Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5323 del 20/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 5323 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DEMECO DOMENICO N. IL 17/03/1971
avverso l’ordinanza n. 1542/2011 TRIB. SORVEGLIANZA di
CATANZARO, del 25/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 20/09/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza deliberata il 25 ottobre 2012 il Tribunale di sorveglianza di
Catanzaro ha respinto la domanda di affidamento in prova al servizio o
detenzione domiciliare, proposta da Demeco Domenico, in espiazione della pena
di anni uno e mesi sei di reclusione per delitti in materia di armi clandestine e

A ragione della decisione il Tribunale ha addotto la gravità dei fatti
(possesso di due pistole, calibro 7,65, con matricole punzonate, caricatori
inseriti, e relative munizioni rinvenute nel ripostiglio e nel garage
dell’abitazione, dove si trovava anche un altro serbatoio per pistola dello stesso
calibro e quindici proiettili), e il comportamento non ispirato a resipiscenza e
minimizzante le violazioni commesse, tenuto dal Demeco post delicta.
L’imputato aveva anche usato violenza e minaccia nei confronti di un
verbalizzante nell’immediatezza e a seguito dell’accertamento, e non aveva
chiarito le ragioni per cui disponeva di armi di notevole potenzialità offensiva
nella propria abitazione, donde la ritenuta inidoneità pure della detenzione
domiciliare ad arginare la sua pericolosità, in accordo con gli esiti dell’indagine
dei servizi sociali segnalanti la scarsa affidabilità e il disimpegno del Demeco
rispetto alla sua effettiva rieducazione.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Demeco tramite il difensore, il quale deduce violazione di legge per avere il
Tribunale di sorveglianza illegittimamente sovrapposto la propria valutazione di
gravità dei reati a quella del giudice della cognizione che avrebbe ritenuto il
contrario, come dimostrato dal fatto che il Demeco, arrestato in flagranza, fu
immediatamente restituito alla libertà e allo stesso fu applicata la non elevata
pena di un anno e mesi sei di reclusione concordata con il pubblico ministero ex
art. 444 cod. proc. pen.
Il Tribunale avrebbe, inoltre, travisato i risultati dell’indagine sociale,
avendo il Demeco mostrato piena consapevolezza del disvalore dei fatti
commessi, pur definiti una leggerezza”, e non potendo la pretesa resistenza al
percorso rieducativo essere dedotta dal solo comportamento processuale.
Illegittimamente, inoltre, il Tribunale avrebbe disapplicato l’art. 1 della legge
n. 199 del 2010 che impone l’esecuzione domiciliare delle pene non superiori a
diciotto mesi salve le eccezioni non ricorrenti nel caso di specie.

i

violenza e minaccia a pubblico ufficiale, commessi il 2 marzo 2010.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Contrariamente alla tesi del ricorrente, il Tribunale di sorveglianza deve
valutare la pericolosità sociale del condannato che, dalla libertà, richieda

l’applicazione di misure alternative e tale valutazione comprende i parametri
indicati nell’art. 133 cod. pen., al fine di apprezzare l’idoneità della misura

Di puro fatto, in particolare, è l’apprezzamento del Tribunale con riguardo
alla condotta del Demeco successiva al delitto, non ritenuta dal decidente
sintomatica di resipiscenza e di disponibilità ad un effettivo percorso
rieducativo, per la minimizzazione dei reati commessi e la scarna analisi delle
ragioni ad essi sottese. Tale valutazione di merito, sorretta da motivazione
adeguata e coerente, esente da violazioni delle regole del diritto e della logica,
è insindacabile in questa sede.
Parimenti legittima e non censurabile, alla luce della ritenuta pericolosità per
il concreto pericolo di reiterazione criminosa, deve ritenersi la non disposta
esecuzione domiciliare della pena, a norma dell’art. 1, comma 2, lett. d), legge
n. 199 del 2010, peraltro oggetto di applicazione da parte del Magistrato di
sorveglianza ai sensi del comma 5 dello stesso articolo, il quale procede ex art.
69bis Ord. Pen.,

con ordinanza reclamabile al Tribunale di sorveglianza,

secondo un autonomo procedimento diverso da quello attivato in questa sede.

2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue,

ex art. 616,

comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione
pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 20 sett mbre 2013.

richiesta a permettere il reinserimento sociale dell’interessato.

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