Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53295 del 04/07/2017


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 53295 Anno 2017
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: CENCI DANIELE

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sul ricorso proposto da:
MENGOLI DAVIDE nato il 26/02/1975 a CHAUX DE FONDS( SVIZZERA)

avverso l’ordinanza del 21/11/2016 del TRIB. LIBERTA’ di MILANO
sentita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI;
-4-ette7entite le conclusioni del PG MARIELLA DE MASELLIS
Il Proc. Gen. De Masellis Mariella conclude per l’inammissibilita’.
Udito il difensore
Il difensore presente avvocato SECONDO MARZIA del foro di MILANO in difesa di
MENGOLI DAVIDE ritiene il ricorso ammissibile e fondato e si riporta ai motivi.

Data Udienza: 04/07/2017

RITENUTO IN FATTO

1.11 Tribunale per il riesame di Milano il 21 novembre 2016 — 13 marzo
2017, in accoglimento dell’appello avanzato ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen.
dal Pubblico Ministero ed in riforma dell’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di
Busto Arsizio del 14 giugno 2016, ha applicato a Davide Mengoli la misura della
custóbia in carcere in relazione al delitto di importazione dall’estero di sostanze
stupefacenti incluse nella tabella I), fatti contestati come accertati il 5 giugno
2014, il 9 giugno 2014, il 5 agosto 2014, 1’11 agosto 2014, il 28 agosto 2014, il

sospesa ai sensi dell’art. 310, comma 3, cod. proc. pen.

2. Dai provvedimenti di merito si traggono le seguenti informazioni.
Avendo il Pubblico Ministero del Tribunale di Busto Arsizio, che procede nei
confronti di vari indagati per fatti di droga, chiesto la custodia in carcere per
alcuni e gli arresti domiciliari per altri, il G.i.p. con ordinanza del 14 giugno 2016,
affermata la sussistenza del prescritto quadro indiziario a carico di tutti gli
indagati, ha rigettato la richiesta per difetto di attualità e di concretezza delle
esigenze cautelari, sottolineando che i fatti risalivano al 2014, con la sola
eccezione dei reati di cui al capo n. 7), commessi il 21 gennaio 2015, senza che
il P.M. avesse allegato elementi in grado di “attualizzare” il rischio di recidiva.
Presentato appello da parte del P.M., il Tribunale per il riesame, per quanto
in questa sede rileva, ritenuto sussistente, anche perché già ritenuto dal G.i.p. e
non contestato, il quadro indiziario, in considerazione del contenuto delle
intercettazioni telefoniche, del contenuto delle e-mail e dell’esito dei sequestri,
ha ravvisato il concreto ed attuale pericolo di recidiva criminosa a carico di
Davide Mengoli, in grado di elevata intensità ed ha stimato misura idonea e
necessaria la custodia cautelare in carcere.

3.Ricorre tempestivamente per la cassazione dell’ordinanza Davide Mengoli,
tramite difensore, che si affida a cinque motivi, con i quali denunzia violazione di
legge e difetto motivazionale.

3.1. Con il primo motivo censura promiscuamente violazione di legge (artt.
191 e 310 cod. proc. pen.) ed illogicità della motivazione in riferimento alla
inutilizzabilità degli atti di indagine depositati dal P.M. il

10 luglio 2016, ad

integrazione dell’appello, che era stato presentato il 23 giugno 2016. Tali atti di
indagine riguardano l’attività di perquisizione e di sequestro, poste in essere in
data 23 giugno 2016, di alcune boccette di prodotti liquidi variamente
denominati provenienti dall’Olanda e dirette a Plengoli tramite corriere privato

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19 settembre 2014 ed il 7 novembre 2014 (capo n. 13 dell’editto); misura

UPS e di una e-mail del 21 giugno 2016 dell’indagato contenente un ordine di
acquisto, non ancora ricevuto, e sono stati valutati dal Tribunale per fondare il
pericolo di recidiva.
Ritiene la difesa che tale documentazione non fosse utilizzabile, in quanto le
Sezioni Unite penali della S.C. con sentenza n. 18339 del 31 marzo 2004 hanno
stabilito che è – sì – possibile al P.M. in sede di appello cautelare produrre nuovi
elementi, sempre che essi riguardino lo stesso fatto contestato con l’originaria
richiesta e che sia assicurato il contraddittorio, mentre nel caso di specie
riguarderebbero un fatto diverso non contestato nella richiesta originaria.

(art. 274 cod. proc. pen.) e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione, con riferimento ai ritenuti requisiti di attualità e di concretezza
del pericolo di reiterazione del reato.
Il Tribunale per il riesame, infatti, ha ritenuto esistente un elevato, attuale e
concreto pericolo di recidiva essenzialmente sulla base della documentazione
integrativa depositata dal P.M., di cui si è già eccepita la inutilizzabilità,
osservando che la pervicacia dell’indagato è talmente intensa da non desistere
neppure dopo i sequestri di alcune spedizioni ed

i

possibili sospetti circa

l’intervento delle forze di polizia.
Ciò posto, osserva il ricorrente che il Tribunale per il riesame presume,
senza dirlo chiaramente, che le sostanze liquide sequestrate il 23 giugno 2016
siano stupefacente, senza però che esista al riguardo alcuna relazione
tossicologica che attribuisca significato oggettivo al rinvenimento.
Richiamata la nozione di attualità del rischio di recidiva elaborata da recente
giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 24779 del 10 maggio 2016, che ha
parlato – si rammenta – di “riconosciuta esistenza di occasioni prossime
favorevoli alla commissione di nuovi reati”), denunzia dunque violazione di legge
(art. 274 cod. proc. pen.) e manifesta illogicità della motivazione al riguardo, in
quanto il rischio di recidiva sarebbe meramente ipotetico e congetturale, poiché
l’indagato, in realtà, non nutriva alcun sospetto circa l’intervento delle forze
dell’ordine ed era ignaro che le mancate consegne dei pacchi celassero dei
sequestri, come emerge dalla p. 209 della stessa richiesta misura cautelare del
P.M., ove si legge che, d’intesa con la p.g., gli spedizionieri giustificavano le
attività di polizia come “mancato arrivo”, “lavorazione in corso”, “restituzione al
mittente”, circostanze che «”inducono le parti, dopo un breve periodo di tempo,
a ritenere la mancata destinazione come un reale errore di spedizione e non
come un controllo in atto. E’ lo stesso PM, dunque, ad affermare che erano state
messe in atto tutte le misure necessarie affinché gli importatori non
sospettassero nulla e ritenessero la mancata consegna dello come un reale

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3.2. Con il secondo motivo si denunzia inosservanza di legge processuale

errore di spedizione”. A fronte di tale assunto, non può ritenersi, come ha fatto il
Tribunale, che il Mengoli abbia proseguito la propria attività di importazione
nonostante i sequestri e i sospetti, con ciò denotando la sia proclività al delitto.
Egli, infatti, proprio in ragione di quanto affermato dal PM, non aveva subito
nessun sequestro e, proprio in virtù degli accorgimenti messi in atto, non nutriva
alcun sospetto circa un eventuale intervento delle forze dell’ordine. Solo in
occasione della perquisizione e del sequestro operati il 23 giugno 2016 il Mengoli
ha finalmente percepito di essere attenzionato dalle forze dell’ordine. E’
evidente, dunque, che il Tribunale del riesame di Milano in modo palesemente

una “proclività al delitto”, mostrando un’evidente lettura erronea degli atti di
indagine» (così alle pp. 5-6 del ricorso).
3.3.

Il ricorrente censura, poi, promiscuamente carenza ed illogicità

motivazionale ed erronea applicazione di legge in relazione al requisito
dell’attualità della misura, avendo trascurato: l’efficacia deterrente del disposto
sequestro; la circostanza che dal 23 giugno 2016 l’indagato non abbia tenuto
alcuna condotta illecita; il decorso del tempo dai fatti oggetto di contestazione,
risalenti al 2014. Né – si assume – a diverse conclusioni potrebbe giungersi
valorizzando il sequestro del 23 giugno 2016, non oggetto di contestazione,
poiché, in ogni caso, è decorso un considerevole lasso di tempo, l’ordinanza
impugnata è stata depositata dopo circa quattro mesi dall’udienza camerale e
l’indagato è persona incensurata, elemento pure risultante dall’ordinanza
impugnata e che denota ulteriormente l’erroneità della decisione del Tribunale.
3.4. Mediante il quarto motivo si contesta inosservanza di legge processuale
(art. 274 cod. proc. pen.) e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione, con riferimento alla personalità dell’imputato.
Il Tribunale per il riesame, infatti, nel valorizzare la mancanza di un’attività
lavorativa lecita e stabile da parte di Davide Mengoli opera, secondo il ricorrente,
un riferimento ad un dato che non emerge dagli atti processuali e che non è
nemmeno affermato dal Pubblico Ministero: in realtà, l’indagato – si afferma lavorava a tempo indeterminato al momento dei fatti oggetto di contestazione e
tuttora lavora, sempre a tempo indeterminato.
Discende la erroneità della motivazione dell’ordinanza impugnata allorché
ravvisa l’intensità di esigenze cautelari nell’assenza di un lecito lavoro retribuito.
3.5. Si censura, infine, inosservanza di legge processuale (art. 275 cod.
proc. pen.) e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, con riferimento alla mancata applicazione della misura degli arresti
domiciliari in luogo della custodia in carcere, in quanto la relativa motivazione è,
ad avviso del ricorrente, carente, illogica ed affidata a mere clausole di stile, con

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contrastante con le risultanze processuali ravvisa in capo all’odierno ricorrente

particolare riferimento a – non meglio precisati – contesti delinquenziali. La
motivazione, poi, non spiega in alcun modo perché siano da ritenere insufficienti
gli arresti domiciliari, magari accompagnati dal divieto di usare internet, essendo
peraltro gli acquisti avvenuti sempre mediante strumenti informatici.
Si evidenzia, infine, richiamata giurisprudenza di legittimità stimata
pertinente, che l’ordinanza non spiega perché l’indagato, che è incensurato, non
sarebbe in grado di auto-custodirsi al domicilio.

1. Il ricorso è parzialmente fondato, nei termini di cui appresso.
1.1. Quanto al primo motivo di ricorso, è pacifica la possibilità di produrre
elementi nuovi.
Infatti: «Nel procedimento di appello ex art. 310 cod. proc. pen., proposto
dal P. M. contro l’ordinanza reiettiva della richiesta di misura cautelare personale,
l’indagato può produrre, nel contraddittorio camerale, documentazione relativa
ad elementi probatori “nuovi”, sia preesistenti che sopravvenuti, acquisiti anche
all’esito di investigazioni difensive, che siano idonei a contrastare i motivi di
gravame del P.M., ovvero a dimostrare l’insussistenza delle condizioni e dei
presupposti di applicabilità della misura cautelare richiesta; analogamente al
P.M. è consentito – nell’ambito dei confini segnati dal “devolutum”, purché sia
assicurato il contraddittorio nel procedimento camerale, anche mediante la
concessione di un congruo termine a difesa – di produrre documentazione
relativa ad elementi “nuovi”, intendendosi per tali quei materiali informativi,
preesistenti o sopravvenuti, che non siano stati già oggetto di valutazione
(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima la produzione da parte del P. M.,
della relazione “definitiva” del consulente tecnico da esso nominato, dopo che al
giudice per le indagini preliminari era stata depositata la relazione “provvisoria”
redatta dal medesimo ausiliario)» (così, condivisibilnnente, Sez. 5, n. 42847 del
10/06/2014, Ambrus e altro, Rv. 261244, peraltro sulla scia dell’insegnamento
reso da Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, Donelli e altro, Rv. 227357, secondo
cui

«Nel procedimento conseguente all’appello proposto dal P.M. contro

l’ordinanza reiettiva della richiesta di misura cautelare personale, è legittima la
produzione di documentazione relativa ad elementi probatori “nuovi”,
preesistenti o sopravvenuti, sempre che, nell’ambito dei confini segnati dal
“devolutum”, quelli prodotti dal P. M. riguardino lo stesso fatto contestato con
l’originaria richiesta cautelare e in ordine ad essi sia assicurato nel procedimento
camerale il contraddittorio delle parti, anche mediante la concessione di un
congruo termine a difesa, e quelli prodotti dall’indagato, acquisiti anche all’esito

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CONSIDERATO IN DIRITTO

di investigazioni difensive, siano idonei a contrastare i motivi di gravame del P.M.
ovvero a dimostrare che non sussistono le condizioni e i presupposti di
applicabilità della misura cautelare richiesta»).
Gli elementi nuovi, dunque, ritualmente introdotti (v. punto n. 3.1. e,
parzialmente, n. 3.2. del “ritenuto in fatto”), risultando destituita di fondamento
la riferita censura, sono stati valutati dal Tribunale al fine di valutare la
sussistenza di esigenze cautelari, aspetto che si passa ad affrontare.
1.2. Sull’an delle esigenze cautelari (v. punto n. 3.2. e, parzialmente, punto
n. 3.3. del “ritenuto in fatto”), la motivazione valorizza in maniera congrua la

relativamente recente, circa un anno fa, di sostanze che risultano essere le
stesse, la pericolosità di tali sostanze, in ultima analisi la gravità e la reiterazione
dei fatti (v. pp. 5-6 dell’ordinanza impugnata). Consegue il rigetto sul punto.
1.3. Fondato è, invece, il ricorso in relazione ai residui motivi (v. punti nn.
3.3., 3.4. e 3.5. del “ritenuto in fatto”).
Quanto al grado di intensità delle esigenze ed alla indispensabilità del
carcere, che è vera e propria extrema ratio del sistema, allorquando cioè ogni
altra misura risulti inadeguata per difetto, non emerge la pervicacia dell’indagato
(p. 6 dell’ordinanza impugnata), in quanto dal provvedimento dei Giudici di
merito non si comprende se Davide Mengoli abbia o meno saputo degli avvenuti
sequestri, che, secondo quanto emerge dalla stesse richiesta del P.M., erano
stati fatti passare dalla polizia giudiziaria per disguidi postali; ed il decorso del
tempo – due anni e mezzo dall’ultimo dei fatti contestati (7 novembre 2014) ed
un anno dalla spedizione di ulteriori sostanze dall’Olanda (23 giugno 2016), fatto
non oggetto di imputazione ma valorizzato ai fini cautelari – e l’incensuratezza
dell’indagato sono elementi che impongono una motivazione più attenta e
puntale in ordine alla scelta della misura cautelare necessaria nel caso di specie.
Non risulta, infine, ben tratteggiato dai Giudici di merito il diniego degli
arresti domiciliari (p. 7 dell’ordinanza impugnata), ove si consideri che, ai sensi
dell’art. 284, comma 2, cod. proc. pen., possono essere imposti limiti e divieti
alla facoltà dell’imputato sottoposto agli arresti domiciliari di comunicare verso
l’esterno, cioè con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo
assistono.

2. Discende, in definitiva, dalle considerazioni svolte l’annullamento con
rinvio dell’ordinanza impugnata, limitatamente alla selezione della misura
cautelare, con rinvio sul punto al Tribunale del riesame di Milano; e con rigetto
nel resto.

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pluralità e la gravità degli episodi, in particolare l’ultimo invio, in epoca

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato limitatamente alla selezione della
misura cautelare, con rinvio sul punto al Tribunale del riesame di Milano.
Rigetta nel resto.
Così deciso il 04/07/2017.

D niele Cenci
i

Il Presidente
Rocco Marco Blaiotta

Il Consigliere estensore

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