Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5338 del 15/10/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5338 Anno 2015
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SPITALETTA ANTONELLA N. IL 14/07/1973
avverso la sentenza n. 1705/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
17/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, pe a parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 15/10/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Gioacchino Izzo, ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Vrenna, il quale si riporta ai motivi
di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Spitaletta Antonella è imputata del reato di cui all’articolo 485 del

una dichiarazione della società

Panificio Montagni S.r.l. nella quale

veniva indicato che l’indagata era una dipendente a tempo
indeterminato, nonché da una busta paga emessa dalla predetta società;
il tutto al fine di ottenere l’erogazione di un mutuo rimborsabile
mediante cessione di quote della retribuzione mensile. Il tribunale di
Milano ha ritenuto l’imputata responsabile dei fatti contestati, ritenuti
unitariamente, e l’ha condannata alla pena di mesi sei di reclusione, con
i doppi benefici di legge. Proposto appello in ordine alla incompetenza
territoriale ed al difetto di regolare querela, la Corte d’appello di Milano
confermava la sentenza impugnata, ritenendo che gli effetti giuridici dei
documenti falsi sifli verificati nel momento in cui erano giunti alla
società finanziaria, con sede in Milano e che la querela fosse stata
validamente proposta dal legale rappresentante della società,
indipendentemente dalla sua natura di ordinaria o straordinaria
amministrazione.
2.

Contro la predetta sentenza propone ricorso per cassazione

l’imputata per i seguenti due motivi:
a. erronea applicazione dell’articolo 485 del codice penale,
nonché violazione degli articoli 8, 12, 16, 24, 33 del codice di
procedura penale; sostiene parte ricorrente che la Corte
territoriale abbia erroneamente considerato le due condotte
delittuose come un reato unitario ed in ogni caso lamenta che
il giudice di appello abbia ritenuto che il reato si era
consumato al momento della ricezione del secondo documento
da parte della società finanziaria di Milano (documento
trasmesso a mezzo telefax). Al contrario, sostiene la difesa, le
due falsificazioni sarebbero da considerare separatamente,
come reati autonomi, unificati solamente sotto il vincolo della
continuazione; in secondo luogo, la seconda falsificazione

1

codice penale perché formava due scritture private false costituite da

doveva ritenersi commessa nel momento in cui era stato
spedito il fax da Firenze; in terzo luogo, trattandosi di reati
connessi ai sensi dell’articolo 12, lett. B, cod. proc. pen., la
competenza per territorio doveva essere determinata con
riferimento al giudice competente per il primo reato,
sicuramente commesso in Firenze tramite consegna della
busta paga all’incaricato della società Asfina Sas.
b. Con un secondo motivo di ricorso l’imputata deduce erronea

riferimento all’articolo 485, per difetto di una condizione di
procedibilità, nonché manifesta illogicità della motivazione;
poiché lo statuto della società

Panificio Monta gni S.r.l.

prevede la rappresentanza congiunta per la straordinaria
amministrazione, la sola sottoscrizione della querela da parte
di uno dei due soci non sarebbe sufficiente, dovendosi ritenere
la proposizione di istanza punitiva quale atto di straordinaria
amministrazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La doglianza è in parte fondata, ma senza che ciò comporti
l’annullamento della sentenza, e ciò per i motivi che seguono;
innanzitutto non si può condividere l’affermazione del giudice di
appello (peraltro conforme a quella di primo grado) secondo cui
vanno considerati unitariamente i due episodi di falsificazione.
Ebbene, la Corte sembra confondere il profilo funzionale con la
struttura del reato di falso; mentre è indubbio che entrambi i
documenti siano stati formati al fine di ingannare la finanziaria Asfina
Sas, così ottenendo l’erogazione del mutuo (ciò che manifesta unicità
del disegno criminoso), è altrettanto evidente che sotto il profilo
strutturale i due fatti mantengono la loro autonomia, tanto da
integrare singolarmente tutti gli elementi costitutivi del reato di cui
all’articolo 485 cod. pen..
2. Consegue a quanto esposto che l’indagine sulla competenza
territoriale andava eseguita con riferimento ad ogni singolo reato,
salva poi, ritenuta la connessione ai sensi dell’articolo 12, lett. B,
l’applicazione dell’articolo 16 cod. proc. pen.; tale norma dispone che
La competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai
2

applicazione dell’articolo 493-bis del codice penale, con

quali più giudici sono ugualmente competenti per materia appartiene
al Giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità,
al giudice competente per il primo reato. Poiché, nel caso di specie, i
due episodi delittuosi sembrano caratterizzarsi per la medesima
gravità (comportando violazione della medesima norma di legge, con
modalità simili) e comunque non essendovi alcun diverso giudizio di
gravità da parte dei giudici di merito, ne consegue che la competenza
andava individuata con riferimento al luogo di commissione del primo

impugnata non risulta in modo certo che la prima falsificazione sia
stata commessa ed utilizzata in luogo diverso da Milano; alla pagina
1 della sentenza si dice che l’intermediario finanziario aveva
incontrato l’imputata a Firenze, ove in una prima occasione aveva
ricevuto i dati identificativi della stessa, e che successivamente la
Spitaletta avrebbe dovuto consegnare le buste paga ed il contratto di
assunzione. Non si dice, però, che tali documenti siano poi stati
consegnati in Firenze. Alle pagine tre e quattro della sentenza, che
contengono la motivazione di appello, non si rinviene alcuna
indicazione con riferimento al luogo di consumazione del primo reato.
In tale contesto, spettava alla ricorrente fornire precisi elementi
istruttori da cui desumere con certezza che il primo reato si era
consumato in Firenze; sul punto, la ricorrente si è limitata a fare
riferimento ad una comunicazione di notizia di reato della polizia
giudiziaria di Prato che, però, non solo non è atto utilizzabile in
dibattimento (e non vi è prova che sia stato acquisito con l’accordo
delle parti), ma neppure è stata prodotta o ne è stata indicata la
precisa collocazione in atti, al fine del rispetto del principio di
autosufficienza del ricorso. Sotto tale profilo, pertanto, il motivo di
ricorso è inammissibile.
3. In linea subordinata, la ricorrente ha sostenuto che il secondo
episodio delittuoso si era comunque verificato in Firenze, dove il
documento falsificato era stato spedito a mezzo telefax alla società
finanziaria di Milano. Questa censura non può trovare accoglimento;
la questione assume connotati di puro diritto, dal momento che non è
dubbio che il documento falsificato fu inviato a mezzo telefax da
Firenze a Milano. Si deve innanzitutto considerare che la
giurisprudenza uniforme di questa Corte considera il reato di falso
consumato nel momento in cui il soggetto fa uso della scrittura (Nel
delitto di falsità in scrittura privata l’uso del documento fa parte della

3

reato. Sul punto, però, occorre constatare che dalla sentenza

condotta criminosa necessaria per integrare il reato, il quale si
consuma nel momento in cui il documento viene usato; Sez. 6, n.
3893 del 14/10/1981, NICCOLARI, Rv. 153221; Massime precedenti
Conformi: Rv. 146181 Rv. 143661 Rv. 140778 Rv. 140771 Rv.
139138). Si tratta dunque di stabilire cosa si intenda per “uso” e
quando ciò si verifichi. A tal proposito, questa stessa sezione ha già
precedentemente affermato che il reato di falso si consuma nel
momento in cui, per la prima volta, si fa uso del titolo, ossia quando

effetti giuridici nei confronti dei terzi (Sez. 5, n. 40913 del
28/10/2010, Russo, Rv. 248511; conff. Sez. 5, Sentenza n. 3925 del
04/12/2002, Rv. 224275; Sez. 5, Sentenza n. 16306 del
22/09/1989, Rv. 182651); come si vede, al fine di individuare il
momento consumativo del reato, non basta che il documento falso
esca dalla sfera di disponibilità dell’agente, essendo altresì necessario
che produca effetti giuridici nei confronti dei terzi. Nel caso di specie,
tali effetti giuridici si sono verificati nel momento in cui la società
finanziaria Asfina Sas ha ricevuto, in Milano, il documento inviato
dalla Spitaletta. Pertanto, deve ritenersi che il secondo reato di falso
si sia consumato in Milano, conseguendone la corretta individuazione
del giudice competente per territorio.
4. L’ eccezione di difetto di querela, per mancata sottoscrizione della
stessa da parte di entrambi i soci investiti della legale rappresentanza
della società – sulla considerazione che la proposizione di istanza punitiva
rappresenti un atto eccedente l’ordinaria amministrazione di un panificio
– è prima di tutto inammissibile ancora una volta per mancata
autosufficienza del ricorso; la difesa cita a pagina sei un frammento delle
disposizioni dello statuto societario, peraltro senza produrne copia. Con
la conseguenza che non solo manca la prova di quanto affermato nel
ricorso, ma soprattutto non è possibile fare una esauriente valutazione
dei poteri di rappresentanza della società senza una lettura integrale
dello statuto, quantomeno nella parte che a tali poteri si riferisce. Ciò
perché, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale cui

il

Collegio intende aderire, il potere di agire in giudizio del legale
rappresentante di una società rientra naturalmente e necessariamente
tra i suoi compiti, riconnettendosi all’esistenza di un effettivo rapporto e
di una sua funzione apicale. L’esercizio di tale potere non richiede
pertanto il conferimento di un apposito mandato, nè una formale
enunciazione della fonte di questo potere, la cui sussistenza deve
4

esso esce dalla sfera di disponibilità dell’agente, producendo i suoi

presumersi fino a prova contraria, atteso che solo alla realizzazione di
questa dimostrazione si collega l’inefficacia della querela (sez. 5, n.
19368 del 14 febbraio 2006, Zunino, Rv. 234539; Sez. 6, n. 16150 del
26 aprile 2012, Filippone, v. 252715). Conseguentemente l’onere della
indicazione dei poteri di rappresentanza di cui all’art. 337, comma terzo,
c.p.p. deve ritenersi correttamente adempiuto con la mera indicazione
della legale rappresentanza, così come avvenuto nel caso di specie (Sez.
5, n. 11074/10 del 4 dicembre 2009, Bervicato, Rv. 246885).

sussiste la legittimazione dell’amministratore all’esercizio del diritto di
querela, considerato che la presentazione di una querela costituisce
certamente atto funzionale al raggiungimento degli scopi della
società e che essa rientra tra i compiti del legale rappresentante della
società senza necessità di specifico ed apposito mandato, in quanto
gli amministratori che hanno la rappresentanza di una società
possono compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale,
salve le limitazioni che risultano dalla legge o dall’atto costitutivo,
con la conseguenza che è rilevante, a tal fine, non già la distinzione
tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, ma la verifica in
concreto dei poteri e della facoltà conferite al legale rappresentante
di una società di capitali (Sez. 5, n. 46806 del 11/07/2005, Losa, Rv.
233038; v. anche sez. 5, n. 14727 del 12.02.2014, Zagaria). Sono,
poi, del tutto inconferenti le considerazioni sulla attività societaria
(attività di panificazione). La presentazione di querela è atto che
spetta al rappresentante legale e non ha senso, ai fini in esame, la
distinzione tra ordinaria e straordinaria amministrazione in relazione
all’attività, posto che nessuna società può avere come scopo la
presentazione di querele, che, quindi, sono sempre evidentemente
estranee all’oggetto sociale. Ma non per questo sono classificabili
come atti di straordinaria amministrazione.
6. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; ai sensi dell’art. 616
c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che
lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del
procedimento.

5

5. In ogni caso, questa Corte ha già avuto modo di precisare che

P

p.q.m.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 15/10/2014

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