Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53298 del 14/09/2017


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 53298 Anno 2017
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: RANALDI ALESSANDRO

sul ricorso proposto da:
ROMANO PIETRO nato il 25/11/1975 a CERIGNOLA

avverso l’ordinanza del 29/11/2016 della CORTE APPELLO di BARI
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO RANALDI;
lette/sentite le conclusioni del PG

Data Udienza: 14/09/2017

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Bari, quale giudice della riparazione, con l’ordinanza
impugnata ha respinto la domanda con la quale Pietro Romano aveva chiesto la
riparazione per la custodia cautelare subita dal 14.3.2009 al 31.3.2010,
nell’ambito del procedimento penale per reati in materia di stupefacenti,
definitosi dinanzi al Tribunale di Foggia con sentenza assolutoria del 20.10.2010

2. Avverso la suddetta ordinanza, tramite difensore di fiducia, propone
ricorso l’interessato, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in
punto di mancato riconoscimento del diritto all’indennizzo.
Secondo il ricorrente, le ragioni del diniego sono frutto di un

modus

procedendi del tutto errato, avendo la Corte territoriale fatto ricorso alle
dichiarazioni rese dall’interessato nel corso dell’interrogatorio di garanzia, mai
acquisite dal Giudice di merito in sede dibattimentale.
Rileva che il giudice della riparazione non ha individuato alcun profilo doloso
e/o colposo del Romano che avrebbe dato causa alla dedotta ingiusta
detenzione, non offrendo alcuna motivazione al riguardo.
Infatti, secondo il ricorrente: l’intercettazione telefonica sul telefono in uso a
tale Matteo Detto (coimputato), tra quest’ultimo e altro coimputato Matteo Curci
(nel corso del quale si faceva riferimento a tale Piero il quale si sarebbe preso 50
euro senza dare il resto a “Franchino”), era stata ragionevolmente spiegata in
sede di interrogatorio dal Romano, il quale aveva ammesso di essere lui colui
che aveva preso i soldi, negando però che si trattasse di stupefacenti, precisando
che si era limitato a dare un passaggio a Franchino (parente del Curci) al quale
aveva chiesto dieci euro per la benzina, ottenendone cinquanta e non avendo più
restituito il resto per non averlo più incontrato. Su un altro episodio aveva
negato ogni addebito, dichiarando che a Cerignola c’era un altro Piero detto “O

Ruman” che trattava di stupefacenti, circostanza poi confermata in dibattimento
dal Maresciallo dei Carabinieri Giaccoli.
In definitiva, secondo il ricorrente, il giudice della riparazione non avrebbe
indicato adeguatamente le ragioni per le quali sarebbe ravvisabile una sua
condotta gravemente colposa e, soprattutto, che tale sua condotta colposa
avrebbe dato o concorso a dare luogo al provvedimento cautelare con rapporto
di causa ad effetto.

2

per non aver commesso il fatto.

3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta ha chiesto il rigetto del
ricorso.

4. Si è costituito il Ministero dell’Economia e delle Finanze concludendo per
l’inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.

L’ordinanza impugnata non ha fatto corretto uso dei principi che

informano il giudizio di riparazione per come delineato dall’art. 314 cod. proc.
pen., nel quale il giudice non è chiamato a valutare se l’interessato si sia reso
responsabile di un reato (anzi il presupposto di tale procedimento è proprio
l’intervenuto proscioglimento irrevocabile da un reato del soggetto proponente)
ma è piuttosto chiramato a verificare se con il suo comportamento (processuale o
extraprocessuale)il richiedente abbia dato causa con dolo o colpa grave alla
misura detentiva subita.
Ne deriva il costante orientamento giurisprudenziale in base al quale il
giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto
al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi e che
possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso
materiale probatorio acquisito agli atti (Sez. 4, n. 11150 del 19/12/2014 – dep.
2015, Patanelia, Rv. 262957). Il che però non significa che il giudice della
riparazione possa ritenere accertati fatti esclusi in sede di cognizione od
escludere circostanze in tale sede riconosciute.

3. La Corte barese ha invece commesso l’errore di rivalutare il materiale
probatorio del caso sottoposto al suo esame, includendovi anche un elemento
non utilizzato dal giudice della cognizione, vale a dire il contenuto del verbale
dell’interrogatorio di garanzia reso dal Romano, per affermare la sicura
identificazione e responsabilità del medesimo con riferimento quantomeno
all’episodio delittuoso a lui contestato al capo 84 della rubrica (cessione di
cocaina a tale “Franchino” in concorso con Matteo Detto), e dunque la legittimità
della misura cautelare adottata nei suoi confronti.
Si tratta di un’operazione valutativa che contiene un duplice ordine di errori,
cui consegue un irrimediabile vizio logico-giuridico del ragionamento esplicitato
nell’ordinanza impugnata.

3

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.

In primo luogo, e secondo quanto già osservato in precedenza (cfr. par. 2),
la Corte territoriale è andata, per così dire, fuori tema: non era suo compito
rivalutare il compendio indiziario ai fini dell’accertamento della responsabilità
penale del Romano, trattandosi – di compito esclusivo del giudice della
cognizione, che aveva già provveduto ad assolvere l’interessato dal reato in
questione per non aver commesso il fatto.
In secondo luogo, tale delibazione si fonda su un verbale di interrogatorio
che non è stato utilizzato dal giudice della cognizione, e si è già detto che in

dal giudice della cognizione (nel caso, con particolare riguardo alla identificazione
del Romano quale il “Piero” di cui parlavano i due coimputati intercettati circa
l’episodio di spaccio in riferimento).
In definitiva, l’ordinanza impugnata ha seguito un iter argomentativo
giuridicamente viziato in quanto completamente al di fuori dei limiti del sindacato
delineato dall’art. 314 cod. proc. pen., ed ha omesso, invece, di effettuare l’unica
valutazione richiesta in tale sede, vale a dire quella diretta ad accertare la
eventuale configurabilità di una concreta condotta dolosa/colposa da parte
dell’interessato, non penalmente rilevante ma ostativa all’indennizzo per aver
contribuito a dare causa alla (ingiusta) detenzione.

4. Da ciò consegue la necessità che la Corte di appello di Bari proceda, in
sede di rinvio, ad un nuovo esame della istanza al fine di verificare, con onere di
indicazione specifica, l’esistenza di una condotta, dolosa e/o gravemente
colposa, posta in essere dall’odierno ricorrente e sinergica alla detenzione dallo
stesso subita. La stessa Corte territoriale provvederà al regolamento delle spese
tra le parti anche per questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte d’Appello di Bari,
cui demanda pure la regolamentazione delle spese tra le parti quanto al presente
giudizio di legittimità.
Così deciso il 14 settembre 2017

Il Consigl
Ales

estensore
ro Ranaldi

Il Presidente
Rocco Marco Blaiotta

questa sede non possono darsi per provati fatti che tali non sono stati considerati

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