Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53309 del 18/10/2017


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 53309 Anno 2017
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: CENCI DANIELE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
EL HAMZAOUI ABDESSAMAD nato il 06/06/1993

avverso l’ordinanza del 22/02/2017 del TRIB. LIBERTA di MILANO
sentita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI;
113Wsentite le conclusioni del PG GIUSEPPINA CASELLA
Il Procuratore Generale Giuseppina Casella conclude per l’inammissilità del
ricorso.
Udito il difensore
E’ presente l’avvocato MARIA VISENTIN del foro di ROMA IN SOSTITUZIONE
DELL’AVV. (D’UFFICIO) AGHIB ILAN ZION del foro di ROMA in difesa di EL
HAMZAOUI ABDESSAMAD, che si riporta ai motivi.

Data Udienza: 18/10/2017

RITENUTO IN FATTO

1.11 Tribunale per il riesame di Milano, decidendo il 22 febbraio – 12 giugno
2017, in accoglimento dell’appello avanzato ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen.
il 17 settembre 2016 dal Pubblico Ministero ed in riforma dell’ordinanza del G.i.p.
del Tribunale di Milano dell’8 settembre 2016, ha applicato la misura cautelare
della custodia in carcere a El Hamzaoui Abdessamad, indagato per fatti di droga,
in relazione al capo di accusa n. 37, di cui si dirà; misura sospesa ai sensi

2.

A El Hamzaoui Abdessamad, si contesta, appunto al n. 37

dell’imputazione provvisoria, nell’ambito di un complesso procedimento
plurisoggettivo (ottantasei indagati nei cui confronti il P.M. ha avanzato domanda
cautelare), di avere, in concorso con più persone, ricevuto, detenuto e ceduto
sostanza stupefacente, sia pesante che leggera, in particolare occupandosi della
vendita della droga ai clienti, fatti ipotizzati come commessi dal 23 gennaio 2014
al 6 giugno 2014.

3. Va premesso che il G.i.p. del Tribunale di Milano aveva rigettato la misura
della custodia in carcere che era stata chiesta dal P.M. In particolare, il G.i.p.
aveva – sì – ritenuto sussistente le gravità indiziaria ma, qualificati i fatti in
violazione del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, aveva
rigettato la richiesta di custodia in carcere, anche sotto il profilo del decorso del
tempo, per insussistenza di esigenze cautelari da salvaguardare.

4. Il Tribunale per il riesame, accogliendo l’appello del P.M., ha riformato
l’ordinanza del G.i.p., escludendo, sotto il profilo della qualificazione giuridica,
l’ipotesi di lieve entità di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e
ritenendo, invece, sussistente la violazione dell’art. 73, comma 1, del d.P.R. n.
309 del 1990.
I Giudici di merito hanno ritenuto che dalle fonti di prova (intercettazioni
telefoniche, verbale di arresto del 28 marzo 2014) è emerso che l’attività illecita
di spaccio posta in essere dal ricorrente, nell’ambito di un gruppo criminale
facente capo a El Hamzaoui Mohamed, non era occasionale ma, anzi, posta in
essere in modo organizzato e professionale, continuativamente – con cadenza
pressoché giornaliera – ed in maniera sistematica ed aveva oggetto la cessione
di rilevanti quantitativi di vari tipi di stupefacente (pp. 3-7 dell’ordinanza
impugnata).

2

dell’art. 310, comma 3, cod. proc. pen.

Il Tribunale ha, poi, ritenuto sussistente l’esigenza cautelare di evitare il
pericolo, stimato concreto ed attuale, di recidiva specifica, in ragione della
gravità e della reiterazione dei fatti nel tempo, del numero delle cessioni, della
frequenza pressoché giornaliera delle stesse, dell’assenza di lecite fonti di reddito
da parte di El Hamzaoui Abdessamad, dell’essere stato lo stesso indagato
arrestato dai Carabinieri di Lainate nella flagranza del reato di detenzione illecita
di 27 grammi di cocaina, anche tenuto conto della – ritenuta – allarmante vitalità
del gruppo facente capo a El Hamzaoui Mohamed, gruppo che ha continuato ad
operare anche dopo l’arresto di alcuni, tra cui il ricorrente, in data 28 marzo

Si è ravvisato sussistente anche il pericolo di fuga, essendo l’indagato senza
fissa dimora, come risulta dimostrato dalla vicenda relativa alla notifica
dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari del 3 gennaio 2017 (p. 8
dell’ordinanza).
Si è, infine, valutata ogni altra misura meno afflittiva inidonea, non offrendo
nessuna garanzia nemmeno gli arresti domiciliari, peraltro nemmeno prospettati
dalla difesa, in assenza della disponibilità di un’abitazione in cui applicare la
misura: si è, dunque, applicata all’indagato, in riforma dell’ordinanza del G.i.p.
dell’8 settembre 2016, la custodia cautelare in carcere (p. 8 dell’ordinanza).

5.Ricorre personalmente per la cassazione dell’ordinanza El Hamzaoui
Mohamed, che si affida a tre motivi con i quali denunzia promiscuamente
violazione di legge e difetto motivazionale.
5.1. Censura, in primo luogo, la ritenuta nullità dell’ordinanza per violazione
dell’art. 292, comma 2, lett. c) e c-bis), cod. proc. pen., e, nel contempo, per
difetto di motivazione, in quanto in punto di gravità indiziaria il Tribunale per il
riesame si sarebbe, secondo il ricorrente, limitato a riprodurre la richiesta del
Pubblico Ministero, senza svolgere alcuna valutazione autonoma: la motivazione
sarebbe, pertanto, meramente apparente.
La corretta qualificazione giuridica dovrebbe, inoltre, condurre a ritenere i
fatti violazione dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990.
5.2.

Sotto ulteriore profilo si denunzia nullità anche per la mancata

autonoma individuazione e valutazione delle esigenze cautelari, in quanto
mancherebbe la motivazione in relazione alle necessarie attualità e concretezza
del pericolo di recidiva, che sarebbe stata affidata ad una valutazione di tipo
collettivo, ove l’indagato verrebbe illegittimamente ed ingiustamente assimilato
ad altri soggetti in posizione diversa.
Si sottolinea come ostativo all’applicazione della misura il decorso del tempo
– tre anni – dai fatti, risalenti al 2014, essendo necessario ipotizzare la certezza

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2014 (pp. 7-8 dell’ordinanza impugnata).

o l’elevata possibilità che l’occasione del delitto si verificherà, e si censura anche
la omessa valutazione in senso favorevole all’indagato di fatti successivi alla
consumazione dei reati (v. pp. 2-3 del ricorso).
5.3. Nulla sarebbe, infine, l’ordinanza anche per la – ritenuta – mancanza
di autonoma valutazione da parte del Tribunale di Milano circa la scelta della
misura della custodia in carcere applicata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.

Quanto alle doglianze in punto indiziario ed in tema di esatta

qualificazione del reato, si osserva quanto segue.
In relazione agli indizi, non vi era impugnazione avverso l’ordinanza del
G.i.p. che riteneva sussistenti i fatti storici, ma, qualificati gli stessi in maniera
meno grave, rigettava la misura: in ogni caso, il Tribunale ha valorizzato logicamente – il contenuto di numerose telefonate intercettate (pp. 3-7
dell’ordinanza impugnata).
Quanto alla qualificazione giuridica, la difesa si è limitata nel ricorso a
sollecitare, ma soltanto assai genericamente, una più favorevole qualificazione
giuridica: i Giudici di merito hanno comunque sottolineato, non incongruamente,
la quantità di sostanza, la pluralità dei tipi di droga e la sistematicità dell’attività
illecita (p. 6 dell’ordinanza impugnata).

3.

Anche sull’an del rischio di recidiva, la motivazione dell’ordinanza

impugnata appare adeguata.
3.1. Si impone al riguardo una preliminare precisazione.
La S.C. (Sez. 2, n. 9501 del 23/02/2016, Stannegna, Rv. 267785) ha già
avuto modo di precisare che «In tema di misure coercitive, l’attualità e la
concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa
con l’attualità e la concretezza delle condotte criminose, onde il pericolo di
reiterazione di cui all’art. 274, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., può essere
legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche nel caso
in cui esse siano risalenti nel tempo, ove persistano atteggiamenti
sintomaticamente proclivi al delitto e collegamenti con l’ambiente in cui il fatto
illecito contestato è maturato (Fattispecie relativa ad indagato per il delitto di
associazione a delinquere finalizzata alla commissione di truffe attraverso
l’organizzazione di partite di poker truccate, il quale veniva trovato in possesso
di decine di confezioni di carte da gioco, di assegni bancari tratti senza

4

1.11 ricorso è infondato e deve essere rigettato.

l’indicazione del beneficiario e di una rudimentale contabilità relativa alle
posizioni di alcune vittime; elementi che, unitamente all’esito delle
intercettazioni telefoniche e degli accertamenti bancari, rivelavano il carattere
continuativo dell’attività illecita ed il concreto rischio di recidiva) (Conf. Sez. 2,
sent. n. 9500 del 2016, non massimata sul punto)»).
E’ convinzione del Collegio che occorra dare continuità alla richiamata
precisazione secondo cui l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari non
va confusa concettualmente con l’attualità e con la concretezza delle condotte
criminose e il pericolo di recidiva ben può essere desunto dalla gravità dei fatti

dell’agire o della mancanza di pietà dimostrata) e/o dalla pluralità (come nel
caso di specie) degli episodi, in quanto tale reiterazione, alla luce delle modalità
della condotta concretamente tenuta, può essere indice sintomatico di una
personalità proclive al delitto, indipendentemente dall’attualità di detta condotta
cioè anche nel caso in cui sia risalente nel tempo.
In altre parole, l’accertamento di un fatto di reato, anche non prossimo
temporalmente, può comportare l’applicazione di misure cautelari, purché venga
fornita dal Giudice adeguata motivazione, motivazione che dovrà essere tanto
più approfondita quanto più ci si allontani dal giorno dell’ipotizzato reato, ove
specifiche circostanze, appunto adeguatamente individuate, impongano la
limitazione della libertà personale dell’indagato o dell’imputato, peraltro nella
pluralità dei moduli restrittivi previsti, essendo stato confermato dalla novella di
cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, un onere motivazionale circa la distanza dal
dies commissi delicti, che era peraltro già desumibile dall’art. 292, comma 2,
lett. c), cod. proc. pen. nella stesura previgente (cfr. Sez. 5, n. 43083 del
24/09/2015, Maio, Rv. 264902; Sez. 6, n. 1082 del 12/11/2015, dep. 2016,
Capezzera, Rv. 265958), ma non essendo stato introdotto dal legislatore un
divieto, cui sembra in qualche misura alludere il ricorso (v. ultima pagina), di
applicazione di misure cautelari per fatti di reato non prossimi nel tempo.
Si è già opportunamente puntualizzato da parte della S.C., infatti, quanto al
momento genetico della cautela, che «In tema di esigenze cautelari personali,
l’ultimo periodo della lettera c) dell’art. 274 cod. proc. pen, così come modificato
dalla legge n. 47 del 2015, impedisce di desumere il pericolo di reiterazione dalla
sola gravità del “titolo di reato”, astrattamente considerato, ma non dalla
valutazione della gravità del fatto medesimo nelle sue concrete manifestazioni, in
quanto le modalità e le circostanze del fatto restano elementi imprescindibili di
valutazione che, investendo l’analisi di comportamenti concreti, servono a
comprendere se la condotta illecita sia occasionale o si collochi in un più ampio
sistema di vita, ovvero se la stessa sia sintomatica di una radicata incapacità del

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contestati (ad es., nel caso di delitti contro la persona, in ragione dell’efferatezza

soggetto di autolimitarsi nella commissione di ulteriori condotte criminose» (Sez.
1, n. 37839 del 02/03/2016, Biondo, Rv. 267798; nello stesso senso, Sez. 1, n.
45659 del 13/11/2015, Restuccia, Rv. 265168).
E, altrettanto condivisibilmente, si è precisato, quanto alla valutazione sulla
permanenza o meno delle esigenze, che «In tema di richiesta di sostituzione di
misura cautelare, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 16 aprile
2015, n. 47 del 2015, ai fini della valutazione della attualità del pericolo di
reiterazione di reati non è sufficiente fare riferimento al tempo trascorso dal fatto
contestato dovendosi altresì valutare le peculiarità dell’intera vicenda cautelare

considerazione delle gravi e numerose fattispecie criminose contestate a fronte
dell’assenza di elementi idonei a mutare il quadro cautelare)» (Sez. 4, n. 5700
del 02/02/2016, Mandrillo, Rv. 265949; nello stesso senso, cfr. Sez. 3, n. 15925
del 18/12/2015, dep. 2016, Macrì, Rv. 266829).
Naturalmente – deve ribadirsi – l’applicazione di misura cautelare, tanto più
in relazione a fatti non vicini nel tempo, deve essere sostenuta da apparato
motivazionale adeguato ed immune da vizi logici.
3.2. Tanto sottolineato in linea di principio, deve ritenersi che il Tribunale di
Milano abbia, in realtà, fatto corretta applicazione della norma (art 274 cod.
proc. pen.) – assai genericamente – censurata dal ricorrente, valorizzando, a
fronte del decorso di tre anni dai fatti, circostanza sottolineata dalla difesa, la
gravità del reato, la reiterazione, quasi quotidiana dallo stesso, le modalità
dell’agire e le rilevanti quantità di droga trattate (p. 7 dell’ordinanza impugnata),
elementi, non incongruamente né illogicamente, ritenuti indicativi di un’elevata
proclività alla reiterazione di reati, come ulteriormente comprovato dall’assenza
di lecite fonti di reddito da parte dell’indagato (p. 8 dell’ordinanza impugnata).
Inoltre, si prende atto che non vi è censura difensiva circa il pericolo di fuga
ritenuto dal Tribunale di Milano (p. 8 dell’ordinanza).
Non si comprende, poi, a che cosa faccia riferimento El Hamzaoui Mohamed
a proposito della pretesa omessa valutazione da parte del Tribunale di Milano in
senso favorevole all’indagato di ipotetici fatti successivi alla consumazione dei
reati, fatti nemmeno indicati nel ricorso.
3.3. Manifestamente infondato, infine, è l’ultimo motivo di ricorso, in quanto
strutturato in maniera estremamente vaga: in ogni caso, si osserva che il
Tribunale di Milano ha spiegato perché non siano state ritenute sufficienti misure
cautelari meno afflittive, non essendo stato nemmeno indicato dalla difesa un
domicilio, peraltro non risultante dagli atti, nel quale ipoteticamente applicare a
El Hamzaoui Abdessamad la misura di cui all’art. 284 cod. proc. pen. (p. 8
dell’ordinanza impugnata).

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(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto persistente il pericolo di recidiva in

4. Discende dalle considerazioni svolte il rigetto del ricorso e la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti conseguenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

al competente Tribunale Distrettuale del riesame perché provveda a quanto
stabilito dall’art. 92 Disp. att. c.p.p.
Manda alla Cancelleria per gli immediati adempimenti a mezzo fax.
Così deciso il 18/10/2017.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso

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