Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53285 del 10/10/2017


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 53285 Anno 2017
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PIETRELLI Silvano 16/07/1969
IACOPI Michele Giordano 02/05/1957
avverso la sentenza 2199/2016 della CORTE d’APPELLO di GENOVA in
data 30/06/2016
visti gli atti;
fatta la relazione dal Cons. dott. Gabriella CAPPELLO;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. Giulio
ROMANO, il quale ha chiesto il rigetto; uditi l’Avv. Luca Pietrini del foro
di Massa per Pietrelli Silvano e Iacopi Michele Giordano, il quale insiste per
l’accoglimento dei motivi di ricorso; l’Avv. Umberto Zangani del foro di
Massa in difesa di Car Benche International S.p.A., il quale si è riportato ai
motivi.

Data Udienza: 10/10/2017

Ritenuto in fatto

1. La Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale di Massa,
appellata dagli imputati PIETRELLI Silvano e IACOPI Michele Giordano, nonché dalla CAR
BENCH INTERNATIONAL S.p.A., con la quale i primi sono stati dichiarati colpevoli del reato di
cui all’art. 590 co. 1, 2 e 3 cod. pen. per avere, il primo, quale legale rappresentante della CAR
BENCH INTERNATIONAL S.p.A. e datore di lavoro, il secondo, quale preposto della citata
società, per colpa generica e specifica, cagionato al lavoratore dipendente FORNESI Stefano,

sinistra, con indebolimento permanente dell’organo, determinata da una improvvisa discesa di
una delle losanghe del macchinario cui era addetto in qualità di assemblatore (il 12/04/2011).
2. Il FORNESI subiva il sopra descritto infortunio nel corso dell’espletamento delle sue
mansioni di assennblatore di un sollevatore a forbice, mentre era intento allo smontaggio di un
cilindro oleodinannico di spinta dalla struttura del sollevatore a forbice, senza averne assicurato
la stabilità mediante l’inserimento di ostacoli di sicurezza, in modo quindi scorretto e difforme
dalle modalità descritte nel manuale d’uso, nella convinzione che le losanghe non potessero
ulteriormente abbassarsi e che il carroponte avrebbe sostenuto il peso del cilindro.
Agli imputati si è, pertanto, contestato di non avere provveduto, il primo, a predisporre
un documento di valutazione dei rischi che recasse l’individuazione della procedura per attuare
le misure di sicurezza in fase di smontaggio del sollevatore a forbice, ad adottare adeguate
misure tecniche e organizzative e a procedere alla formazione e informazione del lavoratore in
ordine ai rischi connessi alle operazioni di smontaggio del sollevatore; il secondo, di non avere
controllato che l’uso del macchinario fosse riservato a lavoratori dotati di informazione,
formazione e addestramento adeguati.

3. Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorsi, con unico atto e medesimo
difensore, gli imputati PIETRELLI e IACOPI, formulando due motivi.
Con il primo, la difesa ha dedotto vizio ex art. 606 lett. c) cod. proc. pen. e, in ogni
caso, vizio di mancanza della motivazione con riferimento all’eccepito difetto di correlazione tra
accusa e sentenza. In particolare, si rileva che il Tribunale avrebbe ritenuto che il lavoratore si
era infortunato perché aveva eseguito una procedura di smontaggio del tutto difforme da
quella prevista nei manuali, laddove nel capo d’imputazione si farebbe riferimento al mancato
inserimento, nella fase di sostituzione di un cilindro oleodinamico, di ostacoli di sicurezza e
non, quindi, ad una procedura del tutto diversa, cosicchè la regola cautelare che si assume
violata andava ricollegata necessariamente al mancato inserimento di detti ostacoli.
Con il secondo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione, con riferimento
al nesso causale, alla individuazione della regola cautelare violata e alla condotta abnorme del
lavoratore.
Quanto al primo profilo, con specifico riferimento alla ritenuta incompletezza della
valutazione del rischio, i ricorrenti evidenziano quanto segue:
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lesioni personali gravi consistite nella amputazione della falange distale 5° del dito della mano

nella stessa sentenza impugnata sarebbe stato messo in luce che in azienda vi era un
manuale operativo che illustrava la procedura da seguire per lo smontaggio del cilindro;
tale procedura sarebbe stata messa a punto anche con il contributo attivo della vittima
e con l’ausilio di fotografie;
essa costituiva, per come chiarito anche dal consulente di parte, essa stessa misura di
prevenzione e protezione, idonea – quantomeno – a ridurre il rischio derivante dalla esposizione
ad uno o più pericoli;
il lavoratore era certamente informato dei rischi connessi alle varie fasi di lavorazione,
sia perché aveva contribuito a mettere a punto la procedura, ma anche perché aveva ricevuto

Sotto altro profilo, la difesa rileva che, anche a voler ritenere incompleta la valutazione
del rischio, le prove avrebbero dimostrato che il FORNESI aveva già assemblato oltre trecento
sollevatori senza mai subire infortuni, a conferma che egli aveva ricevuto una valida
formazione ed informazione sul rischio specifico di “cesoiamento”, del quale pertanto era
perfettamente edotto
Quanto al comportamento del lavoratore, la difesa ne rileva l’abnormità, altresì
evocando vizio di travisamento probatorio per avere i giudici di merito ritenuto che la
procedura scorretta costituisse prassi aziendale, utilizzando un contributo probatorio mai
emerso, a fronte della acquisita prova del contrario, e cioè della circostanza che mai, in
precedenza, il lavoratore era incorso in analoghi infortuni e che egli aveva ricevuto periodici
richiami dal preposto.
Ha proposto ricorso a mezzo di difensore anche la CAR BENCH INTERNATIONAL S.p.A.,
formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge con riferimento alla ritenuta esistenza
dell’illecito di cui all’art. 25 septies co. 2 d. Igs. 231 del 2001, come modificato dall’art. 300 del
d.lgs. 81 del 2008, avendo la Corte genovese ritenuto esistente un rapporto di causalità tra la
politica aziendale in materia di prevenzione antinfortunistica ed il fatto reato, uniformandosi al
giudizio formulato dal Tribunale che, tuttavia, aveva omesso di motivare specificamente sul
punto, le prove avendo posto in rilievo che l’azienda aveva messo a disposizione del lavoratore
gli apparati di sicurezza per evitare ogni rischio di lavorazione e aveva investito in sicurezza,
destinando un lavoratore esperto alla formazione del FORNESI per due/tre anni.
Con il secondo, ha dedotto vizio della motivazione con riferimento al medesimo profilo,
avendo la Corte ritenuto l’esistenza di una prassi aziendale scorretta, ragionamento inficiato da
contraddittorietà e manifesta illogicità, con riferimento alla valutazione del comportamento del
lavoratore, il quale – perfettamente edotto della procedura corretta da seguire, siccome
formato e informato in azienda – aveva posto in essere una condotta colposa, come pure
riconosciuto dai giudici di merito, tale da interrompere il nesso causale tra la violazione della
regola cautelare contestata e l’evento.

Considerato in diritto

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specifica formazione “sul campo” a fianco di altro lavoratore esperto.

1. I ricorsi vanno rigettati.
2.

La Corte territoriale ha ritenuto provato che l’infortunato, nell’occorso, aveva

seguito una procedura del tutto difforme rispetto a quella evidenziata nel manuale d’uso,
manutenzione e assemblamento, del quale egli aveva perfetta conoscenza e che ciò aveva
fatto per ridurre i tempi della procedura, sull’erronea convinzione che le losanghe non si
sarebbero ulteriormente abbassate e che il carroponte avrebbe sorretto il peso del cilindro in
sostituzione. Era anche emerso che questa era la normale prassi aziendale per procedere alla
sostituzione del componente, ritenendo quel giudice smentita – anche solo logicamente – la

momentanea, distrazione del lavoratore, del tutto incompatibile con il tipo di intervento
effettuato (posto in essere mediante movimenti e manovre peculiari, in un arco temporale
non irrilevante).
Inoltre, ha rilevato che il manuale esistente in azienda indicava sì la metodologia
corretta per effettuare tali interventi, ma non specificava quali condotte dovevano essere
evitate e i rischi che si correvano ponendole in essere, cosicchè non poteva dirsi
adegutamente adempiuto l’obbligo di formazione e informazione del lavoratore, il quale,
certamente esperto del “bene operare”, anche per merito datoriale, non lo era del “male
operare”, avendo affermato che, al momento dei fatti, egli non sapeva che una volta
abbassate le losanghe del macchinario, queste potessero, ove non trattenute da ostacoli di
sicurezza, ulteriormente abbassarsi a causa del peso del cilindro.
Tale obbligo formativo non poteva dirsi adempiuto grazie alla partecipazione del
FORNESI ad un corso aziendale tenuto il 09/09/2010, poiché esso aveva avuto ad oggetto
l’uso dei carrelli elevatori, cosa ben diversa dall’assemblaggio, montaggio, smontaggio e
sostituzione del cilindro oleodinamico, operazioni nel corso delle quali vengono in rilievo
manovre e rischi ben diversi da quelli correlati al semplice utilizzo del sollevatore a forbice.
I medesimi principi ha ritenuto risolutivi per la diversa posizione del preposto IACOPI,
il quale non aveva verificato che il FORNESI, prima di essere impiegato a quella mansione
specifica, fosse a conoscenza dei rischi specifici correlati alla procedura non corretta e non
aveva provveduto direttamente ad informarne il lavoratore, ritenendo inidonei i richiami
verbali, poiché non seguiti dall’adozione di provvedimenti, anche disciplinari.
Quanto alla condotta del lavoratore, infine, la stessa, pur assumendo connotati di
colpa, non aveva interrotto il nesso causale tra le violazioni rilevate e l’evento, non potendo la
stessa ritenersi abnorme, atteso che l’operazione compiuta rientrava nelle sue attribuzioni,
oltre che nel segmento di lavorazione di sua competenza.
Alla luce di tali considerazioni, infine, quel giudice ha ritenuto provato il rapporto di
causalità tra l’infortunio e la responsabilità dell’ente, atteso che la mancata predisposizione di
un idoneo documento di valutazione dei rischi e il difetto di formazione e informazione del
dipendente infortunato dovevano ritenersi correlati ad un risparmio di spesa e alla maggiore
resa del rapporto spesa oraria/guadagno orario.
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tesi secondo cui l’infortunio sarebbe stato conseguenza di una occasionale, quanto

3. Tutti i motivi di ricorso dedotti nell’interesse degli imputati PIETRELLI e IACOPI sono
infondati.
3.1. Il primo riguarda la dedotta nullità della sentenza di primo grado per violazione
del principio di correlazione tra l’accusa e la condanna, rispetto al quale in questa sede deve
rilevarsi la inconsistenza delle censure difensive, a fronte della ricostruzione in fatto della
vicenda, rispetto alla quale la Corte territoriale ha opportunamente specificato che il difetto di
formazione e informazione aveva riguardato proprio il rischio specifico correlato alla manovra
posta in essere, una volta accertata la prassi scorretta che il lavoratore aveva seguito.
Peraltro, il motivo di ricorso è sul punto del tutto generico, atteso che i giudici di

direttamente al mancato impiego di appositi ostacoli di sicurezza, laddove nel documento di
valutazione dei rischi non vi era cenno alle conseguenze dell’agire in difformità.
Tale percorso argonnentativo è peraltro coerente con l’orientamento consolidato di
questa Corte, alla luce del quale deve ribadirsi, su un piano generale, che – nei procedimenti
per reati colposi – la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure
specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o
immutazione del fatto ai fini dell’obbligo di contestazione suppletiva di cui all’art. 516 cod.
proc. pen. e dell’eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di
correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell’art. 521 stesso codice [cfr. sez. 4 n.
2393 del 17/11/2005 ud. (dep. 20/01/2006), Rv. 232973] e che non sussiste violazione del
principio in esame se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come
colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri
estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti
processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa [cfr. sez. 4 n.
35943 del 07/03/2014, Rv. 260161; n. 56516 del 21/06/2013, Rv. 257902; sez. 4 n. 31968
del 19/05/2009, Rv. 245313
Ove, peraltro, si consideri che il principio di correlazione tra contestazione e sentenza
è funzionale alla salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato, deve pure rilevarsi che lo
stesso è violato se il fatto ritenuto nella decisione si trova, rispetto al fatto contestato, in
rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d’imputazione non contiene l’indicazione degli
elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consente di ricavarli in via induttiva
(sez. 6, n. 10140 del 18/02/2015 Ud. (dep. 10/03/2015),Rv. 262802), sempre che il fatto
materiale per cui vi è stata condanna risulti sufficientemente descritto nell’imputazione, in tal
caso non essendo neppure ipotizzabile una violazione del contraddittorio e del correlato diritto
dell’imputato ad un equo processo, dal momento che l’imputato è stato messo in condizione
di interloquire pienamente sulla riqualificazione giuridica operata dal tribunale, dapprima con
l’atto di appello e, in seguito, con il ricorso per cassazione (sez. 6, n. 49820 del 05/12/2013
Ud. (dep. 10/12/2013), Rv. 258138).
Tale orientamento è del tutto conforme, peraltro, ai principi costituzionali racchiusi nella
norma di cui al novellato art. 111 Costituzione e all’art. 6 della Convenzione E.D.U., siccome
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merito hanno ancorato la non conformità della procedura a quella indicata nel manuale d’uso

interpretato, in base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a
partire dalla nota pronuncia della Corte di Strasburgo, nel caso Drassich v. Italia (CEDU 2 sez.
11 dicembre 2007).
3.2. Quanto al secondo motivo, la sentenza impugnata ha espressamente motivato in
ordine alla individuazione della regola cautelare violata e al nesso causale, evidenziando la
mancata inclusione, nel documento di valutazione dei rischi e nella conseguente attività
formativa e informativa del lavoratore, di precisi riferimenti al rischio specifico riguardante la
sostituzione del componente meccanico senza l’adozione degli ostacoli di sicurezza, ravvisando
in tale passaggio di conoscenza l’essenza dell’efficacia dell’insegnamento datoriale e rilevando

assorbire il raggio degli adempimenti ragionevolmente esigibili in capo all’agente, tutto ciò
sulla scorta di elementi probatori che non possono essere rivalutati nel senso prospettato a
difesa in questa sede di legittimità, a fronte di un ragionamento dei giudici di merito del tutto
congruo, logico e non contraddittorio.
3.2.1. Peraltro, non può mancarsi di considerare che, in caso di doppia pronuncia
conforme di condanna, nell’ambito dei motivi di ricorso per cassazione, il vizio
di travisamento della prova, previsto dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. può
essere dedotto nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei
motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice [cfr. sez. 4
n. 4060 del 12/12/2013 Ud. (dep. 29/01/2014), Rv. 258438; n. 5615 del 13/11/2013 ud.
(dep. 04/02/2014), Rv. 258432] o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini
della pronuncia (cfr. sez. 2 n. 47035 del 03/10/2013, Rv. 257499). Il che non è stato neppure
prospettato da parte ricorrente, limitatasi a proporre una lettura alternativa della prova
dichiarativa, prelcusa in questa sede.
In altri termini, il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso
per cassazione quando il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di
gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice o quando entrambi i
giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite
in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il
riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto
al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti [cfr. Sez. 4 n. 44765 del
22/10/2013, Rv. 256837; n. 5615 del 13/11/2013 Ud. (dep. 04/02/2014), Rv. 258432; n.
4060 del 12/12/2013 Ud. (dep. 29/01/2014), Rv. 258438].
Macroscopicità ed evidenza che, nel caso all’esame, non ricorrono, ma riguarderebbero
in ogni caso il significato da attribuirsi ad alcune affermazioni estrapolate dal complesso del
dato dichiarativo. In ogni caso e conclusivamente, è addirittura inammissibile il motivo di
ricorso che sottopone al giudice di legittimità atti processuali per verificare l’adeguatezza
dell’apprezzamento probatorio ad essi relativo compiuto dal giudice di merito ed ottenerne una
diversa valutazione, perché lo stesso costituisce censura non riconducibile alle tipologie di vizi

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l’inidoneità dei semplici richiami verbali (quanto alla posizione specifica del preposto) ad

della motivazione tassativamente indicate dalla legge” (cfr. Sez. 7 n. 12406 del 19/02/2015,
Rv. 262948).
3.2.2. Con specifico riferimento agli obblighi datoriali, inoltre, si è anche di recente
precisato che il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di
specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i
fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica
concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e,
all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di
valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale è

salute e la sicurezza dei lavoratori (cfr. sez. 4 n. 20129 del 10/03/2016), Rv. 267253). Tale
obbligo, peraltro, non è limitato al solo rispetto delle norme tecniche, ma richiede anche
l’adozione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi di nocumento per i
lavoratori, purché ciò sia concretamente specificato in regole che descrivono con precisione il
comportamento da tenere per evitare il verificarsi dell’evento (cfr. sez. 4 n. 5273 del
21/09/2016 Ud. (dep. 03/02/2017), Rv. 270380].
3.2.3. Infine, quanto al comportamento tenuto dal lavoratore infortunato e ai suoi
riflessi sulla sequenza causale innescata dalla violazione degli obblighi cautelari incombenti
sugli imputati, in ragione delle diverse posizioni di garanzia ricoperte, nessun vizio inficia il
ragionamento sviluppato sul punto dalla Corte di merito, che risulta coerente con i principi di
diritto, più volte ribaditi da questa stessa sezione, secondo cui, in tema di prevenzione
antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità
del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme, configurabile come un fatto
assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può
considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (cfr. Sez. 4 n. 22249
del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di “atto abnorme”, si è pure
precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un’operazione
che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui
specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013
Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313).
L’abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza
della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste
una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale
imprevedibilità non può mai essere raavisata in una condotta che, per quanto imperita,
imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di
uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce
evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall’avallare forme di
automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del “comportamento abnorme”, serve
piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari – interne o
esterne al processo di lavoro – che connotano la condotta dell’infortunato in modo che essa si
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tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la

collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4
n. 7955/2013 richiamata). Tale comportamento è “interruttivo” non perché “eccezionale” ma
perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare” [Sez. 4, n.
49821 del 23/11/2012, Rv. 254094; n. 15124 del 13/12/2016 Ud. 8dep. 27/03/2017), Rv.
269603)].
3.2.4. A fronte delle svolte argomentazioni difensive, peraltro, deve pure osservarsi che
in questa materia, l’adempimento degli obblighi di informazione e formazione dei dipendenti,
gravante sul datore di lavoro, non è escluso nè è surrogabile dal personale bagaglio di
conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il

posti in relazione gerarchica tra di loro (cfr. sez. 4 n. 22147 dell’11/02/2016, Rv. 266860), poiché
l’apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze
e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di
informazione e di formazione prevista dalla legge (cfr. sez. 4 n. 21242 del 12/02/2014, Rv.
259219).
3.2.5. Alla luce di tali principi, correttamente la Corte di merito ha disconosciuto efficacia
interruttiva al comportamento del FORNESI che parte ricorrente avrebbe voluto vedere
diversamente considerato, posto che per quanto “imprudente” sia stato l’operare del lavoratore
nell’occorso, esso risulta comunque compiuto nello svolgimento dei compiti assegnatigli, non
estraneo al processo produttivo e non imprevedibile nel senso sopra chiarito, costituendo tale
modalità di lavoro addirittura una prassi aziendale, secondo quanto accertato in sede di merito.
4. Anche il ricorso nell’interesse dell’ente va rigettato.
Richiamati i principi sopra enunciati con riferimento al comportamento del lavoratore e
alla dedotta valenza interruttiva del nesso causale che anche la difesa della CAR BENCH
INTERNATIONAL S.p.A. ha opposto, deve rilevarsi – quanto al rapporto di causalità tra la politica
aziendale in materia antinfortunistica e il fatto di reato contestato agli imputati PIETRELLI e
IACOPI – che la sentenza è esente dai vizi denunciati.
In generale, deve infatti osservarsi, quanto ai presupposti della responsabilità
amministrativa dell’ente introdotta con il d.lgs. 231 dell’08/06/2001, che i criteri di imputazione
oggettiva di cui al riferimento contenuto nell’art. 5 del d.lgs. 231/01 (interesse o vantaggio
dell’ente), sono riferibili alla condotta e non all’evento e che, in caso di reati colposi di evento,
essi sono alternativi e concorrenti tra di loro, esprimendo il criterio dell’interesse una valutazione
del reato di tipo teleologico, apprezzabile ex ante, al momento cioè del fatto secondo un giudizio
soggettivo e avendo, invece, quello del vantaggio una connotazione eminentemente oggettiva,
valutabile ex post, sulla base degli effetti derivati dalla realizzazione dell’illecito (cfr. Sez. U. n.
38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261114 e Rv. 261115).
Inoltre, sempre in tema, si è riconosciuto l’interesse dell’ente nel caso in cui l’omessa
predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, laddove si configura il
vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della
produttività [cfr. sez. 4 n. 24697 del 20/04/2016, Rv. 268066 (in fattispecie in cui la Corte ha
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travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche

affermato che la responsabilità dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del

vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata
adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali
gravi); n. 2544 del 17/12/2015 ud. (dep. 21/01/2016), Rv. 268065].
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ricollegato la responsabilità amministrativa
dell’ente alla inidoneità del documento di valutazione dei rischi predisposto e alla inadeguatezza
dell’attività di formazione e informazione del lavoratore, entrambi causa dell’infortunio, laddove,
con riferimento al vantaggio/interesse dell’ente, hanno evidenziato l’incidenza della scorretta
prassi aziendale accertata sul rapporto spesa-guadagno.

di diritto sopra richiamati e sottratta pertanto al sindacato di questa Corte, incombendo, in ogni
caso, sull’ente l’onere – con effetti liberatori – di dimostrare l’idoneità dei modelli di
organizzazione e gestione adottati a prevenire reati della specie di quello verificatosi (cfr. Sez. U.
n. 38343/2014, Thyssen Krupp, Rv. 261112).
Onere che non può certamente considerarsi assolto attraverso la sola circostanza
dell’esistenza di un documento, ritenuto inidoneo dai giudici di merito e di meri richiami verbali,
ritenuti parimenti inadeguati.
5. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Deciso in Roma il giorno 10 ottobre 2017

Trattasi di motivazione del tutto congrua, logica e non contraddittoria, allineata ai principi

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