Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53393 del 20/09/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 53393 Anno 2017
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FERRERI CHRISTIAN nato il 11/08/1984 a ROMA

avverso la sentenza del 05/04/2016 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIO
BALSAMO
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore avvocato POMANTI PIETRO del foro di ROMA in difesa di
FERRERI CHRISTIAN che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 20/09/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Roma, in
riforma di quella del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di
Civitavecchia di condanna di Ferreri Christian, riduceva la pena ad anni otto di
reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Ferreri è imputato per i delitti di concorso in rapina aggravata, lesioni
personali aggravate, ricettazione e porto in luogo pubblico di una pistola

omicidio aggravato, con la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale.
Secondo l’imputazione Ferreri, unitamente a Musso Manuel, deceduto, era
entrato in un esercizio commerciale con il complice armato di pistola e con il
volto travisato, impossessandosi dell’incasso; di fronte alla reazione della
dipendente Racu Alina Elisabetta, Musso l’aveva percossa, strattonandola ed
afferrandola per il collo e le aveva sparato numerosi colpi di pistola con la pistola
clandestina fino a quando ella lo aveva colpito al torace con un coltello da cucina,
causandone la morte, avvenuta dopo la fuga dei due rapinatori.
Ferreri, che si era diretto verso la cassa, era intervenuto, aveva spinto la
donna per terra mentre ella si stava alzando, aveva gridato al complice di andare
via ed era fuggito sul furgone rubato, su cui erano state apposte targhe di
provenienza furtiva.
Nell’atto di appello la difesa aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato dai
reati contestati, non emergendo prova certa della sua partecipazione alla rapina,
nonostante il riconoscimento effettuato dalla Racu e comunque l’assoluzione dal
tentato omicidio, in quanto i colpi di pistola erano stati esplosi da Musso dopo il
suo ferimento al torace da parte della Racu e, quindi, in una situazione di
legittima difesa; aveva invocato la desistenza ai sensi dell’art. 56, comma 3 cod.
pen., chiedendo l’esclusione delle aggravanti e la concessione di attenuanti da
ritenersi prevalenti sulle aggravanti.
La Corte territoriale riteneva certa l’identificazione di Ferreri nel secondo
rapinatore: la polizia giudiziaria lo aveva sorpreso all’interno di una Audi A3, a
breve distanza dal furgone usato dai rapinatori, le cui chiavi erano state
rinvenute sotto il cadavere di Musso, che si trovava poco distante; sul pianale
della Audi A3 erano state trovate banconote per euro 310,00 accartocciate e
sporche di sangue, risultate essere il provento della rapina; era stato Ferreri ad
avvisare telefonicamente la sorella di Musso, Ramona, che era accorsa con Cerro
Valentino con la Audi A3, al cui interno Ferreri si era seduto indicando il luogo
dove giaceva il corpo di Musso e riferendo che lo avevano accoltellato. Inoltre, a
casa del rapinatore defunto era stato rinvenuto il borsello di Ferreri, i suoi

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clandestina, nonché di ricettazione di un’autovettura e di due targhe e tentato

documenti di identità e due siringhe per l’iniezione di insulina a lui attribuibili,
trattandosi di diabetico; infine, la Racu aveva riconosciuto Ferreri come il
rapinatore non armato di pistola.
Le dichiarazioni rese nell’immediatezza dalla Racu alla polizia giudiziaria
erano pienamente utilizzabili e, comunque, erano state ripetute quando ella era
stata interrogata come indagata del delitto di omicidio volontario di Musso; in
ogni caso, la loro utilizzabilità derivava dalla scelta del rito abbreviato non
condizionato.

inizialmente aveva puntato la pistola al volto della Racu, aveva iniziato a sparare
quando la donna, disperata, gli aveva afferrato il braccio destro per evitare di
essere colpita; il numero dei colpi esplosi – cinque – dimostrava che gli spari
erano diretti ad uccidere la donna; né poteva configurarsi una condizione di
legittima difesa, atteso che era stata la donna ad essere minacciata e solo dopo
l’esplosione dei colpi di pistola ad avere afferrato il coltello da cucina che si era
conficcato nel torace di Musso nel corso della colluttazione.
Veniva affermato il concorso di Ferreri ai sensi dell’art. 110 cod. pen.: la
condotta di Musso era stata la prevedibile evoluzione di quanto già concordato
tra i due rapinatori, vale a dire una rapina compiuta con un’arma carica e con
suddivisione dei compiti, mentre la reazione della persona offesa non poteva
essere ritenuta imprevedibile.
Veniva negata la desistenza volontaria in quanto, nel momento in cui Ferreri
era intervenuto per condurre Musso fuori dal locale, il tentativo era già stato
consumato; sussisteva l’aggravante del nesso teleologico mentre non potevano
essere concesse attenuanti, nemmeno quella di cui all’art. 114 cod. pen., poiché
il concorso di Ferreri non era affatto marginale, derivando da un programma
criminoso che contemplava una ripartizione di ruoli nella quale egli avrebbe
dovuto occuparsi della cassa del locale.
Veniva negata anche l’attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4 cod. pen.
con riferimento alla rapina in relazione all’importo della stessa.
La Corte, infine, riduceva la pena partendo da una pena base per il delitto di
tentato omicidio di anni undici e mesi sei di reclusione.

2. Ricorrono per cassazione i difensori di Ferreri Christian, deducendo, in un
primo motivo, violazione degli artt. 192, comma 2 e 533 cod. proc. pen. e vizio
di motivazione.
La Corte non aveva fornito adeguata motivazione in ordine alla natura di
indizi degli elementi valorizzati dalla sentenza, non aveva tenuto conto di
elementi contrari e non aveva rispettato il principio della colpevolezza al di là di

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Secondo la Corte, sussisteva il delitto di tentato omicidio: Musso, che

ogni ragionevole dubbio.
In un secondo motivo, i ricorrenti deducono violazione dell’art. 43 cod. pen.
in relazione all’art. 56 cod. pen. e vizio di motivazione.
Mancava la prova di un dolo diretto e specifico di omicidio in capo a Musso e
a Ferreri, del tutto inverosimile per una rapina ad un bar di poche centinaia di
euro; inoltre non era stato trattato il tema dell’incompatibilità tra delitto tentato
e dolo eventuale. La reazione della Racu era del tutto imprevedibile e nessuno
dei colpi sparati l’aveva attinta: mancava la prova dell’animus necandi, dovendo

In un terzo motivo, i ricorrenti deducono violazione dell’art. 110 cod. pen. e
vizio di motivazione con riferimento all’affermato concorso di Ferreri nel tentato
omicidio. Il concorso necessita di un contributo apprezzabile alla commissione
del reato, capace di aumentare la probabilità di produzione dello stesso: ciò era
del tutto mancato quanto a Ferreri.
Analoghi vizi vengono dedotti nel quarto motivo quanto al diniego
dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen.: la Corte avrebbe dovuto accertare il
grado di efficienza causale della condotta di Ferreri nei delitti, al fine di
verificarne la marginalità; sul punto, comunque, la motivazione sui motivi di
appello era carente.
Il quinto motivo denuncia analoghi vizi con riferimento al diniego dell’ipotesi
della desistenza volontaria di cui all’art. 56, comma 3 cod. pen.: l’intervento di
Ferreri aveva interrotto la colluttazione tra Musso e la Racu in un momento in cui
il primo era ancora nel pieno dominio dell’azione.
Il sesto motivo concerne il diniego dell’attenuante di cui all’art. 62, comma
1, n. 4 cod. pen. in relazione al reato di rapina, sostanzialmente privo di
motivazioni; il settimo l’applicazione dell’aggravante teleologica ex artt. 576
comma 1 n. 1 e 61, comma 1, n. 2 cod. pen. che, secondo i ricorrenti, poteva
ritenersi integrata soltanto se il reato mezzo fosse voluto dall’agente sin
dall’inizio del proposito delittuoso e rientrasse, quindi, nella rappresentazione
dell’evento, occorrendo la prova che la volontà dell’agente, al momento della
commissione del reato mezzo, era diretta proprio al fine di commettere il reato
scopo: ciò non poteva dirsi quanto al tentato omicidio, attesa l’imprevedibilità
della reazione della Racu.
L’ottavo motivo censura la sentenza impugnata con riferimento al diniego
delle attenuanti generiche, il nono per la mancata prevalenza attribuita
all’attenuante del recesso attivo ex art. 56, comma 4 cod. pen. sull’aggravante
del nesso teleologico.

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ritenersi gli spari esplosi a scopo intimidatorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

1. Il motivo concernente la prova della responsabilità di Ferreri nella rapina
e nei reati collegati è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata ha esposto una serie numerosa e davvero eloquente
di fatti oggettivi sulla base dei quali ha potuto qualificare come “granitico” il

del ricorrente quando sostiene che tali fatti sarebbero stati soltanto enunciati
senza essere stati valutati in relazione al parametro di cui all’art. 192, comma 2,
cod. proc. pen.: al contrario, tale valutazione emerge dall’osservazione (pag. 5
sentenza) secondo cui “nella piana e descritta situazione (…) non è formulabile
alcuna prospettazione alternativa a quella accusatoria (…) gli accadimenti narrati
sono avvenuti in uno spazio di tempo e di luogo talmente ristretto da non
consentire di ipotizzare l’intervento di un’altra persona tra la commissione della
rapina e il narrato incontro tra il Ferreri da un lato e la Musso e il Cerro
dall’altro”; in altre parole, la gravità, precisione e concordanza degli indizi era
tale da far ritenere certa – prima ancora di prendere in considerazione il
riconoscimento da parte della persona offesa – l’identificazione di Ferreri nel
secondo rapinatore.
Il ricorrente non censura tale valutazione, ma concentra il motivo sul
riconoscimento di Ferreri da parte della persona offesa e sulla mancata
considerazione della circostanza che né all’interno del locale né all’interno del
furgone usato dai rapinatori per fuggire erano state rinvenute impronte
dattiloscopiche dell’imputato.
Ebbene: come rilevato dal Procuratore Generale, il riconoscimento – la cui
validità è stata, comunque, confermata dalla sentenza impugnata – è solo uno
degli elementi di prova a carico di Ferreri, tanto che la motivazione lo menziona
dopo avere tirato le fila degli indizi nel modo che si è visto (aggiungendo ulteriori
elementi: gli oggetti di Ferreri rinvenuti nell’abitazione di Musso); la mancanza di
impronte, poi, è un elemento negativo di carattere neutro e il ricorrente non
chiarisce nemmeno perché esso sarebbe in grado di scardinare la valutazione
sopra esposta.

2. Il motivo concernente la sussistenza del dolo omicidiario in capo a Musso
Manuel nell’azione di sparare cinque colpi di pistola nel corso della colluttazione
con la Racu è svolto quasi interamente in fatto e, come tale, non può essere
affrontato da questa Corte.

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quadro probatorio; non occorre ripercorrerli, ma è opportuno smentire la difesa

Si può soltanto rilevare che la tesi secondo cui “la prospettazione di un dolo
diretto in una rapina ad un bar di poche centinaia di euro appare inverosimile e
contraria ad ogni massima di esperienza” è del tutto arbitraria e non tiene conto,
fra l’altro, del fatto che Musso ignorava l’importo del denaro prelevato dalla
cassa dal complice.
D’altro canto, il fatto che nessuno dei cinque colpi esplosi dalla pistola di
Musso abbia colpito la Racu non rileva ai fini della sussistenza del tentato
omicidio: come ripetutamente affermato da questa Corte, la scarsa entità (o

circostanze idonee ad escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto possono
essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come
un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una
mira non precisa (Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014 – dep. 15/12/2014, Vaghi,
Rv. 261702); nel caso in esame, la Corte ha individuato la reazione della vittima
– che aveva afferrato il braccio dell’aggressore, limitando la mobilità della sua
mano – come elemento che aveva impedito a Musso di mettere in atto il suo
proposito, sottolineando, d’altro canto, che il numero dei colpi esplosi era un
sintomo evidente della volontà omicidiaria, anche in questo caso nell’alveo della
giurisprudenza di legittimità, secondo cui la sussistenza del dolo nel delitto di
tentato omicidio può desumersi dalle peculiarità intrinseche dell’azione
criminosa, aventi valore sintomatico in base alle comuni regole di esperienza,
quali, a titolo esemplificativo, il comportamento antecedente e susseguente al
reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la
reiterazione dei colpi (Sez. 1, n. 30466 del 07/07/2011 – dep. 01/08/2011,
Miletta e altro, Rv. 251014).

3. Anche il terzo motivo di ricorso, con cui il ricorrente contesta
l’attribuzione, a titolo di concorso ex art. 110 cod. pen., del delitto di tentato
omicidio materialmente commesso dal defunto Musso, è infondato.
La motivazione della sentenza si diffonde ampiamente sulla prevedibilità
dell’evoluzione della rapina discendente dall’ingresso nel locale dei due rapinatori
travisati, uno dei quali armato di pistola carica incaricato di occuparsi della
dipendente mentre il complice si dirigeva verso la cassa.
Il ricorrente sostiene, al contrario, che Ferreri non avrebbe apportato alcun
contributo in termini di facilitazione della condotta delittuosa; non avrebbe, cioè,
posto in essere un comportamento esteriore idoneo a recare un contributo
apprezzabile alla commissione del reato capace di aumentare la possibilità della
sua produzione.
Si tratta di argomentazione in fatto che, comunque, tralascia del tutto le

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anche l’inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa non sono

considerazioni della sentenza concernenti la programmazione complessiva della
rapina operata congiuntamente da Musso e Ferreri: in effetti, l’utilizzo di un
furgone rubato su cui erano state apposte targhe anch’esse rubate e la evidente
ripartizione dei ruoli concordata dai due rapinatori sono elementi evidenziati dalla
sentenza che fanno comprendere come, in una valutazione unitaria del fatto,
l’imputato – al contrario di quanto sostenuto in ricorso – aveva invece
pienamente contribuito alla condotta di Musso, previamente concordata ed
organizzata, cosicché il complice poi defunto aveva potuto disinteressarsi del

Ferreri, ed aveva, quindi, eseguito la condotta a lui assegnata.

Per lo stesso motivo deve essere rigettato il quarto motivo di ricorso, con cui
si censura la sentenza impugnata per il mancato riconoscimento dell’attenuante
del concorso di minima importanza ex art. 114, comma 1 cod. pen.: la
motivazione chiarisce ampiamente come la comune programmazione del delitto
e la concordata ripartizione dei ruoli già evidenziata impedivano di riconoscere
tale attenuante a favore di Ferreri, risultando il suo contributo assolutamente
decisivo, poiché la rapina era stata programmata per essere eseguita da due
persone.
Ai fini del riconoscimento dell’attenuante della partecipazione di minima
importanza al reato, la valutazione delle condotte concorsuali non si traduce in
una vera e propria comparazione fra di esse finalizzata a stabilire quale tra i
correi abbia in misura maggiore o minore contribuito alla realizzazione
dell’impresa criminosa, risolvendosi bensì in un esame volto a stabilire se il
contributo dato dal compartecipe si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo
di efficacia causale così lieve rispetto all’evento, da risultare trascurabile
nell’economia generale dell’iter criminoso (Sez. 3, n. 9844 del 17/11/2015 – dep.
09/03/2016, Barbato, Rv. 266461; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012 – dep.
09/01/2013, Modafferi e altro, Rv. 254051), tanto da potere affermare che il
reato sarebbe stato ugualmente compiuto anche senza l’attività del correo. (Sez.
2, n. 18582 del 07/04/2009 – dep. 05/05/2009, Zedda, Rv. 244445): la
motivazione dimostra ampiamente che non si verteva affatto in un’ipotesi del
genere.

4. Anche il motivo concernente il mancato riconoscimento a favore di Ferreri
della desistenza volontaria ai sensi dell’art. 56, comma 3, cod. pen. con
riferimento al delitto di tentato omicidio è infondato.
L’insegnamento costante della giurisprudenza di legittimità afferma che il
concorrente nel reato plurisoggettivo, per beneficiare della desistenza volontaria,

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denaro da prelevare nella cassa perché si trattava di un compito affidato a

non può limitarsi ad interrompere la propria azione criminosa, occorrendo,
invece, un quid pluris consistente nell’annullamento del contributo dato alla
realizzazione collettiva e nella eliminazione delle conseguenze dell’azione che
fino a quel momento si sono prodotte (da ultimo, Sez. 1, n. 9284 del
10/01/2014 – dep. 26/02/2014, Losurdo e altri, Rv. 259250).
Tale principio attua, per i reati plurisoggettivi, quello – anch’esso
costantemente affermato – per cui nei reati di danno a forma libera la desistenza
può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto e non è configurabile una

capace di produrre l’evento, rispetto ai quali può, al più, operare la diminuente
per il recesso attivo (applicata a Ferreri), qualora il soggetto tenga una condotta
attiva che valga a scongiurare l’evento (da ultimo, Sez. 2, n. 24551 del
08/05/2015 – dep. 10/06/2015, Supino e altro, Rv. 264226).
Nel caso in esame – come del resto ammette lo stesso ricorrente – il
tentativo di omicidio posto in essere materialmente da Musso nei confronti della
Racu era già stato consumato nel momento in cui Ferreri era intervenuto
gridandogli di andare via, poiché il complice aveva già sparato i cinque colpi di
pistola contro la donna; irrilevante era, quindi, la possibilità per Musso di
esplodere ulteriori colpi di pistola, ed eventualmente riuscire ad uccidere la
donna.

5. Il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4 cod. pen.
con riferimento alla rapina (quinto motivo di ricorso) deriva da una valutazione di
merito che questa Corte non può sindacare, non risultando manifestamente
illogica.

La ricorrenza dell’aggravante del nesso teleologico di cui all’art. 61, comma
1, n. 2 cod. pen. con riferimento al medesimo reato è stata esattamente
ritenuta.
Il ricorrente ammette che l’aggravante in questione avrebbe potuto essere
ritenuta sussistente con riferimento al delitto di lesioni volontarie (rispetto al
quale è stato contestato e ritenuto dalla Corte territoriale), ma non con
riferimento a quello di tentato omicidio. Questa distinzione si basa, in realtà,
sulla considerazione della reazione della Racu come evento eccezionale ed
imprevedibile e sulla conseguente imprevedibilità del tentato omicidio messo in
atto da Musso: prospettazione ampiamente smentita dalla motivazione, come già
si è visto, e del resto contraddittoria perché pretende di considerare prevedibile
l’aggressione fisica di un rapinatore munito di pistola carica ai danni della
barista, ma imprevedibile l’utilizzo della medesima pistola.

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volta che siano posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale

Il ricorso cita a sproposito la pronuncia di questa Corte secondo cui, in
applicazione del principio di specialità, l’aggravante teleologica di cui all’art. 61
n. 2 cod. pen., di natura soggettiva in quanto applicabile a carico di chi
commette un delitto allo scopo di realizzare un ulteriore delitto, o di occultarlo, o
di assicurarsene il profitto o l’impunità, viene assorbita nel delitto di rapina
impropria, laddove la volontà del soggetto di assicurarsi con violenza sulla
persona il prodotto del bene sottratto o l’impunità è stata assunta come
elemento costitutivo (Sez. 1, n. 42371 del 16/11/2006 – dep. 28/12/2006, P.G.

si attaglia alla rapina impropria e non a quella propria, nella quale il dolo che
muove l’agente è quello di impossessarsi del denaro altrui, e non quello di
assicurare il possesso della cosa sottratta o procurare a sé o ad altri l’impunità.
In sostanza, mentre la descrizione quasi identica del dolo della rapina
impropria e del nesso teleologico giustifica l’applicazione del principio di
specialità di cui all’art. 15 cod. pen., nel caso in esame il tentato omicidio,
eccedendo i limiti della violenza contemplata dall’art. 628, comma 1, cod. pen.,
costituiva autonomo reato commesso al fine della consumazione della rapina.

6. La motivazione in punto di diniego delle attenuanti generiche e conferma
del giudizio di equivalenza tra diminuente del recesso attivo ed aggravante
teleologica è ampia e del tutto logica e si sottrae alle censure mosse con l’ottavo
e il nono motivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 20 settembre 2017

in proc. Timis e altro, Rv. 235570): si tratta, con ogni evidenza, di decisione che

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