, che il titolo della legittimazione del giudice
di rinvio a conoscere del processo è costituito direttamente dalla pronuncia della
Cassazione (Corte cost. sentenza n. 51 del 1970) pronuncia che assume autorità
di giudicato e da cui deriva la conseguenza che sono irrilevanti le questioni che
tendano a rimettere in discussione la competenza così attribuita nel caso concreto
(sentenze nn. 25 del 1989, 237 e 216 del 1976, 132 del 1970, nel vigore queste
ultime del codice previgente).
5

risultando la norma di cui all’art. 627 comma 1 cod. proc. pen. disposizione

Alla luce di quanto detto il ricorso va dichiarato inammissibile e va disattesa
la questione di costituzionalità sollevata.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al
pagamento alla Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della
somma ritenuta equa di euro 2.000.
P.Q.M.

spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2017
Il consigliere estensore

Il Presidente

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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