Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53375 del 05/10/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 53375 Anno 2017
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: TRONCI ANDREA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:

MORELLI ALBERTO nato il 16/05/1951 a GUIDONIA M. (RM)
LOMBARDI MATTEO nato il 23/02/1979 a ROMA
ARGENTINO GERARDO nato il 30/07/1959 a ROMA
MARIANI ROSA nata il 15/05/1959 a Roma

avverso l’ordinanza dell’08/05/2017 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA

sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA TRONCI;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIO BALSAMO, che ha
concluso per il rigetto dei ricorsi.
sentiti i difensori, avv. ALESSANDRO MATTONI, per Morelli, MASSIMO BEVERE, per Lombardi,
CARMELO TRIPODI, per Argentino, e PASQUALE BARTOLO, per Mariani, i quali hanno concluso
per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;

Data Udienza: 05/10/2017

RITENUTO IN FATTO

1.

Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Roma – sezione per il

riesame, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. dai difensori degli indagati,
confermava – per quanto qui rileva – le misure coercitive adottate dal g.i.p. del
Tribunale di Tivoli nei confronti dei soggetti seguenti:
Alberto MORELLI, sottoposto a custodia cautelare in carcere in relazione

aver, in qualità di consigliere comunale del comune di Guidonia Montecelio, in
concorso con l’altro pubblico ufficiale Angelo DE PAOLIS, dirigente del settore
urbanistica del comune medesimo, nonché con il privato corruttore Francesco
DEI, amministratore di fatto della società SAITRAV s.r.I., ricevuto in più
occasioni somme di denaro da parte del menzionato DEI,

“a fronte

dell’approvazione di una variante al piano regolatore ai sensi dell’art. 8 del
DPR 160/10 richiesta dalla società SAITRAV”, finalizzata alla trasformazione
della zona ivi indicata da verde pubblico attrezzato ed agricola a sito
estrattivo temporaneo per la durata di 12 anni, onde consentire alla detta
società l’apertura di un nuovo sito di estrazione del marmo;
Matteo LOMBARDI, sottoposto ad arresti domiciliari presso la propria
abitazione, per aver concorso, con i pubblici ufficiali Gerardo ARGENTINO e
Michele MACCARONI – nell’ordine, l’uno dirigente del settore ambiente del
comune e l’altro funzionario del medesimo settore, nonché stretto
collaboratore del primo – nella commissione dell’ipotizzato reato di peculato
di cui al capo d’incolpazione 6), consistito nell’indebita appropriazione, sulla
scorta di un preventivo accordo, “della somma complessiva di C 12.333,28, di
cui i pubblici ufficiali avevano la disponibilità in ragione dei loro incarichi e
delle loro competenze d’ufficio in seno al comune di Guidonia Montecelio,
distraendola successivamente a beneficio dell’ing. LOMBARDI Matteo, in
particolare ben consapevoli della mancata realizzazione delle attività affidate
al professionista, e quindi della stessa falsità delle fatture da costui fatte
pervenire all’Ente Pubblico”, relativamente al conferimento al prevenuto del
compito di elaborare un preteso piano rifiuti;
Gerardo ARGENTINO, sottoposto a custodia cautelare in carcere quale
partecipe, nella qualità sopra indicata, dell’associazione per delinquere di cui
al capo d’imputazione provvisoria sub 20), finalizzato alla commissione di una
serie indeterminata di delitti contro la P.A., nell’ambito di quello definito
dall’ordinanza genetica come il “sistema Guidonia”, nonché quale concorrente
di una molteplice serie di peculati e connessi falsi ideologici in atto pubblico

2

all’ipotesi di corruzione di cui al capo d’imputazione provvisoria sub 17), per

[cfr. le incolpazioni di cui ai capi 2) e 3), 4) e 5), 6) e 7), 8) e 9)] e, ancora,
di ulteriori ed analoghe ipotesi di falso ideologico ex art. 479 cod. pen. [v. le
incolpazioni da 10) a 13)];
Rosa MARIANI, sottoposta a custodia cautelare in carcere quale partecipe,
nelle vesti di segretario generale del comune di Guidonia Montecelio, della già
ricordata associazione per delinquere sub 20).

2.

Avverso detta ordinanza hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione

2.1 L’atto d’impugnazione redatto nell’interesse di Alberto MORELLI censura il
provvedimento del Tribunale di Roma con riferimento al solo profilo delle
esigenze cautelari, in ordine al quale si eccepiscono violazione di legge e vizi
alternativi della motivazione.
In particolare, il giudice distrettuale della cautela, reiterando il medesimo
errore commesso dal g.i.p. e vanamente denunciato dalla difesa, avrebbe
ravvisato la sussistenza di esigenze cautelari, “sotto il duplice profilo del rischio
di recidiva e di inquinamento probatorio, desumendo entrambi dai
comportamenti dell’imputato coevi al fatto, assunti quali indici di proclività a
delinquere”, senza nulla dire in ordine ai requisiti della concretezza ed attualità,
quali richiesti dall’art. 274, lett. a) e c), del codice di rito, incurante, in punto di
diritto, dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità e, in punto di fatto,
di due circostanze, debitamente rappresentate al Tribunale, ma non valutate:
l’una legata al comportamento dell’imputato, pur oggetto di perquisizione ben sei
mesi prima dell’adozione della misura a suo carico, e perciò indice tangibile
dell’inesistenza delle esigenze anzidette, stante la conoscenza delle indagini in tal
modo acquisita dal prevenuto e l’assenza di condotte sintomatiche sia di pericolo
di reiterazione che di inquinamento del quadro indiziario; l’altra legata alle
cessazione della qualità di consigliere comunale, alla base della contestazione
per cui si procede. Non senza aggiungere il carattere indebito dell’assunto del
Tribunale capitolino in merito all’assenza di “un ripensamento critico della propria
condotta da parte dell’indagato”, dedotto dall’iniziale esercizio della facoltà di
non rispondere alle domande in sede d’interrogatorio di garanzia.
Secondariamente, si contesta altresì il carattere congetturale e comunque
illogico della motivazione resa in punto di adeguatezza della misura adottata,
rispetto a quella meno gravosa degli arresti domiciliari.
2.2 n difensore di Matteo LOMBARDI deduce due motivi di doglianza.
Il primo ha ad oggetto, ai sensi dell’art. 606 lett. b), c) ed e) cod. proc.
pen., la contestata “inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 273 c.p.p. e
dell’art. 292 co. H lett. c) e c bis) c.p.p.”, nonché la “omessa motivazione in

3

i difensori di fiducia dei quattro indagati di cui sopra.

ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza”: ciò per avere il
Tribunale confermato il quadro indiziario prospettato dalla pubblica accusa “in
assenza di un vaglio critico delle risultanze investigative”, senza un reale esame
delle deduzioni della difesa, atte a ricostruire compiutamente la vicenda relativa
all’incarico conferito all’odierno ricorrente ed a dimostrarne l’effettivo
adempimento, così abdicando al ruolo di garanzia suo proprio.
Indicativo nel senso anzidetto sarebbe l’apprezzamento solo parziale delle
dichiarazioni del dott. LATINI, referente del LOMBARDI, immune da censure

neppure rimosso dall’incarico ricoperto in seno al comune di Guidonia – la cui
parola viene indicata come vero e proprio “fulcro dell’odierna imputazione”: tali
dichiarazioni, infatti, sarebbero state valorizzate solo nella parte confacente alla
tesi d’accusa, ma del tutto tralasciate in quella in grado di supportare la versione
difensiva – nonostante la produzione, in sede di riesame, del testo integrale della
sua deposizione – ancor più se doverosamente coniugate con lo “elemento
obiettivo dell’invio da parte del LOMBARDI di una relazione sul piano dei rifiuti,
così come sollecitato”. E parimenti indicativo sarebbe l’assunto apodittico
(essere, cioè, in re ipsa) utilizzato dal Tribunale per dar conto del supposto
“accordo tra intraneus ed extraneus per la realizzazione del delitto di peculato”.
Il secondo profilo di censura investe il tema delle esigenze cautelari, poiché
l’ordinanza impugnata sarebbe stata adottata “in palese violazione del disposto
dell’art. 274 lett. c) c.p.p. e dell’art. 292 co. H lett. c)” dello stesso codice,
essendo comunque inficiata da vizio della motivazione sul punto: segnatamente,
si sarebbe dovuto tener conto, a maggior ragione dopo l’intervento legislativo di
cui alla novella n. 47/2015, del tempo trascorso dall’accadimento dei fatti
contestati, poiché l’incarico alla base del contestato episodio delittuoso si è
“perfezionato e concluso nel dicembre 2016”, risultando carente la dimostrazione
della necessaria attualità del pericolo di reiterazione – intesa quale concreta
occasione prossima, favorevole alla commissione di nuovi reati, secondo i canoni
interpretativi fissati dalla giurisprudenza di legittimità – priva di elementi fattuali
a supporto, in quanto affidata ad una mera “petizione di principio”, così definito
“il riferimento alla disponibilità dell’accordo con i funzionari infedeli”. Allo stesso
modo, deficitaria sarebbe la motivazione relativa al pericolo di inquinamento
probatorio, addirittura non contemplato dall’ordinanza genetica, in quanto
autonomamente introdotto dal Tribunale, peraltro sulla scorta di “una circostanza
riguardante esclusivamente il prevenuto DE FELICE”.
2.3 Tre sono le censure formalizzate nell’interesse di Gerardo ARGENTINO dal
legale del prevenuto, che più precisamente deduce la violazione dell’art. 309, co.
9, cod. proc. pen., nonché carenza di motivazione, con riferimento a sollecitato

– non risultando indagato nel presente procedimento, sì da non essere stato

annullamento dell’ordinanza genetica, per via della mancanza di autonoma
valutazione da parte del g.i.p., sia riguardo “alle specifiche esigenze cautelari
sussistenti nel caso di specie” (1° motivo), sia “in ordine agli indizi di
colpevolezza” (2° motivo), alla stregua delle puntuali indicazioni sottoposte al
Tribunale, rimaste nondimeno prive di risposta. Mentre la terza doglianza
concerne il difetto di motivazione circa l’idoneità di “misure gradate idonee a
salvaguardare le esigenze cautelari ritenute esistenti”, segnatamente con
riferimento a quella degli arresti domiciliari, eventualmente integrata dalla

giudice capitolino.
2.4 Molteplici, infine, sono i motivi di critica mossi dalla difesa di Rosa MARIANI
all’ordinanza del Tribunale di Roma.
Per l’esattezza, il legale ricorrente deduce, nell’ordine:
a) “inosservanza dell’art. 275, co. 3 e 3 bis, c.p.p. e mancanza di motivazione,

ex art. 606, co. 1, lett. c) ed e)” cod. proc. pen., stante la sostanziale
assenza di spiegazione circa l’inadeguatezza di misure diverse dalla custodia
in carcere, pur congiuntamente applicate, a soddisfare le esigenze cautelari,
tenuto conto della erroneità, ovvero del carattere “apodittico, privo di
qualsiasi valore argomentativo”, proprio delle considerazioni svolte dal
provvedimento impugnato;
b) “inosservanza degli artt. 191 e 271 c.p.p.” con riferimento alla conversazione
indebitamente captata il 9 febbraio 2016 all’interno del ristorante Villa Tivoli,
intercorsa fra la prevenuta ed i coindagati DI PALMA (assessore e poi
vicesindaco del comune) e DE PAOLIS (dirigente responsabile del settore
urbanistica del comune medesimo);
c)

“manifesta illogicità della motivazione”, l’intero sviluppo logico-argomentativo
del ragionamento svolto dal Tribunale essendo asseritamente inficiato dal
dato posto a base, ossia dalla mancata contestazione, da parte della
prevenuta, della sussistenza dell’associazione per delinquere ipotizzata,
laddove, al fine di far valere la personale innocenza, “è evidente che la
MARIANI non può che protestare la propria estraneità rispetto alla
associazione che l’accusa assume sia esistita”;

d) “violazione degli artt. 273, 292 e 309 c.p.p. nonché mancanza e manifesta
illogicità e contraddittorietà della motivazione, ex art. 606, co. 1, lett. c) ed
e)” cod. proc. pen., avuto riguardo alle specifiche censure formalizzate dalla
difesa e tuttavia rimaste prive di risposta, essendosi il Tribunale limitato a
fornire “una mera, apodittica e suggestiva elencazione (rectius rivisitazione in
forma accusatoria) degli elementi indiziari posti a sostegno della custodia in
carcere”;

contestuale adozione di misure interdittive, pure espressamente proposte al

e) “violazione degli artt. 274, 292 e 309 c.p.p. nonché mancanza e manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari,

ex art. 606, co. 1, lett. c) ed e)” cod. proc. pen., atteso che l’ordinanza
impugnata – che nulla dice circa il pericolo di inquinamento probatorio,
espressamente contestato con l’originaria impugnazione – farebbe discendere
“il pericolo di reiterazione dei reati” da un’argomentazione definita “carente”,
poiché del tutto silente circa le obiezioni difensive, nonché “illogica e
contraddittoria”, nella parte concernente la reputata attualità del relativo

sol perché la prevenuta avrebbe assunto analogo incarico presso altro
comune della Regione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Si premette che, nelle more, anche i ricorrenti MORELLI (dal 28.07.2017),

ARGENTINO e MARIANI (dal 18.07.2017) sono stati posti agli arresti domiciliari.

2.

Ciò posto, tutti i ricorsi proposti sono infondati e vanno pertanto disattesi,

alla stregua delle ragioni che seguono.

3.

Per ciò che concerne la posizione del MORELLI, essendo le doglianze – così

come illustrate – incentrate sulla pretesa, mancata verifica dei requisiti della
concretezza ed attualità delle ravvisate esigenze cautelari, sono opportune
alcune osservazioni sul punto, avuto specificamente riguardo a quelle di cui alla
lettera c) dell’art. 274 del codice di rito.
3.1 Recentemente le Sezioni Unite, pur chiamate ad affrontare una diversa
questione di diritto sottoposta alla loro attenzione, hanno dedicato alcuni cenni al
tema in questione, significando che il requisito dell’attualità è attributo distinto
rispetto a quello della concretezza, posto che quest’ultimo va correlato “alla
capacità a delinquere del reo”, il primo “alla presenza di occasioni prossime al
reato”; dopodiché è stato osservato che, ferma la necessità della distinta
valutazione dei due requisiti – in ragione, appunto, della loro autonomia
concettuale – gli “indici rivelatori” da prendere in esame, ai fini della verifica
della loro reale sussistenza, sono i medesimi, da individuarsi nelle “specifiche
modalità e circostanze del fatto e personalità dell’indagato o imputato” (cfr., in
parte motiva, Cass. Sez. Un. sent. n. 20769 del 28.04.2016, ric. Lovisi).
Dunque, al di là della formale distinzione, il dato qualificante che emerge
dal ricordato intervento dell’Alto Consesso consiste nel fatto che l’indagine
sull’attualità delle esigenze cautelari va compiuta sulla scorta dei medesimi dati
conoscitivi da apprezzarsi ai fini della valutazione sulla concretezza delle

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pericolo, malgrado la cessazione della carica presso il comune di Guidonia,

esigenze medesime, rimanendo quindi ancorata ad un giudizio prognostico, in cui
rivestono rilevanza tanto le componenti oggettive, legate al fatto per cui è
processo, quanto quelle discendenti dal profilo soggettivo dell’agente. Ciò allo
scopo di verificare la permanenza della situazione di fatto che ha reso possibile
o, comunque, agevolato la commissione del delitto per il quale si procede, sì da
rendere prevedibile il suo riprodursi nell’immediato futuro; ovvero, qualora tale
valutazione non sia possibile – si pensi a fatti di furto non particolarmente
connotati, suscettibili di essere consumati attraverso svariate modalità di

una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, avuto doverosamente
riguardo al momento dell’adozione della misura (cfr. Sez. 5, sent. n. 12618 del
18.01.2017, Rv. 269533, nonché Sez. 6, sent. n. 39020 del 18.07.2017, n.m.,
ric. Alfano+1).
3.2 Ferme, dunque, le coordinate di diritto testé tracciate, va compiuto
doveroso riferimento alla specificità della vicenda in esame, del resto implicito
nel ragionamento svolto dal Tribunale distrettuale della cautela, volto alla
dimostrazione dell’assoluta negatività della prognosi formulabile nei confronti
dell’odierno ricorrente alla luce, appunto, della oggettiva gravità dei fatti e della
personalità dell’indagato, l’una e l’altra più dettagliatamente descritte in seno al
provvedimento genetico emesso dal competente g.i.p. del Tribunale di Tivoli.
In proposito, è senza meno significativo, anche ai fini del giudizio in tema
di esigenze cautelari, che l’ordinanza custodiale, facendo esplicitamente propria
la valutazione già compiuta dal p.m., definisca l’episodio corruttivo relativo al
mercimonio per l’approvazione di una variante al piano regolatore comunale, in
cui il MORELLI è coinvolto in termini conclamati – al punto da essere
acquiescente sul tema della gravità indiziaria – come “emblematico”, “perché
dimostra che – indipendentemente dal dirigente in carica …

omissis

l’imprenditore in contatto con il comune di Guidonia è perfettamente consapevole
che corrispondendo tangenti riesce comunque ad ottenere il soddisfacimento dei
propri interessi, facendo leva su un sistema di malaffare coeso e ingordo. Un
sistema perfino indifferente al succedersi dei funzionari pubblici e noto ai privati
che intendono avvalersene. Chiunque regga le sorti amministrative del comune i
protocolli corruttivi non variano”.
3.3 Dunque, a fronte della ritenuta creazione di un vero e proprio “sistema di
malaffare”, tale da reggere e perpetuarsi anche al di là del mutamento dei singoli
funzionari pubblici, è di tutta evidenza che la prognosi di un concreto ed attuale
pericolo di reiterazione di condotte analoghe, formulata dal g.i.p. e ribadita dal
Tribunale, non appare suscettibile di censure.

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esecuzione – onde accertare la sussistenza di elementi obiettivi, sintomatici di

Né rileva, in senso contrario, che non sia stato dato spazio alla circostanza
dell’intervenuta cessazione del MORELLI dalla carica di consigliere comunale: si
tratta, invero, di un dato implicitamente relegato in un ambito marginale dalla
pregressa ricostruzione, posta a base della formulazione della prognosi
anzidetta, tanto più ove si consideri che, alla stregua della più volte citata
ordinanza genetica, il ruolo dell’indagato – di cui non è affatto indifferente la
veste professionale di commercialista – è essenzialmente di intermediazione
rispetto al DE PAOLIS, dirigente nel settore dei lavori pubblici (cfr., in

riprova di quanto sopra – che il provvedimento impugnato sottolinei lo “speciale
rapporto” del prevenuto, “che lo lega ad alcuni funzionari corrotti del comune in
una sinergica azione politico-burocratica destinata ad avere effetti devastanti per
i cittadini”. Allo stesso modo in cui sono degni di nota, al fine che ne occupa,
taluni passaggi – anch’essi riportati nel provvedimento del g.i.p. – in cui il
prevenuto, pur a fronte della consapevolezza di riprese effettuate subito dopo la
consegna del denaro, per un verso esorcizza il timore che gli operanti fossero
Carabinieri e, per altro verso, accenna prontamente alla linea difensiva da tenere
per sottrarsi ad eventuali accuse, a dimostrazione della sicura risoluzione di
proseguire nell’attività criminosa in cui è fattivamente coinvolto. Il che vale a
porre di fatto nel nulla anche l’ulteriore dato – peraltro quanto meno
intrinsecamente neutro, se non addirittura ovvio – su cui il ricorso in esame pone
l’accento, ossia il comportamento non censurabile tenuto dal MORELLI
successivamente alla perquisizione eseguita a suo carico nell’ambito del presente
procedimento, prima dell’esecuzione della misura custodiale qui in contestazione.
3.4 Le considerazioni che precedono rivestono valenza assorbente rispetto alla
fondata – ma, per quanto detto, irrilevante – contestazione della ulteriore
esigenza cautelare del concreto pericolo di inquinamento probatorio, in ordine
alla quale evidente è la insanabile contraddittorietà fra l’asciutta affermazione del
Tribunale circa la capacità del MORELLI “di ostacolare concretamente le indagini”
ed il successivo riconoscimento dell’ammissione delle proprie responsabilità da
parte dell’indagato, seppur solo dopo le concordi dichiarazioni dei correi e – si
aggiunge – senza “ammissioni che travalicassero la propria posizione”.
3.5 La sopravvenuta assegnazione del MORELLI agli arresti domiciliari
comporta il superamento, per difetto d’interesse, dell’ultimo motivo di censura,
in tema di adeguatezza della più gravosa misura ab origine adottata.

4.

Venendo, ora, a valutare il ricorso relativo al LOMBARDI, rileva il Collegio

che la prospettazione della difesa, indubbiamente suggestiva, non è tuttavia
supportata da effettivo fondamento.

8

particolare, pag. 171 della detta ordinanza), essendo altresì significativo – a

4.1

II primo motivo di doglianza ruota, nella sostanza, in ordine all’insufficiente

e superficiale approccio al materiale probatorio che il Tribunale avrebbe
compiuto, incorrendo in un vero e proprio travisamento della prova (per
omissione) quanto alle dichiarazioni del LATINI, che pure avrebbero dovuto
costituire – come già si è avuto modo di ricordare – il “fulcro” della ricostruzione
del fatto ascritto, in quanto provenienti dal “funzionario responsabile del settore
in cui è stato chiamato a collaborare il LOMBARDI e testimone ‘chiave’ della
vicenda” e che darebbero prova dell’effettività dell’incarico e del suo

In realtà, così non è.
Il dato centrale – opportunamente valorizzato dal Tribunale distrettuale
della cautela, anche mediante il riferimento alle succitate dichiarazioni del
LATINI – è che nessuna traccia del lavoro del professionista è stata rinvenuta
all’atto della perquisizione negli uffici comunali compiuta dal personale incaricato
della p.g.; dato da correlarsi con quanto riferito proprio dal LATINI (seppur frutto
di una sua riferita cognizione successivamente acquisita), e del pari rimarcato
dall’ordinanza impugnata, in ordine alla mancata formalizzazione di tale presunto
incarico in qualsivoglia disciplinare o contratto.
E’ principio consolidato, nella giurisprudenza civile di questa Corte come
pure di quella amministrativa (v. Cons. St., Sez. 4, sent. n. 178 del 19.02.1999),
che, quando sia parte di un contratto una pubblica amministrazione, pur ove
questa agisca iure privatorum, è richiesta, in ottemperanza al disposto degli artt.
16 e 17 del r.d. n. 2440 del 18.11.1923, la forma scritta

ad substantiam,

essendosi finanche precisato come sia del tutto irrilevante l’esistenza di una
deliberazione con la quale l’organo collegiale dell’ente abbia autorizzato la stipula
del contratto, qualora tale deliberazione non risulti essersi tradotta nel
necessario, distinto ed autonomo documento sottoscritto dal rappresentante
esterno dell’Ente stesso; ciò in quanto detta deliberazione non costituisce una
proposta contrattuale nei confronti di quest’ultimo, ma un atto con efficacia
interna all’Ente che ha solo natura autorizzatoria (cfr. la motivazione di Cass.
civ., Sez. 2, sent. n. 10910 del 18.5.2011, n.m.).
“La forma scritta

ad substantiam è

invero considerata strumento di

garanzia del regolare svolgimento dell’attivita’ amministrativa, sia nell’interesse
del cittadino, costituendo remora ad arbitrii, sia nell’interesse della stessa
pubblica amministrazione, rispondendo all’esigenza di identificare con precisione
l’obbligazione assunta e il contenuto negoziale dell’atto e, specularmente, di
rendere possibile l’espletamento della indispensabile funzione di controllo da
parte dell’Autorità tutoria”, per cui – come è stato puntualmente evidenziato – “il
requisito in parola può considerarsi espressione dei principi di buon andamento e

9

espletamento da parte del LOMBARDI medesimo.

di imparzialita’ dell’amministrazione sanciti dalla Carta Costituzionale” (così, in
parte motiva, Cass. civ., Sez. 3, sent. n. 20340 del 28.09.2010, n.m.).
Quanto precede riveste chiara valenza assorbente e, per l’effetto, giustifica
appieno l’omessa (esplicita) citazione, in ragione della conseguente irrilevanza,
delle parti delle dichiarazioni del predetto LATINI su cui si fondano le censure
difensive, ossia quelle in cui lo stesso dà conto dell’avvenuta acquisizione, da
parte dell’odierno ricorrente, di “dati in possesso di questo Comune”, posti a
base dello studio realizzato dal LOMBARDI. Non senza rilevare come anche la

sbrigativa: l’ordinanza impugnata, infatti, afferma non esser “chiaro” “il
riferimento allo studio che sarebbe stato effettuato dal LOMBARDI sui dati in
possesso del Comune” e tanto sostiene dopo aver riportato l’ulteriore passo delle
sommarie informazioni del LATINI, in cui il funzionario rappresenta non esser
“riconducibili precise e/o documentate prestazioni professionali” a ciascuna delle
fatture emesse dal menzionato LOMBARDI (si veda altresì, a tale ultimo
riguardo, Cass. Civ., Sez. 1, sent. n. 5263 del 17.03.2015, Rv. 634726-01, che,
nel ribadire il principio della forma scritta ad substantiam dei contratti conclusi
dalla P.A., salve le sole deroghe previste per le imprese commerciali dall’art. 17
r.d. n. 2440/1923, precisa “che le fatture prodotte in giudizio dalla P.A.
convenuta non possono rappresentare la forma scritta dell’accordo e non sono
suscettibili di rappresentare un comportamento processuale implicitamente
ammissivo del diritto sorto dall’atto negoziale non esibito”).
Discende da quanto precede che il Tribunale – di cui non può pertanto
esser posto in discussione il doveroso approccio critico alle carte del
procedimento – ha sostanzialmente preso in considerazione la totalità delle
dichiarazioni del più volte citato LATINI; essendo appena il caso di ribadire che,
nella presente sede di legittimità, non possono trovare ingresso ricostruzioni
alternative del fatto. Mentre, per altro verso, la già rimarcata (e non contestata)
circostanza dell’assenza di un contratto scritto, in quanto ovviamente nota al
professionista interessato, costituisce l’implicito presupposto dell’affermazione
del Tribunale circa la sussistenza del previo accordo dell’extraneus con il pubblico
ufficiale, in tal senso rilevando – ai fini della verifica demandata al Collegio anche l’ulteriore elemento sottolineato dall’ordinanza impugnata (ivi, pag. 13), a
proposito della trasmissione ad opera del LOMBARDI, solo successiva alla
perquisizione compiuta dalla G.d.F., di un “sintetico e generico piano-rifiuti”,
seguita poi dall’inoltro di altre parti del piano medesimo “da parte della direzione
dell’ARGENTINO, nell’ambito di quella solerte attività di ‘integrazione’ che questo
indagato pone in essere nel disperato tentativo di ‘aggiustare’ le cose e che si
risolve in un’attività di palese inquinamento probatorio”.

10

conclusione del mancato apprezzamento di tali passaggi sia decisamente

4.2

Relativamente al profilo delle esigenze cautelari, su cui s’incentra il

secondo motivo di ricorso, esclusa ogni valenza del richiamo all’art. 292 cpv. lett.

c) cod. proc. pen. in rapporto all’ordinanza impugnata – stante la pertinenza
della norma in questione al solo provvedimento genetico – lo stesso conclusivo
assunto difensivo, circa il carattere “assolutamente insufficiente, a livello di
motivazione”, della valutazione compiuta dal Tribunale con riferimento
all’assorbente pericolo di reiterazione delle condotte, è indice sintomatico
dell’insussistenza del pur denunciato vizio di motivazione (da ritenersi senza

unicamente la conseguente ricaduta).
Il Tribunale ha in proposito valorizzato la rilevante “dimestichezza con i
funzionari corrotti del comune” palesata dal LOMBARDI e tale affermazione, lungi
dal poter essere considerata apodittica e meramente congetturale, è l’ovvio
precipitato del quadro indiziario così come ricostruito dal g.i.p. e convalidato
dallo stesso Tribunale, tanto più alla luce della protrazione della condotta
criminosa oggetto del capo d’imputazione provvisoria, snodatasi in parallelo
all’emissione delle fatture attraverso le quali si assume essere stato percepito
l’illecito compenso. Onde la “disponibilità all’accordo con i funzionari infedeli”,
che fonda il ravvisato pericolo di recidiva, costituisce un giudizio prognostico
coerente con i principi in precedenza ricordati al paragrafo 3.1, poiché fondato su
una salda base logica mutuata dai fattuali, a fortiori in relazione alla concreta
capacità, palesata dai funzionari anzidetti, di creare un vero e proprio sistema
pervasivo di malaffare all’interno del comune di Guidonia Montecelio. Né può
avere alcuna rilevanza, in senso contrario, il dato temporale, sol che si consideri
l’oggettiva prossimità dei fatti per cui è procedimento, che precedono di pochi
mesi l’emissione dell’ordinanza cautelare tenuta ferma dal Tribunale capitolino.

5.

Eguale giudizio d’infondatezza va ripetuto per l’impugnazione concernente

la posizione dell’ARGENTINO, che per molti versi, anzi, non supera nemmeno la
soglia dell’ammissibilità.
5.1 Manifestamente infondato, infatti, è il motivo – per l’esattezza, il secondo con cui il ricorrente lamenta il difetto di motivazione, da parte del Tribunale, con
riferimento all’eccezione – allo stesso già sottoposta e comunque reiterata in
questa sede – di nullità dell’ordinanza genetica, per assenza di valutazione
autonoma del quadro indiziario a carico del prevenuto.
Sul punto il Tribunale, premesso che il difetto di autonoma valutazione non
va in alcun modo confuso con l’originalità dei motivi a sostegno – per l’effetto
restando sempre valido l’insegnamento giurisprudenziale in ordine alla legittimità
del ricorso alla motivazione per relationem, purché sia possibile desumere che le

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meno prioritario in rapporto alla pur dedotta violazione di legge, che ne sarebbe

relative argomentazioni siano state meditate e quindi fatte proprie dal giudice ad
quem – ha osservato come il g.i.p. abbia esordito affermando esplicitamente di
ritenere fondate le osservazioni svolte dal p.m., in larga parte riportate
nell’ordinanza cautelare e seguite quindi da una propria analisi del dettaglio del
quadro indiziario relativo tanto alla fattispecie associativa quanto ai reati fine,
altrettanto esplicitamente qualificata come “autonoma valutazione”.
Inconsistente, pertanto, è il preteso vizio di motivazione dell’ordinanza
impugnata, mentre, per altro verso, a fronte di quanto detto, del tutto generico è

una “formula stereotipata”, come pure quello ulteriore, con cui si “liquidano”
come meri stilemi o éscamotages linguistici le differenze pur esistenti nel
provvedimento del g.i.p. rispetto all’atto d’impulso del magistrato inquirente.
5.2 Non riveste reale fondamento anche il primo motivo del ricorso, con cui si
formula la medesima censura di difetto di motivazione di cui sopra, riferita però
al profilo delle esigenze cautelari.
Si è già detto della premessa, per vero ampia, che il Tribunale ha dedicato
al tema dell’autonoma valutazione del g.i.p. ed ai suoi riflessi rispetto all’utilizzo
della motivazione

per relationem,

avendo peraltro sicura consapevolezza

dell’ambito di estensione della problematica sollevata dalla difesa, tale da
abbracciare l’apprezzamento sia del quadro indiziario, che delle esigenze
cautelari, come esplicitamente si legge a pag. 9 del provvedimento censurato in
questa sede. Ne consegue che, laddove il Tribunale, nel paragrafo appositamente
dedicato alle esigenze di cui all’art. 274 del codice di rito, afferma che
nell’ordinanza redatta dal g.i.p. “le ragioni di cautela relative al pericolo di
recidiva e di inquinamento probatorio sono chiaramente e diffusamente indicate
per ciascuno degli indagati”, per di più richiamando apertamente le proprie
pregresse considerazioni in punto di motivazione per relationem, non può che
ritenersi che abbia inteso in tal modo rispondere, disattendendola, all’eccezione
di nullità di cui trattasi, per difetto di autonoma valutazione. Con l’ulteriore
rilievo che la lettura del provvedimento genetico evidenzia esattamente lo
schema tratteggiato nel dettaglio dal Tribunale con riferimento al costrutto
indiziario e – per quanto osservato – oggetto di mero richiamo in relazione al
profilo delle esigenze cautelari: anche qui, infatti, il g.i.p. esordisce rilevando che
“l’esposizione dei fatti”, quale “mutuata … dalle informative di reato e dalla
richiesta del p.m.”, nonché la valutazione che di essi è stata compiuta dallo
stesso giudicante, “rendono pressoché evidenti le esigenze di cautela che
sostengono la pretesa coercitiva dell’accusa”, significandone anzi l’ancor
maggiore pregnanza per coloro – come l’ARGENTINO – che risultano raggiunti
anche dall’imputazione associativa; ciò a cui segue l’esposizione passaggi

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l’assunto secondo cui la predetta “autonoma valutazione” sarebbe unicamente

relativi ai singoli indagati tratti dalla richiesta cautelare, preceduta dalla
dichiarazione di loro espressa condivisione.
5.3

Infine, in ordine alla censura in tema di adeguatezza della misura – su cui,

nella sostanza, il provvedimento impugnato rinvia a quello genetico – l’avvenuta
assegnazione agli arresti domiciliari del prevenuto comporta il sopravvenuto
difetto d’interesse del ricorrente sul punto, tenuto conto che giusto la mancata
adozione di tale meno gravosa misura è alla base dì detto motivo.

Quanto al ricorso predisposto nell’interesse della MARIANI, può

sinteticamente osservarsi quanto segue, secondo l’ordine di formulazione delle
doglianze (pur non rispondente alla priorità logico-giuridica dei motivi di critica).
6.1 II livello di gravità delle esigenze cautelari è strettamente correlato al
profilo dell’adeguatezza: può dunque ritenersi che la motivazione sul primo
punto dia implicita risposta al detto profilo, peraltro da ritenersi superato, anche
in questo caso, per via della sopraggiunta sostituzione dell’originaria misura con
quella degli arresti domiciliari, sulla cui mancata adozione risulta concretamente
incentrata la censura in esame.
6.2 II secondo motivo – che investe l’utilizzabilità delle dichiarazioni dei
commensali, fra cui la MARIANI, nel corso del pranzo consumato il 09.02.2016
nel ristorante “Villa Tivoli” – è generico, perché non affronta il nodo della decisiva
rilevanza della dedotta inutilizzabilità rispetto alla gravità del composito quadro
indiziario (qui costituito da una molteplicità di elementi a carico), conformemente
all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte sul punto: si veda Sez. 4,
sent. n. 18232 del 12.04.2016, Rv. 266644, secondo cui, appunto, “L’ordinanza

applicativa di misure caute/ari personali, pur se formalmente viziata da
inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, in tanto va
annullata in quanto si accerti che la fonte di prova illegittimamente indicata e
utilizzata ha avuto una efficacia determinante nella formazione del
convincimento del giudice del merito, nel senso che la scelta della soluzione
adottata, nella struttura argomentativa della motivazione, non sarebbe stata la
stessa senza l’utilizzazione di quella fonte di prova (In motivazione, la Corte ha
precisato che è inammissibile per genericità il motivo di ricorso in cui non sia
indicata l’incidenza della prova ritenuta inutilizzabile sul convincimento del
giudice di merito)”.
Fermo l’assorbente rilievo di cui sopra, non è peraltro inutile osservare che,
poiché non è contestato che l’impiego del telefono cellulare a mo’ di registratore
sia stato compiuto dal personale di p.g. che, per la posizione occupata, percepiva
i discorsi degli indagati, è corretta l’affermazione in diritto del Tribunale, nel
senso che non ci si trova qui in presenza di un’intercettazione, bensì di un

13

6.

documento a supporto della memoria degli operanti: a significare, cioè, che, nel
caso di specie, la registrazione del colloquio costituisce una forma di fissazione
su supporto informatico – la memoria del cellulare – di un fatto storico
direttamente percepito dal teste, che sarà perciò utilizzabile in dibattimento
quale prova documentale. Essendo appena il caso di puntualizzare, per doverosa
completezza, come la presente vicenda esuli dall’ambito di applicazione del
divieto di cui all’art. 62 cod. proc. pen., atteso che – in conformità
all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità – il divieto di testimonianza

nel corso del procedimento all’autorità giudiziaria, alla polizia giudiziaria e al
difensore nell’ambito dell’attività investigativa e, pertanto, restano escluse da
tale divieto le dichiarazioni, anche se a contenuto confessori°, rese dall’imputato
o dall’indagato ad un soggetto non rivestente alcuna di tali qualifiche” (così, da
ultimo, Sez. 5, sent. n. 30895 del 09.03.2016, Rv. 267699).
6.3 Manifestamente infondata è la terza doglianza: il Tribunale prende atto di
un dato oggettivo – la mancata contestazione, da parte dell’indagata,
dell’effettività della societas sceleris, essendosi limitata a rivendicare la propria
estraneità alla consorteria – e, comunque, le considerazioni svolte dall’ordinanza
impugnata valgono a dar conto pienamente tanto della sussistenza
dell’associazione, quanto della piena implicazione e del ruolo svolto dalla
MARIANI.
6.4 Lo sviluppo della quarta censura rende evidente che ciò che il ricorrente
contesta realmente non è l’assenza di motivazione in ordine alle obiezioni
difensive a suo tempo formulate, ma il tenore della motivazione stessa, rispetto
alla quale le obiezioni difensive non valgono in alcun modo a dar conto di profili
di manifesta illogicità, risolvendosi anzi in una non consentita interpretazione
alternativa delle risultanze in atti, con la puntualizzazione che l’art. 97 del d. Igs.
n. 267/2000 – nella parte in cui prevede,

nell’incipit del comma 4, che “Il

segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina
l’attività, salvo quando ai sensi e per gli effetti del comma 1 dell’articolo 108 il
sindaco e il presidente della provincia abbiano nominato il direttore generale” legittima appieno l’affermazione del Tribunale, circa il “dovere di vagliare le
delibere dei vari settori” proprio del segretario comunale, la cui sistematica e
consapevole omissione è stato contestato connotare la condotta ascritta alla
MARIANI.
6.5 Quanto alle esigenze cautelari, oggetto della quinta ed ultima censura, dato
atto che effettivamente l’ordinanza impugnata si sofferma solo sul pericolo di
reiterazione (a fronte delle contestazioni difensive anche in tema di pericolo di
inquinamento probatorio), la relativa motivazione è esente da censure, alla luce

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stabilito dalla citata disposizione “opera solo in relazione alle dichiarazioni rese

della personalità fortemente negativa dell’indagata, quale descritta dal Tribunale,
e dell’identità delle mansioni svolte di segretario comunale, sia pur in altro
comune, dandosi atto peraltro nell’ordinanza, a maggior riprova della
concretezza ed attualità del rischio di recidiva, dell’espressa richiesta di aiuto
rivolta dalla MARIANI ad altro indagato, dopo il suo allontanamento dal comune
di Guidonia Montecelio.
P.Q.M.

Così deciso in Roma, il 05.010.2017

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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