Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53214 del 08/11/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 53214 Anno 2017
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: DI PAOLA SERGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FRANCO LUCA nato il 16/03/1969 a Valenza
nel procedimento a carico di quest’ultimo

avverso l’ordinanza del 18/05/2017 del Tribunale di Arezzo
sentita la relazione svolta dal Consigliere Sergio Di Paola;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Dr.ssa Perla Lori, che
ha chiesto rigettarsi il ricorso;
udito il difensore Avv. Armando Conti, in sostituzione dell’Avv. Giuseppe Sassi,
che ha concluso riportandosi ai motivi del ricorso;

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1. Il Tribunale di Arezzo, con ordinanza in data 18 maggio 2017, rigettava
l’istanza di riesame presentata da Luca Franco, avverso l’ordinanza del G.I.P. del
medesimo Tribunale, che aveva disposto il sequestro preventivo di 13 lamine di
oro puro, del peso di oltre 15 Kg e della somma di C 532.585, in quanto
costituenti il prodotto (l’oro) ed il profitto (il denaro) del delitto di cui all’ art. 648
bis cod. pen. contestato al Franco, alienante del quantitativo di oro, ed a Dario
Peruzzi, che aveva acquistato il metallo prezioso. Nel provvedimento si dava
conto degli elementi raccolti attraverso le indagini (effettuate mediante
intercettazioni telefoniche sulle utenze in uso al Peruzzi, servizi di appostamento

Data Udienza: 08/11/2017

e osservazione) che avevano consentito di individuare una serie di operazioni
concluse tra gli odierni indagati, a breve distanza di tempo l’una dall’altra, sino a
quando il 7 aprile 2017, grazie all’attività di perquisizione condotta dagli
investigatori, veniva accertata la cessione del quantitativo di oro poi sottoposto a
sequestro (costituito da lamine del metallo prezioso che recavano segni di
abrasione degli elementi identificativi dell’oro) a fronte del versamento del
denaro contante, che l’acquirente aveva occultato nel doppiofondo della vettura
da lui utilizzata per il trasporto dell’oro.

violazione e falsa applicazione della legge penale, in relazione alli art. 648

bis

cod. pen. Osserva il ricorrente che la motivazione del provvedimento impugnato
non dava conto dell’esistenza del delitto presupposto, della provenienza illecita
dell’oro compravenduto, e non aveva considerato in alcun modo la tesi difensiva,
fondata su documenti (già esibiti davanti al Tribunale del riesame, richiamati ed
allegati al ricorso) che attestavano la regolarità dell’operazione commerciale
intercorsa tra il Franco ed il Peruzzi, aventi ad oggetto la vendita di 15.000
grammi di oro, avvenuta nella mattinata del 7 aprile 2017 tra la Chimet s.p.a.
di Valenza e la GMET s.r.I., società amministrata dal Franco, il quale aveva
materialmente provveduto al ritiro dell’oro acquistato (come risultava dal
documento di trasporto del 7 aprile 2017 e dalla fattura del successivo 10 aprile
2017) a fronte del pagamento del corrispettivo effettuato tramite bonifico
bancario, anch’esso documentato; il quantitativo acquistato era stato poi ceduto
alla società Raika per il tramite del Peruzzi. Aggiungeva che non rivestivano
carattere determinante né la dedotta alterazione rappresentata dall’eliminazione
dei marchi identificativi (trattandosi di circostanza che era sconosciuta al Franco,
poiché aveva ritirato l’oro già confezionato e sigillato), né la divergenza tra il
prezzo indicato nei documenti commerciali e fiscali relativi alla vendita dell’oro
tra la Chimet s.p.a. e la GMET s.r.1, e il minor prezzo ritrovato nella disponibilità
del Franco e sottoposto a sequestro, trattandosi di circostanza logicamente
connessa alle notorie oscillazioni del prezzo del metallo sui mercati
internazionali, anche nel corso della medesima giornata.
3. Il motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
3.1. Le obiezioni difensive, nel riproporre gli argomenti già dedotti davanti al
Tribunale del riesame, si concentrano in primo luogo sull’inidoneità degli
argomenti utilizzati dal Tribunale per contrastare l’assunto della liceità
dell’operazione commerciale intercorsa tra il Franco ed il Peruzzi. Al contrario, il
provvedimento impugnato ha fornito una motivazione logica e coerente per
dimostrare l’inverosimiglianza della tesi difensiva a sostegno della regolarità
dell’operazione commerciale, preceduta dall’acquisto della GMET s.r.l. di un

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2. Propone ricorso per cassazione la difesa del Franco, deducendo la

quantitativo di oro identico a quello ceduto al Peruzzi, operazione effettuata nello
stesso giorno dell’avvenuto sequestro e documentata attraverso i documenti
indicati dal ricorrente. Il Tribunale ha, infatti, messo in rilievo le modalità
sospette e anomale di pregresse trattative, svolte nei giorni antecedenti il 7
aprile 2017, tra il Peruzzi e un soggetto a quel momento ancora non identificato
(e altro personaggio risultato socio della GMET s.r.I.); i movimenti egualmente
sospetti di veicoli, ripetuti nei medesimi luoghi, veicoli tra i quali era stata
individuata la vettura utilizzata dal Franco e nella quale il 7 aprile 2017 sarebbe

sequestrato; il contenuto di conversazioni intercettate dal linguaggio criptico,
che preludevano all’operazione accertata dalla p.g.; elementi che, valutati
assieme al dato obiettivo della rilevata alterazione dei segni identificativi del
materiale prezioso compravenduto, inducevano a dubitare che l’oro sequestrato
fosse corrispondente a quello indicato nella documentazione esibita dalla difesa,
anche per la presenza di alterazioni che sarebbero risultate illogiche ove operate
dalla stessa società che aveva ceduto l’oro alla GMET s.r.l.
3.2. Allo stesso modo, non sono fondate le censure che riguardano
l’indimostrata provenienza delittuosa dell’oro sequestrato, così come quelle che
attengono al profilo dell’indeterminatezza del delitto presupposto. Premesso,
come ricorda lo stesso ricorrente, che «nella valutazione del

“fumus commissi

delicti”, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice del riesame non
può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener
conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e
dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando,
sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione
accusatoria, e plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato, pur
senza sindacare la fondatezza dell’accusa» (Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014,
Armento, Rv. 261677), va altresì ribadito che la giurisprudenza di legittimità ha
più volte affermato il principio secondo il quale «ai fini della configurabilità del
reato di riciclaggio non si richiedono l’esatta individuazione e l’accertamento
giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla
stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno
astrattamente configurabile» (Sez. 6, n. 28715 del 15/02/2013, Alvaro, Rv.
257206, relativa ad una fattispecie di illecite operazioni di cambio di valuta fuori
corso in euro; nello stesso senso Sez. 6, n. 495 del 15/10/2008, dep. 2009,
Argiri Carrubba, Rv. 242374). L’esame del complesso dei dati obiettivi emersi
attraverso le indagini ha condotto legittimamente il tribunale ad ipotizzare, salvi
gli approfondimenti delle successive fasi di indagine, il delitto di riciclaggio del
metallo prezioso sottoposto a sequestro. In questo senso rileva, in primo luogo,

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stata rinvenuta la somma di denaro ricevuta a fronte della cessione dell’oro

l’accertata abrasione dei dati identificativi delle lamine di oro compravendute,
condotta che denota la necessità di ostacolare l’individuazione della provenienza
del metallo prezioso, in ragione della specifica funzione attribuita dalla legge al
marchio di identificazione, disciplinato dagli artt. 7 e ss. del d. Igs. 22 maggio
1999, n. 251 (Disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli
preziosi, in attuazione dell’articolo 42 della legge 24 aprile 1998, n. 128), che
rappresenta lo strumento individuato dal legislatore per controllare la fonte e
ogni successivo passaggio del metallo prezioso che, per le sue caratteristiche

indebitamente sui trasferimenti dei metalli preziosi. A tale dato, di indubbio
significato logico, si affiancano le considerazioni già riportate in precedenza oltre
alla circostanza, svalutata dalla difesa, della conclusione dell’accordo per l’
operazione di cessione a prezzo inferiore a quelli di mercato, ulteriore indice
della provenienza delittuosa della merce (circostanza che non può trovare
giustificazione nelle asserite oscillazioni delle quotazioni dell’ oro, peraltro non
documentate, atteso che l’accordo sul prezzo della cessione era stato già
raggiunto nelle giornate precedenti, a conferma dell’anomalia e del carattere
illecito dell’operazione stessa).
3.3. Ad ogni buon conto, la tesi alternativa prospettata dal ricorrente, in
quanto basata su valutazioni in fatto delle risultanze degli atti di indagine e delle
allegazioni della parte, non può formare oggetto del sindacato di legittimità; in
ogni caso, non può valere a screditare la fondatezza della motivazione del
provvedimento impugnato l’asserita estraneità del Franco alle materiali
operazioni di alterazione dei dati identificativi del metallo da lui ceduto, poiché
per le qualità soggettive degli indagati (essendo entrambi operatori del settore),
quelle particolari caratteristiche degli accordi, che sono state indicate in
precedenza, erano palesemente indicative della consapevolezza del Franco circa
l’illiceità dell’operazione eseguita. Né le critiche formulate in ordine
all’ascrivibilità al Franco delle condotte tipiche, ove in astratto fondate, farebbero
comunque venir, meno la configurabilità dell’ipotizzato delitto di riciclaggio,
eventualmente commesso da altri soggetti (allo stato non individuati),
legittimando così il perdurare del vincolo cautelare.
4. All’ inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati
i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si
ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.

4

intrinseche, può costituire oggetto di alterazioni e falsificazioni volte a lucrare

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso l’ 8/11/2017

Sergio Di

Il Presidente
avigo

Il Consigliere f ensore

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