Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53343 del 27/10/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 53343 Anno 2017
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: VILLONI ORLANDO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

1) D’Amato Giuseppe, n. Taranto 4.10.1972
2)

D’Amato Luigi, n. Taranto 16.9.19169

avverso la sentenza n. 1280/15 della Corte d’Appello di Lecce, Sezione
Distaccata di Taranto del 15/12/2015

esaminati gli atti e letti i ricorsi ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere, dott. O. Villoni;
sentito il pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale, dr.
A. Balsamo, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per intervenuta
prescrizione
sentito il difensore dei ricorrenti, avv. Emidio Attavilla, che ha insistito per
l’accoglimento dei ricorsi

Data Udienza: 27/10/2017

30883/16

FATTO E DIRITTO
Con la decisione indicata in epigrafe la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di
Taranto, ha confermato la sentenza del Tribunale di Taranto con la quale i fratelli Giuseppe
D’Amato e Luigi D’Amato sono stati riconosciuti colpevoli di concorso nel delitto di calunnia
(mendace querela assertiva della falsificazione delle loro firme di traenza e di quella di
“avallo” della loro madre apposte su una cambiale dell’importo di 25 milioni di lire
consegnata al creditore Tommaso Ammendola, che la poneva vanamente all’incasso, così
venendo indirettamente accusato di falsità materiale in titolo di credito). Delitto per il quale
è stata inflitta a ciascuno la pena, sospesa alle condizioni di legge, di due anni di reclusione,
Con il ministero del loro comune difensore i due imputati hanno proposto ricorso per
cassazione avverso la sentenza di secondo grado, deducendo: 1) violazione dell’art. 512
cod. proc. pen. (per erronea acquisizione e utilizzazione dell’accertamento grafico del
consulente del p.m. ritenuto impedito a comparire in udienza); 2) contraddittorietà della
motivazione in ordine alla ribadita volontà calunniatrice dei due prevenuti (dolo di
calunnia), in tutto o in parte smentita da emergenze probatorie di contrario segno; 3)
mancata estromissione processuale della parte civile Tommaso Ammendola, costituita in
proprio e quale legale rappresentante della Alica s.r.l. in liquidazione; 4) mancata
declaratoria, in subordine, dell’estinzione del reato per prescrizione.
I ricorsi non appaiono prima facie affetti da immanenti cause di inammissibilità, pur
avendo tutti i delineati odierni motivi di censura già trovato una esauriente e adeguata
risposta nella decisione dei giudici di appello (e già in quella di primo grado).
Tuttavia il reato contestato ai ricorrenti risulta estinto per prescrizione, prodottasi,
pur tenendo conto del non breve periodo complessivo di sospensione del termine fatto
registrare dai due giudizi di merito (pari a due anni, tre mesi e due giorni), alla data del
3.1.2014, in epoca precedente – quindi – la pronuncia di secondo grado.
Dal che non può non discendere l’obbligo di immediata declaratoria di tale causa di
non punibilità (art. 129, comma 1, cod. proc. pen.), non emergendo ex actis in termini di
evidenza la necessità o possibilità di giungere a una decisione più favorevole agli imputati
per gli effetti di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. Ciò in quanto i motivi dedotti,
anche se in ipotesi fossero fondati, condurrebbero a un annullamento della sentenza
impugnata con rinvio al giudice di merito per un nuovo giudizio scandito dal ridetto sicuro
esito definitorio ex art. 157 cod. pen., produttivo di un indebito procrastinarsi della
conclusione del procedimento. Alla luce dell’ampia motivazione con cui la sentenza
impugnata (al pari di quanto già chiarito dalla sentenza di primo grado) ha ritenuto la
validità della costituzione di parte civile dell’Ammendola, vanno mantenute ferme le
adottate statuizioni civili.

P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per
prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.
Così decis il 27 ottobre 2017

in uno alla solidale condanna al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.

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