Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53283 del 21/09/2017


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 53283 Anno 2017
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANZARO
nel procedimento a carico di:
TALARICO MARIA nato il 27/11/1962 a CATANZARO
MANCINI IRENE nato il 13/05/1966 a SERRA D’AIELLO
DE TRANA ENRICO nato il 14/02/1979 a POTENZA
PELAGGI INES nato il 25/07/1953 a NAPOLI

avverso la sentenza del 14/11/2016 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SALVATORE DOVERE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA
CASELLA
_Lbe4r-d-corretuserIl Proc. Gen. CASELLA GIUSEPPINA conclude per il rigetto.
Udito il difensore
Il difensore avvocato CASALINUOVO ALDO del foro di CATANZARO, in difesa di
PELAGGI INES e in sostituzione dell’avvocato CIMADOMO DONATELLO del foro di
POTENZA, in difesa DE TRANA ENRICO chiede dichiararsi l’inammissibilità del

Data Udienza: 21/09/2017

ricorso.
L’avvocato IOPPOLI VINCENZO del foro di CATANZARO in difesa di TALARICO
MARIA chiede il rigetto del ricorso.
L’avvocato l’avvocato BITONTE MARCELLA del foro di COMO in difesa di MANCINI

IRENE chiede il rigetto del ricorso.

2

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro ha
dichiarato inammissibile l’appello proposto dal Procuratore Generale della
Repubblica presso la Corte di Appello medesima avverso la sentenza emessa il
9.7.2015 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro, con la
quale Talarico Maria, Mancini Irene, Pelaggi Ines e De Trana Enrico erano stati
mandati assolti, tutti, dal reato omicidio colposo in danno di Beatrice Repici e, i
primi tre, dal reato di falsità ideologica in atto pubblico.

tardivamente.

2.

Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Procuratore Generale

lamentando la violazione del combinato disposto dagli artt. 568, 570, 581, 582,
591 e 597 cod. proc. pen. perché la Corte di Appello ha fondato il proprio
giudizio sul timbro di deposito dell’atto di appello apposto presso la segreteria
della Procura Generale di Catanzaro anziché verificare la tempestività del
deposito presso la cancelleria del giudice di primo grado, come pretende il codice
di rito. La circostanza ritenuta dalla corte distrettuale, ovvero che l’appello fosse
stato depositato in cancelleria alle ore 13,15 (oltre l’orario di apertura al pubblico
dell’ufficio) dell’ultimo giorno utile, non è stata documentata da apposita
attestazione del cancelliere dell’ufficio del G.i.p. Peraltro, aggiunge il ricorrente, il
timbro apposto dalla segreteria del Procuratore Generale presenta elementi
anomali: indicazione a penna dell’orario di deposito, errore nell’indicazione del
mese, mancanza di sottoscrizione da parte di colui che ha operato le annotazioni.
Sicchè, a fronte dell’errore sulla data la Corte di Appello avrebbe dovuto
verificare la correttezza degli altri estremi della attestazione di deposito.
Per contro, l’attestazione apposta presso la cancelleria del giudice riporta
esclusivamente la data del deposito (lo stesso 18.1.2016), sicché, alla luce delle
direttive impartite dal Presidente del Tribunale in merito agli orari di apertura al
pubblico degli uffici di cancelleria, deve ritenersi che l’atto sia stato depositato
entro l’orario di apertura. E solo l’attestazione della cancelleria del giudice può
essere assunta a prova dell’avvenuto deposito.
Infine, conclude il ricorrente, la Corte di Appello avrebbe dovuto ritenere la
falsità dell’attestazione fatta dalla cancelleria del giudice per poter dare rilievo a
quella apposta presso la segreteria del P.G.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
3.1. Le dedotte violazioni di legge sono insussistenti. Il ricorso elabora con
perspicacia i lineamenti del ritenuto vizio, tentando di non invadere il territorio

La Corte di Appello ha ritenuto che il gravame fosse stato proposto

del vizio di motivazione. Per tale motivo esso esibisce un capisaldo: a fronte
della previsione codicistica secondo la quale l’attestazione di deposito dell’atto di
impugnazione è fatta dalla cancelleria del giudice impugnato e non dalla
segreteria del p.m. quest’ultima non può costituire prova della data del deposito.
Senonché un simile assunto, pur essendo sostanzialmente condivisibile alla luce della previsione dell’art. 582, co. 1 cod. proc. pen. -, non è però
risolutivo nel caso che occupa poiché l’attestazione della cancelleria indica la sola
data (18.1.2016) e non anche l’ora del deposito. Oggetto della prova ricercata

punto il ricorrente prospetta un mero argomento logico – poiché l’atto è stato
ricevuto, e senza ulteriori specificazioni, deve ritenersi che sia stato presentato
nell’orario di apertura al pubblico, secondo le disposizioni del Presidente del
Tribunale – che ben può essere contrastato da altri argomenti logici. Come quello
utilizzato dalla Corte di Appello, che dal deposito presso la segreteria del P.G.
oltre l’orario di apertura al pubblico degli uffici ha razionalmente dedotto che il
successivo deposito presso la cancelleria del giudice fosse avvenuto in tempo
ulteriormente successivo. Ben si vede, quindi, che solo nominalmente su questo
aspetto decisivo il ricorrente prospetta una violazione di legge: in sostanza egli
contesta la valutazione della prova, senza tuttavia riuscire a dimostrare che
essa è manifestamente illogica o in contraddizione con le emergenze processuali.
Né un simile vizio può costituire il riflesso dell’argomento in ultimo utilizzato
dal ricorrente: ovvero che l’attestazione della cancelleria potrebbe essere
superata solo denunciandone la falsità. E ciò per il semplice motivo che
quell’attestazione, lo si ripete, indica solo la data e non anche l’orario del
deposito; e solo su base presuntiva il ricorrente ha affermato che essa implica la
ricezione in orario di apertura al pubblico; ma si tratta di una presunzione
intuitivamente contrastata da presunzioni di segno opposto.
Peraltro, l’argomentazione del ricorrente è anche monca perché

non

inserisce nel proprio contesto giustificativo l’annotazione resa dalla segreteria del
P.G., se non per escluderne l’attendibilità, ma sulla scorta di un autonomo
percorso ricostruttivo, che si vorrebbe recepito da questa Corte. In particolare,
quanto alla asserita mancanza di sottoscrizione di quella annotazione, l’esame
dell’atto, allegato al ricorso, lascia emergere la presenza in calce all’atto di
appello di una sottoscrizione, con sigla apposta sul timbro Cancelliere Dott.
Guido Trapuzzano’, che sembra riferita all’annotazione del deposito. Il ricorrente
lascia intendere – con l’allegazione di una certificazione della segreteria del P.G.
per la quale tale ufficio di prassi non appone l’orario del deposito degli atti
ricevuti – che quella sottoscrizione sia stata posta in modo ‘anomalo’; ma vale
per questa prospettazione quanto dal medesimo ricorrente rammentato a

dalla Corte di Appello è stato, quindi, proprio l’orario del deposito. E su tale

riguardo del valore fidefacente della pubblica attestazione: per porla in dubbio se
ne deve denunciare la falsità. Cosa che il ricorrente si guarda bene dal fare.
Una volta di più risulta confermato che il vero bersaglio della censura mossa
con il ricorso concerne la valutazione della prova; ma si tratta di censura
espressa in termini non consentiti in sede di legittimità.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato.
P.Q.M.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21/9/2017.
Il Consigliere estensore
Salva re Dovere

Il Presidente
Rocco Marco Blaiotta

Rigetta il ricorso.

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