Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53294 del 18/10/2017


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 53294 Anno 2017
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: CENCI DANIELE

elj tt1/41
sui ricorsi proposti da:
LAZLDRITA GENCI ALIAS\tiato il 06/02/1977
MUCEJANI ARZEN nato il 02/09/1978
KURTI INDRIT nato il 25/07/1990

avverso la sentenza del 20/12/2016 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA
CASELLA
che ha concluso per

Il Proc. Gen. Casella Giuseppina conclude per l’inammissibilità del ricorso del
Mucejani per intervenuta rinuncia, mentre riguardo agli altri ricorsi conclude per
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla
rideterminazione della pena.
Uditifensore- •
NN,

Data Udienza: 18/10/2017

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Firenze il 20 dicembre 2016, in parziale riforma della
sentenza, appellata dagli imputati, resa all’esito del giudizio abbreviato dal
G.u.p. del Tribunale di Arezzo il 4 febbraio 2016, decisione con la quale Drita
Genci, Mucejani Arzen e Kurti Indrit erano stati condannati, tutti, in relazione a
sei episodi di furto consumato pluriaggravato (capi A, B, D, E, H ed I), a due
episodi di tentativo di furto pluriaggravato (capi C ed F) e ad uno di ricettazione
(capo G) ed il solo Kurti Indrit anche per un ulteriore episodio di tentativo di

tra il 26 agosto 2015 ed il 29 settembre 2015, Mucejani Arzen e Kurti Indrit con
recidiva qualificata, dopo avere assolto tutti gli imputati dal reato di cui al capo
H), per non avere commesso il fatto, ha rideterminato, riducendola, la pena.

2.Ricorrono per la cassazione dell’ordinanza gli imputati, tramite distinti
ricorsi, denunziando violazione di legge e difetto motivazionale.
2.1. Quanto a Mucejani Arzen, che denunzia erronea applicazione di legge in
relazione alle ipotesi di furto all’interno di privata dimora e vizio motivazionale,
quanto alla mancata disapplicazione della recidiva, si prende atto che con
dichiarazione personale dell’imputato resa all’ufficio matricola del carcere in cui è
ristretto in data 5 ottobre 2017, trasmessa alla Cancelleria della S.C. 1’11 ottobre
2017, si è rinunziato al ricorso.
2.2. Il ricorso nell’interesse di Drita Genci è incentrato su di un unico
motivo.
Si denunzia, infatti, violazione di legge in relazione alla qualifica dei fatti
addebitati ai capi A) e B), commessi all’interno di due chioschi collocati in distinte
aree di servizio e di rifornimento carburante in Arezzo, che non potrebbero
essere luogo di privata dimora nell’accezione di cui all’art. 624-bis cod. pen.
La questione, già posta nell’atto di appello (v. pp. 9-10), è stata disattesa
dalla Corte territoriale, che ha osservato, testualmente, quanto segue:

«risulta

acquisito che i furti avvenivano, previa effrazione, alle strutture qualificate come
chioschi, pacificamente integranti luoghi di svolgimento di attività lavorativa ed,
in particolare, connotate strutturalmente – alla stregua delle denunce in atti […]
– in modo da ospitare arredi, suppellettili, computer e oggetti personali in
termini coerenti con l’abituale svolgimento in tali luoghi delle relative attività
quotidiane dei soggetti ivi impegnati nello svolgimento di attività lavorativa»
(così alla terzultima pagina della sentenza impugnata).
Ebbene, il ricorrente sottopone a severa critica la decisione richiamando la
ratio dell’introduzione dell’art. 624-bis cod. pen. e giurisprudenza di legittimità
2

furto pluriaggravato (capo 3), fatti contestati come commessi nell’arco temporale

stimata pertinente, escludendo che nel caso di specie i chioschi annessi alle aree
di servizio possano costituire luogo di privata dimora nell’accezione che rileva, in
quanto il generico richiamo da parte della Corte di appello all’arredo ivi esistente
non potrebbe valere a qualificare gli stessi quali luoghi in cui si svolge, in tutto o
almeno in parte, vita privata.

2.3. Il ricorso di Kurti Indrit è affidato a due motivi, con i quali censura
mancanza di motivazione sotto il duplice profilo della determinazione della pena
(artt. 132-133 cod. pen.) e del diniego delle circostanze attenuanti generiche

2.3.1. Una volta eliminata la condanna in relazione al capo H), infatti, la
Corte ha ribadito il trattamento sanzionatorio inflitto per gli ulteriori reati dal
Tribunale, sulla base della specifica inclinazione manifestata dagli imputati nella
organizzazione e nella esecuzione delle condotte delittuose, della significativa
reiterazione e concentrazione delle plurime azioni, della relativa gravità dei fatti
per tempi di realizzazione, mezzi adoperati e valore dei beni sottratti, dell’essere
gli imputati privi di fissa dimora e di stabile occupazione, dediti ad attività
criminose per trarne le risorse per il proprio sostentamento (penultima pagina
della sentenza impugnata).
Assume al riguardo la difesa che si tratterebbe, in realtà, di pseudomotivazione, cioè di un mero elenco di circostanze sfornite di adeguata disamina
ed interpretazione, affidate ad un’argomentazione di tipo meramente intuitivo,
comunque confermativa di un trattamento sanzionatorio eccessivamente severo
prescelto dal Giudice di primo grado in violazione, peraltro, dell’art. 47 (così alla
pag. 3 del ricorso; recte: art. 27), comma 3, della Costituzione, secondo il quale
le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.

2.3.2. Analoga mancanza di motivazione si paleserebbe quanto al diniego
delle circostanze attenuanti generiche, diniego – si stima – frettolosamente
affidato a poche righe in cui si evidenzia da parte della Corte la gravità e la
reiterazione delle condotte e la mancanza di un comportamento processuale
dell’imputato suscettibile di valorizzazione (penultima pagina della decisione
impugnata), motivazione che si addita ad incongrua e addirittura illegittimamente – critica verso una scelta difensiva, per ciò solo, non valutabile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Quanto al ricorso di Mucejani Arzen, si prende atto della intervenuta
rinunzia allo stesso.

2. Il ricorso di Kurti Indrit è manifestamente infondato.
3

(art. 62-bis cod. pen.).

La sentenza impugnata, infatti, è assistita da congrua e logica motivazione
sia quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche (v. penultima pagina
della sentenza di appello) sia quanto alla scelta della pena ritenuta dai Giudici di
merito adeguata (v. decisione impugnata, penultima pagina, anche alla luce del
contenuto delle pp. 17-18 della sentenza del G.u.p.).

3. Diverso discorso deve farsi per il ricorso di Drita Genci, incentrato sulla
circostanza che, nel caso di specie, non possa ritenersi luogo di privata dimora il
chiosco del distributore di benzina.
«arredi,

suppellettili, computer e oggetti personali in termini coerenti con l’abituale
svolgimento in tali luoghi delle relative attività quotidiane dei soggetti ivi
impegnati nello svolgimento di attività lavorativa»,

non fornisce, in realtà,

informazioni fattuali sufficienti per comprendere se possa – e,
conseguentemente, debba – ravvisarsi o meno nei chioschi in questione un luogo
di privata dimora nell’accezione codicistica, alla stregua dell’insegnamento
contenuto nella motivazione di Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, Rv.
270076, che, risolvendo un contrasto insorto tra le Sezioni semplici, ha
puntualizzato che «Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis
cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei
quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano
aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi
quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (Nella specie la Corte ha
escluso l’ipotesi prevista dall’art. 624 bis cod. pen. in relazione ad un furto
commesso all’interno di un ristorante in orario di chiusura)».

4. Discende dalle considerazioni svolte la necessità di annullamento, con
rinvio, della sentenza impugnata non soltanto nei confronti di Drita Genci ma
anche degli altri imputati (Kurti Indrit, che ha proposto un ricorso inammissibile,
e Mucejani Arzen, che vi ha rinunziato), ai sensi dell’art. 587 cod. proc. pen., che
disciplina l’effetto estensivo dell’impugnazione che non sia fondata, come
appunto nel caso di specie, su motivi esclusivamente personali.
Infatti, secondo quanto puntualizzato dalle Sezioni Unite della S.C.,
«L’effetto estensivo dell’impugnazione, in caso di accoglimento di un motivo di
ricorso per cassazione non esclusivamente personale perché relativo all’oggettiva
inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni telefoniche, su cui la sentenza
impugnata ha fondato il giudizio di responsabilità per i concorrenti in un
medesimo reato, giova agli altri imputati che non hanno proposto ricorso, ivi
compresi coloro che hanno concordato la pena in appello, o che hanno proposto

4

La Corte di appello, infatti, mediante il vago riferimento ad

un ricorso originariamente inammissibile, o ancora che al ricorso hanno
successivamente rinunciato» (Sez U, n. 30347 di 12/07/2007, Aguneche ed altri,
Rv. 236756; in conformità, tra le Sezioni semplici, v. Sez. 1, n. 2940 del
17/10/2013, dep. 2014, Del Re, Rv. 258393).
L’annullamento ha ad oggetto esclusivamente – appare opportuno precisare
– la qualificazione giuridica dei fatti di cui ai capi A) e B), furti in concorso, con la
conseguenza che, ove i Giudici di merito dovessero riqualificare diversamente i
reati, discenderebbe la necessità di rinnodulare il trattamento sanzionatorio.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Drita Genci, nonché, ai sensi
dell’art. 587 cod. proc. pen., nei confronti di Mucejani Arzen e di Kurti Indrit,
limitatamente alla qualificazione giuridica dei fatti di cui ai capi A) e B), con
rinvio a diversa Sezione della Corte di appello di Firenze.
Dichiara inammissibili, nel resto, i ricorsi di Mucejani Arzen e di Kurti Indrit.
Così deciso il 18/10/2017.

P.Q.M.

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