Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53212 del 08/11/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 53212 Anno 2017
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: DI PAOLA SERGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PERUZZI DARIO nato il 20/04/1948 a Monte San Savino
nel procedimento a carico di quest’ultimo

avverso l’ordinanza del 09/05/2017 del Tribunale di Arezzo
sentita la relazione svolta dal Consigliere Sergio Di Paola;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Dr.ssa Perla Lori, che
ha chiesto rigettarsi il ricorso;
udito il difensore Avv. Francesco Molino che ha concluso riportandosi ai motivi
del ricorso;

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1. Il Tribunale di Arezzo, con ordinanza in data 12 maggio 2017, rigettava
l’istanza di riesame presentata da Dario Peruzzi avverso l’ordinanza del G.I.P.
del medesimo Tribunale, che aveva disposto il sequestro preventivo di 13 lamine
di oro puro, del peso di oltre 15 Kg, e della somma di C 532.585, in quanto
costituenti il prodotto (l’oro) ed il profitto (il denaro) del delitto di cui all’ art. 648

bis cod. perì. contestato al Peruzzi, acquirente del quantitativo di oro, ed a
Franco Luca, che aveva ceduto il metallo prezioso. Nel provvedimento si dava
conto degli elementi raccolti attraverso le indagini (effettuate mediante
intercettazioni telefoniche, servizi di appostamento e osservazione, verifiche
documentali e accertamenti presso pubblici uffici) che avevano consentito di
individuare una serie di operazioni concluse tra gli odierni indagati, a breve

Data Udienza: 08/11/2017

distanza di tempo l’una dall’altra, certamente nei giorni 29 marzo 2017, 1 aprile
2017 e 7 aprile 2017, occasione quest’ultima in cui, grazie all’attività di
perquisizione condotta dagli investigatori, veniva accertata la cessione del
quantitativo di oro poi sottoposto a sequestro (costituito da lamine del metallo
che recavano segni di abrasione degli elementi identificativi dell’oro) a fronte del
versamento del denaro contante, che l’acquirente aveva occultato nel
doppiofondo della vettura da lui utilizzata per il trasporto dell’oro.
2. Propone ricorso per cassazione la difesa del Peruzzi, deducendo la

e 648 quater cod. pen., 321 cod. proc. pen., nonché la manifesta illogicità e la
contraddittorietà della motivazione. Deduce il ricorrente che l’operazione
accertata dalla p.g. costituiva semplicemente una cessione “a nero” dell’oro,
legittimamente acquistato dalla società GMET s.r.I., società riconducibile al
Franco; che la motivazione del provvedimento impugnato, nella parte in cui
deduce il coinvolgimento del Peruzzi, nell’operazione illecita contestata, dal
rinvenimento di una fattura (non riscontrata nella contabilità della parte
acquirente) emessa dalla GMET s.r.l. in favore della società RAIKA s.r.l. (società
facente capo al figlio dell’indagato Peruzzi Alessio), relativa alla cessione
avvenuta il 7 aprile 2017, sarebbe manifestamente illogica poiché fa discendere
elementi a carico del Peruzzi da fatti ascrivibili unicamente alla parte alienante,
senza alcun dato che possa sostenere la consapevolezza del Peruzzi in ordine
all’illiceità dell’operazione. Inoltre, il ricorrente censura la violazione di legge
relativa alla qualificazione dei fatti accertati, mancando la prova del delitto
presupposto e della materialità della condotta, oltre che dell’elemento
psicologico richiesto, per ipotizzare il delitto di riciclaggio: il Tribunale del
riesame non aveva tenuto conto delle risultanze della relazione del servizio
metrico della Camera di commercio di Arezzo che attestava la presenza su tutte
le lamine sequestrate sia del titolo che del marchio identificativo, che solo per
alcune lamine quei segni erano parzialmente abrasi, che i segni erano
riconducibili al Banco Metalli Chimet s.p.a, così contraddicendo l’ipotizzato
ostacolo all’identificazione della provenienza del materiale prezioso. Aggiungeva
il ricorrente che l’iniziativa della p.g., che aveva sorpreso il Peruzzi con le lamine
ancora custodite in un borsone, avvolte in fogli di carta, escludeva in fatto che il
Peruzzi potesse avere operato l’alterazione o la modificazione riscontrata sulle
lamine stesse; il Peruzzi aveva effettuato l’acquisto in perfetta buona fede,
essendo stato rassicurato dal Franco sulla bontà dell’operazione; anche l’attività
di alterazione contestata, anziché indicativa della provenienza illecita, doveva
ritenersi neutra, in quanto diretta ad eliminare un dato (il contrassegno
originario) che era indicativo della liceità della provenienza. Censurava, infine, la

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violazione e falsa applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 648 bis

motivazione del provvedimento che aveva negato la restituzione delle tre lamine
su cui era stata verificata l’assenza di segni di abrasione, risultando
pacificamente il difetto, per quei beni, della caratteristica necessaria per
ipotizzare il delitto di riciclaggio.
3. Il motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
3.1. In primo luogo, va rilevato che la censura formulata, evocando la
manifesta illogicità dell’ordinanza del Tribunale del riesame, è palesemente
inammissibile in quanto non consentita dal disposto dell’art. 325, 1 comma, cod.

attestatasi nella giurisprudenza di legittimità. Se, infatti, è principio consolidato
quello secondo il quale « il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in
materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di
legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in
procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato
argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo
dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo
a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice» (Sez. 2, n. 18951
del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep.
2017, Faiella, Rv. 269296), è ugualmente costante l’affermazione secondo la
quale « in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge
deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera
apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi
dell’art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen.» (Sez. 2, n. 5807 del
18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; nello stesso senso, Sez. 5, n. 35532 del
25/06/2010, Angelini, Rv. 248129; Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, Vespoli, Rv.
242916). Il ricorrente, nel lamentare la mancanza di una «congrua
motivazione», rispetto alle deduzioni difensive, ammette implicitamente
l’esistenza (non solo formale) della motivazione che la lettura del provvedimento
impugnato, del resto, consente di apprezzare come adeguata rispetto alle
obiezioni difensive (come quella dell’inconferenza degli argomenti utilizzati dal
Tribunale per contrastare l’assunto della semplice « operazione in nero», avendo
indicato, richiamando legittimamente il contenuto del decreto di sequestro del
G.i.p., accanto al dato dell’apparente regolarità contabile e fiscale
dell’operazione – attraverso la fattura non riscontrata nella contabilità della
società facente capo al figlio dell’indagato -, gli ulteriori dati sintomatici desunti
dal contenuto delle intercettazioni – allusive e caratterizzate da espressioni
convenzionali – , dall’atteggiamento accorto, guardingo e a tratti sospettoso, dei
soggetti che operavano il trasporto e la cessione dell’oro, dalle caratteristiche
delle plurime operazioni individuate dalla p.g., tutte prive di regolare

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proc. pen., anche nell’interpretazione più recente della norma così come

documentazione in grado di attestare il trasferimento del metallo prezioso e ‘ del
corrispettivo versato).
3.2. Per ciò che riguarda, poi, le censure relative alla violazione di legge
concernente l’errata valutazione del materiale raccolto, ritenuto idoneo e
sufficiente per dimostrare la sussistenza del

fumus dell’ipotizzato delitto di

riciclaggio, va osservato che gli argomenti difensivi non colgono nel segno nel
criticare la motivazione del provvedimento impugnato. Premesso, come ricorda
lo stesso ricorrente, che «nella valutazione del “fumus commissi delicti”, quale

riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in
modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva
situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur
sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria, e
plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato, pur senza sindacare la
fondatezza dell’accusa» (Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, Armento, Rv.
261677), l’esame del complesso dei dati obiettivi emersi attraverso le indagini
ha condotto legittimamente il Tribunale ad ipotizzare, salvi gli approfondimenti
delle successive fasi di indagine, il delitto di riciclaggio del metallo prezioso
sottoposto a sequestro. In questo senso rileva, in primo luogo, l’accertata
abrasione dei dati identificativi delle lamine di oro compravendute, condotta che
denota la necessità di ostacolare l’individuazione della provenienza del metallo
prezioso, in ragione della specifica funzione attribuita dalla legge al marchio di
identificazione, disciplinato dagli artt. 7 e ss. del d. Igs. 22 maggio 1999, n. 251
(Disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli preziosi, in
attuazione dell’articolo 42 della legge 24 aprile 1998, n. 128), che rappresenta
lo strumento individuato dal legislatore per controllare la fonte e ogni successivo
passaggio del metallo prezioso che, per le sue caratteristiche intrinseche, può
costituire oggetto di alterazioni e falsificazioni volte a lucrare indebitamente sui
trasferimenti dei metalli preziosi. A tale dato, di indubbio significato logico, si
affiancano l’assenza di reale documentazione fiscale e contabile in ordine alle
operazioni di cessione individuate dalla p.g., i tentativi successivi di predisporre
parziali documenti che potessero legittimare l’operazione che aveva condotto
alla perdita di un ingente quantitativo di oro e di denaro, l’esistenza di dialoghi e
contatti messi in atto per predisporre le condizioni per l’esecuzione delle
operazioni di cessione dell’oro. Né può trascurarsi l’ulteriore dato logico che si
trae dalla verifica dell’esistenza di specifiche intese tra le parti contrattuali che
avevano fissato le condizioni e le modalità dell’operazione; per le qualità
soggettive degli indagati (essendo entrambi operatori del settore), quelle
particolari caratteristiche degli accordi erano palesemente indicative della

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presupposto del sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere

consapevolezza del Peruzzi circa l’illiceità dell’operazione eseguita (risultando
dagli atti, altresì, la conclusione di tutte le operazioni di cessione a prezzi
inferiori a quelli di mercato, ulteriore indice della provenienza delittuosa della
merce). A questo riguardo la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito il
principio secondo il quale «ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio non
si richiedono l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto
presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi
di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente

una fattispecie di illecite operazioni di cambio di valuta fuori corso in euro; nello
stesso senso Sez. 6, n. 495 del 15/10/2008, dep. 2009, Argiri Carrubba, Rv.
242374). Né può valere a screditare la fondatezza della motivazione del
provvedimento impugnato la tesi alternativa prospettata dal ricorrente (il Peruzzí
avrebbe in buona fede operato unicamente un acquisto in nero dell’oro ceduto
dal Franco, senza avere la materiale possibilità di alterare i dati identificativi
dell’oro acquistato), sia in quanto trattandosi di valutazione in fatto delle
risultanze degli atti di indagine e delle allegazioni della parte, non può formare
oggetto del sindacato di legittimità, sia perché le critiche formulate in ordine
all’ascrivibilità al Peruzzi delle condotte tipiche, ove in astratto fondate, non
farebbero comunque venir meno la configurabilità dell’ipotizzato delitto di
riciclaggio, eventualmente commesso da altri indagati (come l’alienante),
legittimando così il perdurare del vincolo cautelare.
3.3. Infine, quanto alle censure relative all’esistenza di dati contrastanti con
l’affermazione dell’abrasione dei dati identificativi su tutte le lamine in oro
sequestrate e all’omessa pronuncia sulla restituzione delle lamine su cui
certamente i dati non risultavano alterati, la motivazione del Tribunale, che ha
considerato la necessità di riservare al prosieguo delle indagini e alla fase del
giudizio l’esperimento di accertamenti peritali, ferma restando l’accertata
abrasione della quasi totalità dei segni identificativi delle lamine da parte
dall’autorità competente, risulta sussistente e non censurabile in questa sede.
4. All’ inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati
i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si
ritiene equa, di euro duemila ma favore della cassa delle ammende.

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configurabile» (Sez. 6, n. 28715 del 15/02/2013, Alvaro, Rv. 257206, relativa ad

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso l’ 8/11/2017

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