Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5332 del 10/10/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5332 Anno 2015
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: POSITANO GABRIELE

Data Udienza: 10/10/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARINO BENITO N. IL 28/09/1955
avverso la sentenza n. 4618/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 25/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

4

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dr Mario Pinelli, ha concluso chiedendo
l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di Marino Benito propone ricorso per cassazione contro la sentenza emessa
dalla Corte d’Appello di Palermo, in data 25 febbraio 2014 che, in parziale riforma della
decisione adottata dal Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, il 5 giugno

ascritto al capo b), perché estinto per prescrizione e, per l’effetto, rideterminava la
pena inflitta, in relazione ai rimanenti reati, in mesi quattro e giorni 15 di reclusione ed
euro 400 di multa.
2. L’imputato era stato dichiarato colpevole dei reati di falso e truffa perché, in concorso
con pubblici ufficiali non identificati, dopo avere formato un atto pubblico falso,
rappresentato dal verbale di visita medica collegiale, intestata a suo nome,
apparentemente redatto il 26 novembre 2003 dalla Commissione Medica per
l’accertamento dell’invalidità civile, aveva indotto in errore il competente funzionario
che, sulla base di tale atto, emetteva il 18 novembre 2004 un decreto, falso
ideologicamente, di concessione al Marino della pensione di invalidità e dell’indennità di
accompagnamento, così inducendo in errore i funzionari dell’Inps che liquidavano in suo
favore la somma di euro 21.136,86.
3. Avverso la sentenza di primo grado aveva interposto appello il difensore dell’imputato
eccependo la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, lamentando
l’omesso accoglimento della richiesta di perizia calligrafica e la revoca, per
sopravvenuta superfluità, delle prove dedotte dalla difesa. Nel merito, insisteva per
l’assoluzione, deducendo la mancanza di prova del concorso dell’imputato nella
consumazione dei reati contestati.
4. La Corte d’Appello, ritenuto fondato solo il profilo relativo all’improcedibilità dell’azione
con riferimento all’ipotesi prevista dagli articoli 48 e 479 del codice penale (capo b) per
frutrot.;*
intervenuta einzione, rideterminava la pena, rigettando le altre doglianze.
5. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di Marino Benito,
lamentando:

violazione di legge relativamente al diritto di difesa in ordine alla revoca, per
sopravvenuta superfluità, delle prove testimoniali addotte;

vizio di motivazione in ordine al mancato accoglimento della richiesta di perizia
calligrafica sulla firma apposta in calce alla richiesta di accertamento sanitario, ai fini
dell’invalidità civile;

2012, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato

vizio di motivazione riguardo al reale contributo fornito dall’imputato per la realizzazione
dei reati;

vizio di motivazione relativamente al rigetto della richiesta di non menzione della
condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione del diritto di difesa con
riferimento alla decisione del Tribunale, assunta all’udienza del 28 febbraio 2012, di
revocare le prove testimoniali per sopravvenuta superfluità, senza motivare le ragioni
della revoca della precedente ammissione dei testi.
2. Il motivo è manifestamente infondato. Il giudice di merito ha fatto corretto uso dei
consolidati principi giurisprudenziali secondo cui qualora il giudice, come nel caso di
specie, dichiari chiusa la fase istruttoria senza che sia stata assunta una prova in
precedenza ammessa e le parti, corrispondendo al suo invito, procedono alla
discussione senza nulla rilevare in ordine all’incompletezza dell’istruzione, la prova in
questione deve ritenersi implicitamente revocata con l’acquiescenza delle parti
medesime (Sez. 5, Sentenza n. 19262 del 06/03/2012 Rv. 252523). Nel caso di specie
la Corte territoriale ha adeguatamente evidenziato che, riguardo alla decisione del
Tribunale resa all’udienza del 28 febbraio 2012, la difesa nulla aveva obiettato, come
emerge dall’esame del verbale di udienza.
3. Con il secondo motivo la difesa deduce vizio di motivazione in ordine al rigetto della
richiesta di perizia calligrafica sulla firma apposta in calce all’istanza di sottoposizione
all’accertamento sanitario, ai fini del riconoscimento dell’invalidità civile.
4. La doglianza è manifestamente infondata. Preliminarmente va osservato che,
indipendentemente dalla qualificazione data dal ricorrente, la censura deve intendersi
dedotta ai sensi della lett. d) dell’articolo 606 del codice di rito, con la conseguente
applicazione dei principi in tema di decisività della prova. È prova decisiva, la cui
mancata assunzione è deducibile come motivo di ricorso per cassazione, solo quella
prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura
portante (Sez. 3, Sentenza n. 27581 del 15/06/2010 Rv. 248105). Sotto tale profilo
costituisce principio consolidato quello secondo cui la perizia non rientra nella categoria
della “prova decisiva” e il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi
dell’art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., in quanto costituisce il risultato di
un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in

La sentenza impugnata non merita censura.

cassazione (Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012 – dep. 09/11/2012, Ritorto e altri, Rv.
253707)
5. Sotto altro profilo la difesa dell’imputato censura la carente motivazione dei giudici di
merito in ordine all’individuazione del reale contributo fornito dall’imputato ai reati
oggetto di imputazione, eventualmente diverso dalla mera consegna del proprio
documento di riconoscimento. In particolare, vi sarebbe un salto logico tra la
circostanza, non contestata, della falsità dei verbali di visita medica e l’effettiva

6. Il motivo è inammissibile poiché il ricorrente non si confronta in alcun modo con la
decisione impugnata. La Corte, infatti, con motivazione assolutamente adeguata e
ragionevole, ha evidenziato la sussistenza della prova certa, non contestata neppure dal
ricorrente, della falsità degli atti di cui al capo di imputazione, poiché le indagini hanno
consentito di accertare che il verbale di visita collegiale non è mai venuto ad esistenza,
per la semplice ragione che Marino non è stato sottoposto a visita nel giorno indicato
nel verbale. L’esito di tali accertamenti ha imposto l’adozione dell’atto di autotutela del
20 giugno 2006, di annullamento del decreto di riconoscimento delle provvidenze e tale
atto, notificato all’imputato, non è stato da questi impugnato. Conseguentemente
appare logica e incensurabile la motivazione della Corte secondo cui l’esclusivo
beneficiario dell’illecito era l’odierno ricorrente e che il reato non poteva essere
commesso se non da chi si era attivato per conseguire l’illecita corresponsione di
benefici economici. È evidente che gli ufficiali pubblici che hanno predisposto il verbale
risultato falso, hanno agito su sollecitazione del Marino che era l’unico soggetto in grado
di fornire le generalità indicate nell’atto falso.
7. Con il terzo motivo lamenta vizio di motivazione riguardo al rigetto della richiesta di
concessione del beneficio della non menzione della condanna dei certificati del casellario
giudiziale, ritenendo insufficiente il riferimento alla oggettiva gravità del fatto e all’entità
delle somme riscosse, valorizzando, invece, la lieve pena inflitta con riferimento
all’unico residuo reato contestato all’imputato.
8. Il motivo è manifestamente infondato. Incensurabile appare la motivazione della Corte
relativamente al rigetto della richiesta del beneficio della non menzione della condanna,
tenendo conto della rilevante gravità dei reati commessi e del significativo pregiudizio
provocato dall’imputato all’Erario.
9. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della
Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare
equo determinare in euro 1.000,00.

partecipazione dell’imputato alla commissione del reato.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 10/10/2014
Il Presidente

Il Consicjliere estensore

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