Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53312 del 22/09/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 53312 Anno 2017
Presidente: SETTEMBRE ANTONIO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PALERMO MARIO nato il 29/01/1988 a SACILE

avverso la sentenza del 22/09/2016 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIANLUIGI
PRATO LA
che ha concluso per
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
Udito il difensore
L’avvocato MANCUSO ROSETTA ANNA del foro di COSENZA in difesa del
ricorrente si riporta al ricorso di cui ne chiede l’accoglimento

Data Udienza: 22/09/2017

FATTO E DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Catanzaro
confermava la sentenza con cui il tribunale di Cosenza, in data
27.3.2014, aveva condannato Palermo Mario alla pena ritenuta di
giustizia, in relazione al reato di tentato furto aggravato, in rubrica

2.

Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede

l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione
l’imputato, personalmente, lamentando violazione di legge e vizio di
motivazione, in quanto la corte territoriale, senza procedere, come
sollecitato con l’atto di appello, ad una rivalutazione critica dei fatti,
limitandosi a operare un mero rinvio alla motivazione della sentenza di
primo grado, ha fondato la sua decisione sulle dichiarazioni
autoaccusatorie dell’imputato, il quale avrebbe ammesso di essere
l’autore del tentativo di furto di un ciclomotore di proprietà solo perché
costrettovi indebitamente dalle pressioni esercitate nei suoi confronti dal
suddetto Martucci Antonio, che, dopo aver visto di spalle un giovane
tentare di impadronirsi del menzionato ciclomotore, si era lanciato al suo
inseguimento, in compagnia del figlio Martucci Francesco, ritenendo di
identificare nell’autore dell’azione delittuosa, l’imputato, dagli stessi
sorpreso all’interno di una porcilaia, ubicata a notevole distanza dal
luogo di commissione del tentato furto. Ne consegue, ad avviso del
ricorrente,

l’inutilizzabilità

delle

dichiarazioni

autoaccusatorie,

trattandosi di dichiarazioni rese all’atto di arresto compiuto dal privato,
apparendo, altresì, manifestamente illogica e contraddittoria la
motivazione della corte di appello nella parte in cui, pur riconoscendo
che la fattispecie in esame sia da ricondurre al paradigma normativo, di
cui all’art. 383, c.p., esclude l’applicabilità del divieto di testimonianza
sulle dichiarazioni rese dal soggetto in vinculis, di cui all’art. 62, c.p.p.,
non essendo giustificabile, sul piano logico, che tale divieto non operi
quando all’arresto procedano privati cittadini, piuttosto che appartenenti
alle forze dell’ordine.

ascrittogli.

3. Il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto con esso il ricorrente
propone, peraltro in maniera assolutamente generica, una mera
rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede,
stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la
propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei

demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione
estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione
degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della
decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289).
22/01/2014, n. 10289).
Va, inoltre, rilevato che la decisione del giudice di secondo grado poggia
su di un’esaustiva motivazione, che, contraddistinta da una puntuale
ricostruzione dei fatti e da intrinseca coerenza logica, appare conforme
all’approdo cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità, in ordine alla
utilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie provenienti dalla persona
offesa dal reato (cfr. Cass., sez. un., 19/07/2012, n. 41461, rv.
253214), avendo la corte di appello evidenziato come entrambi i
Martucci abbiano dichiarato che il ricorrente “è stato inseguito dagli
stessi subito dopo l’azione furtiva e immediatamente riconosciuto senza
ombra di dubbio nel soggetto che poco prima” era stato “visto dagli
stessi aggirarsi nell’area antistante la loro abitazione”, dandosi alla fuga.
A ciò si aggiunga la manifesta infondatezza del rilievo fondato sul
richiamo al contenuto dell’art. 383, c.p., posto che, come chiarito dal
giudice di appello, nel caso in esame il privato ha inseguito il ladro al
fine di consentirne l’identificazione e l’arresto da parte della polizia
giudiziaria, tempestivamente avvisata dai Martucci.
Sicché, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, con
motivazione né illogica, né contraddittoria, la condotta di questi ultimi
rappresenta estrinsecazione del diritto riconosciuto a ciascuno di
difendere la sua proprietà e quella dei terzi dagli attacchi dei malfattori;
e quindi di inseguire un ladro al fine di recuperare la refurtiva e di
consentire l’identificazione e l’eventuale arresto da parte della polizia

2

precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si

giudiziaria (cfr. Cass., II, 07/07/2004, n. 37960), piuttosto che un caso
di arresto da parte del privato, che richiede pur sempre un
comportamento concludente che esprima l’intento di eseguire l’arresto
(cfr. Cass., sez. IV, 15/12/1999, n. 4751).
Né va taciuto che, in violazione del principio dell’autosufficienza del

un’adeguata valutazione da parte del giudice di secondo grado (quelle
rese dai Martucci), non risultano né trascritte, né allegate integralmente
al ricorso, da ritenere, pertanto, sotto tale profilo, inammissibile anche
perché fondato su motivi generici (cfr. Cass., sez. I, 17/01/2011, n.
5833).
4. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente,
ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento
e della somma di euro 2000,00 a favore della cassa delle ammende,
tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di
impugnazione, non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune
da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità
(cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 22.9.2017.

ricorso, le dichiarazioni, di cui il ricorrente lamenta la mancanza di

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