Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53203 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 53203 Anno 2017
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: SCOTTI UMBERTO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SIMUT FLORIN DAN nato il 30/04/1986

avverso l’ordinanza del 30/05/2017 del TRIBUNALE LIBERTA’ di MILANO
sentita la relazione svolta dal Consigliere UMBERTO LUIGI SCOTTI;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale PASQUALE FIMIANI,
che ha concluso per l’inammissibilità,
udito il difensore, avv. PAOLA MOSCATELLI del Foro di Vigevano, che si è si
riportato ai motivi e ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 30/5-17/7/2017 il Tribunale di Milano, in parziale
accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso il
provvedimento del 13/3/2017 con il quale il Giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Milano aveva respinto la richiesta di applicazione della
custodia cautelare in carcere nei confronti di Florin Dan Simut, ha applicato nei
confronti del predetto indagato la misura cautelare degli arresti domiciliari, con
divieto di comunicazione con soggetti diversi dai conviventi, in relazione al delitto
di tentato furto aggravato in concorso

ex artt.110, 56, 624, 625, nn.2 e 5.

Data Udienza: 07/11/2017

cod.pen., per aver tentato di impossessarsi di cose e valori siti all’interno del
ristorante Burger Wave di via della Moscova 29, in Milano, cercando di forzarne
la porta di ingresso.

2. Ha proposto ricorso personale in data 7/9/2017 l’indagato Florin Dan
Simut, attualmente detenuto per altra causa, deducendo due motivi.
ex

art.606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. il

ricorrente censura la motivazione per manifesta illogicità circa la sussistenza dei
gravi indizi di colpevolezza.
Il ricorrente a tal fine evidenzia: che il terzo soggetto, oltre a Mario Tauriello
e Alessandro Stella, scorto dalla Polizia giudiziaria, appostata in via Ugo Bassi,
consuetudinario luogo di ritrovo degli indagati, nell’atto di «schiavinare» la porta
di ingresso di via della Moscova 29 e quindi uscirne rapidamente di corsa, dieci
minuti dopo, alle 3.35, era stato erroneamente identificato nella sua persona,
pur non essendo stato riconosciuto dagli agenti; che la sua individuazione si
basava esclusivamente sul fatto che in seguito, nella stessa notte del
30/10/2015, egli era stato trovato alle 3.40 nella panetteria di via Ugo Bassi 30
insieme ad Alessandro Stella; che la deduzione che egli si trovasse dieci minuti
prima insieme allo Stella e al Tauriello, unici soggetti identificati nell’atto
criminoso, era del tutto forzata e sprovvista di solida base, tanto più che non
esistevano a suo carico fotografie, intercettazioni e neppure un pedinamento
costante, tale da saldare la sua persona con il soggetto non identificato che si
trovava prima con i due co-indagati, che ben poteva essere una quarta persona,
come confermava anche la circostanza dell’allontanamento del Tauriello dopo
che questi aveva accompagnato lo Stella in via Bassi; che la torcia che gli era
stata trovata in sede di perquisizione gli serviva per illuminare il lucchetto della
sua bicicletta; che non si comprendeva il motivo della forzatura della finestra del
ristorante se i ladri avevano forzato la porta di ingresso.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge

ex

art.606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen. per mancanza delle esigenze cautelari
ex art.274 cod.proc.pen.
Secondo il ricorrente mancava un concreto e attuale pericolo

per

l’acquisizione e genuinità della prova, considerato che il termine per le indagini
preliminari era scaduto senza proroga e che il ricorrente non si era mai
allontanato dalla propria abitazione ove vive con sorella e madre; neppure vi era
rischio di reiterazione per la sua estraneità al reato e i fatti erano risalenti nel
tempo, senza che vi fossero stati contatti fra il ricorrente e i co-indagati; inoltre

2.1. Con il primo motivo,

nel periodo di detenzione domiciliare il ricorrente aveva lavorato alle dipendenze
della New Service s.r.l. come da documentazione prodotta.

3. In seguito alla presentazione del ricorso il ricorrente ha nominato
difensore di fiducia l’avv.Paola Moscatelli del Foro di Vigevano.
All’udienza del 7/11/2017 la Corte ha segnalato alle parti l’aspetto
ex

art.311 cod.proc.pen. dopo l’entrata in vigore delle disposizioni della legge
23/6/2017 n. 103.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il Collegio ritiene che il ricorso presentato da Florin Dan Simut sia affetto
da due distinti profili di inammissibilità, l’uno scaturente dalla sua presentazione
personale, senza la sottoscrizione di un difensore iscritto nell’albo speciale della
Corte di Cassazione, l’altro più propriamente attinente ai due motivi di ricorso,
inammissibili o manifestamente infondati.
La prima questione involge la corretta interpretazione dell’art.311
cod.proc.pen. dopo le modifiche apportate al testo degli artt.571 e 613 del
codice di rito dai commi 54 e 63 dell’art.1 della legge 103 del 2017 (pubblicata in
Gazz. Uff., 4/7/2017, n. 154), recante «Modifiche al codice penale, al codice di
procedura penale e all’ordinamento penitenziario», entrata in vigore ai sensi del
comma 95 dell’art.1, salvo quanto previsto dal comma 81, il trentesimo giorno
successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, e quindi il
3/8/2017.
Ci si chiede infatti se l’eliminazione della possibilità del ricorso personale in
sede di legittimità ad opera della riforma del 2017 valga anche per i ricorsi in
tema di misure cautelari personali e reali previsti rispettivamente dagli artt.311 e
325 del codice di rito.
Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte registra, se non già un effettivo
contrasto, una differenza di opinioni.
La Sesta Sezione, pronunciandosi in tema di consegna ad una autorità
straniera in forza di mandato di arresto europeo, ha riconosciuto «valenza
universale» al principio della rappresentanza tecnica in cassazione
(Sez. 6, n. 42062 del 13/09/2017, Lissandrello),

ravvisando difetto di

legittimazione personale dell’imputato per effetto del nuovo testo dell’art. 613
cod. proc.pen., con la conseguente abrogazione dell’art. 22 della legge n. 69 del

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problematico dell’ammissibilità della presentazione di ricorso personale

2005, che attribuiva all’interessato la facoltà di presentare ricorso avverso le
decisioni in materia di consegna.
Questa Quinta Sezione, con ordinanza n.51068 del 2-8/11/2017, Aiello,
ravvisando la speciale importanza della questione, ai sensi dell’art. 610, comma
2, cod. proc. pen., ne ha rimesso l’esame delle Sezioni Unite, sia pur mostrando
di ritenere più corretta l’opposta opzione ermeneutica, favorevole alla

personali.
Il Collegio non ritiene di dover attendere la decisione delle Sezioni Unite
sulla questione di speciale importanza che è stata così loro devoluta, in
presenza di altra ragione di inammissibilità del ricorso ed esporrà quindi per
solo per completezza di motivazione le ragioni che inducono a condividere
l’opinione espressa dalla 6° sezione nella citata sentenza «Lissandrello» nel
senso della esclusione della legittimazione personale dell’imputato o
dell’indagato alla presentazione di ricorso in sede di legittimità, anche nei casi
sopra indicati, in seguito alla modifica del quadro normativo per effetto della
legge 103 del 2017.

2. Il primo motivo è dedicato alla contestazione della sussistenza del
requisito di cui all’art.273, comma 1, cod.proc.pen., che richiede gravi indizi di
colpevolezza a carico del soggetto sottoposto a misura cautelare.
2.1. Il grado di serietà e concludenza della prova del fatto, richiesto quale
presupposto della misura cautelare è diverso e minore di quello necessario per la
condanna, che richiede il superamento della soglia del ragionevole dubbio
(art.533, comma 1, cod.proc.pen.) e in tema di prova indiziaria esige che gli
indizi a carico siano non solo gravi, ma anche precisi e concordanti (art.192,
comma 2, cod.proc.pen.).
Non a caso l’art.273, comma 1-bis, del codice di rito per la valutazione dei
gravi indizi di colpevolezza sancisce l’applicabilità, oltre che degli artt.195,
comma 7, 203 e 271, dei soli commi 3 e 4 dell’art.192, escludendo
appositamente quella del comma 2 dello stesso articolo.
Ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale, è

pertanto

sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di
qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati
addebitatigli, perché i necessari «gravi indizi di colpevolezza» non corrispondono
agli «indizi» intesi quali elementi di prova idonei a fondare un motivato giudizio
finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi

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persistente ammissibilità del ricorso personale in materia di misure cautelari

criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – non
richiamato dall’art. 273, comma

1-bis, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 22968 del

08/03/2017, Carrubba, Rv. 270172; Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, Pugiotto,
Rv. 269179; Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, 3ovanovic, Rv. 268683; Sez. 4, n.
22345 del 15/05/2014, Francavilla, Rv. 261963).

emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, questa Corte, nella sua espressione più autorevole, ha ritenuto
che la legge le attribuisca il compito di verificare, in relazione alla peculiare
natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di
merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad
affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la
congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie; di conseguenza la motivazione della
decisione del Tribunale del riesame, per la sua natura di pronuncia cautelare,
non fondata su prove, ma su indizi, deve essere parametrata all’accertamento
non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza.
(Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
La successiva giurisprudenza della Corte, condivisa dal Collegio, è ferma nel
ritenere che l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc.
pen. sia rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di
specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione,
risultante dal testo del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità non
concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito
circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori; non
sono di conseguenza consentite quelle censure che, pur investendo formalmente
la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di
circostanze già esaminate dal giudice di merito (ex multis: Sez. 2, n. 31553 del
17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi,
Rv. 269884; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014 , Contarini, Rv. 261400; Sez. 4, n.
26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460; Sez. 6, n. 11194 del
08/03/2012, Lupo, Rv. 252178;Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv.
241997; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012).
2.3. Le doglianze articolate dal ricorrente circa la ricostruzione del fatto e
in particolare circa la sua individuazione quale coautore del tentato furto per cui

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2.2. Specificamente in tema di vizio di motivazione del provvedimento

è processo accolte nel provvedimento impugnato sono del tutto generiche e
mirano a sollecitare dalla Corte di Cassazione una non consentita rivalutazione
alternativa del fatto motivatamente ricostruito dal giudice del merito, e non
dimostrano, come impone l’art.606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., vizi logici
intrinseci della motivazione (mancanza, contraddittorietà, illogicità manifesta) o
la sua contraddittorietà estrinseca con «altri atti del processo specificamente

2.4. Gli elementi indiziari valorizzati dal Tribunale milanese soddisfano il
requisito della gravità richiesto dall’art.273, inteso

ut supra come sussistenza di

una qualificata probabilità di colpevolezza sulla base di un giudizio prognostico
allo stato degli atti e non devono invece necessariamente escludere
permanenza di un ragionevole dubbio in proposito,

la

soglia più rigorosa di

valutazione che assume rilievo all’esito del giudizio di piena cognizione sulla
responsabilità penale, dopo l’assunzione nella pienezza del contraddittorio di
tutte le prove richieste dalle parti.
Il Tribunale ha infatti dato rilievo ai seguenti elementi: a) appostamento della
Polizia giudiziaria nei pressi di via Ugo Bassi 30, indicato come luogo di ritrovo
abitudinario degli indagati (e quindi anche dei soggetti ben identificati Alessandro
Stella e Mario Tauriello); b) uscita della vettura Fiat Punto del Tauriello, cui era
stato applicato dispositivo di segnalazione GPS, con a bordo Tauriello, Stella e
altro soggetto, che iniziava in ora notturna a perlustrare le strade dei dintorni
alla ricerca di possibili obiettivi di furto (Tauriello rimaneva a bordo e di volta in
volta gli altri due scendevano, avvicinandosi a piedi a svariati bar e ristoranti
della zona); c) alle ore 3.25 Stella e il terzo soggetto venivano visti introdursi
nello stabile di via della Moscova 29, ove si trova il ristorante Burger Wave, dopo
averne forzato la porta ed uscirne dopo 10 minuti, alle ore 3.35, per risalire in
macchina con il Tauriello; d) alle ore 3.40, solo 5 minuti dopo, lo Stella e il Simut
venivano trovati insieme nella panetteria di via Ugo Bassi 30, mentre il
Tauriello veniva fermato poco dopo in una via vicinissima, via Farini; e) lo Stella
aveva indosso strumenti atti allo scasso, il Sinnut una torcia elettrica; f) esistenza
di precedenti penali, anche per furto, a carico del Simut.
La deduzione indiziaria che identifica il Simut con il terzo soggetto che era
stato visto effettuare il tentativo di furto insieme agli altri due soggetti
conosciuti, Tauriello e Stella, è quindi assistita dal necessario grado di
probabilità, visto che, a tacer d’altro, il Simut si trovava nel cuore della notte nel
luogo da cui era partita la spedizione criminosa, in possesso di una torcia
elettrica, in compagnia di uno dei sicuri autori (ancora in possesso degli

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indicati nei motivi di gravame».

strumenti da scasso), pochissimi minuti dopo il tentativo di furto, mentre l’altro
coautore si aggirava negli immediati pressi, senza che l’indagato abbia offerto
una plausibile spiegazione di tale sua presenza in loco.

3. Il secondo motivo è dedicato al tema delle esigenze cautelari ex art.274
cod.proc.pen.

l’acquisizione e genuinità della prova, considerato che il termine per le indagini
preliminari era scaduto senza proroga e che il ricorrente non si era mai
allontanato dalla propria abitazione ove vive con sorella e madre.
Tuttavia l’esigenza cautelare apprezzata dal Tribunale non è quella di cui alla
lettera a) dell’art.274 (rischio di inquinamento probatorio), ma quella di cui alla
lett.c), ossia il rischio di commissione di reati della stessa specie.
La censura non è quindi pertinente alla ratio decidendi.
3.2. Quanto all’esigenza special-preventiva, il ricorrente aggiunge che non vi
sarebbe rischio di reiterazione per la sua estraneità al reato: al proposito si è
detto che sussiste il necessario coefficiente di serietà indiziaria, ritenuto,
tutt’altro che irragionevolmente, dal Tribunale.
Il ricorrente sottolinea poi la risalenza nel tempo dei fatti (30/10/2015),
senza che vi fossero stati contatti fra il ricorrente e i co-indagati; tuttavia il
Tribunale si è dato carico di tale intervallo temporale, rimarcando però la
persistenza di radicati contatti negli ambienti delinquenziali che avevano
condotto a una ulteriore condanna per spaccio nell’agosto del 2016 e a un
provvedimento di cumulo del novembre del 2016.
In particolare, il Tribunale ha dato rilievo alla mancanza di un’occupazione
lavorativa all’epoca dei fatti e alla mancata segnalazione da parte della difesa di
alcuna modifica delle condizioni di vita del Simut, sicché appariva probabile il
rischio di attività criminose rivolte ad assicurare mezzi di sussistenza.
Ribatte il ricorrente, sostenendo di aver lavorato alle dipendenze della New
Service s.r.l. (come da documentazione prodotta però solo in questa sede) nel
periodo di detenzione domiciliare, peraltro susseguente al provvedimento di
cumulo disposto nel novembre 2016 in esito ad una ulteriore condanna per
spaccio di stupefacenti nell’agosto del 2016, ulteriormente confermativa della
propensione criminale del Simut nella ricerca delle proprie fonti di sussistenza.
Il ricorrente così sottopone, inammissibilmente, a questa Corte un
elemento di fatto non prodotto in sede di procedimento di appello cautelare;
infatti, in tema di misure cautelari, è preclusa la possibilità di prospettare in sede

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3.1. Il ricorrente sostiene che mancava un concreto e attuale pericolo per

di legittimità motivi di censura non sollevati innanzi al tribunale del riesame ove
essi non siano rilevabili d’ufficio (Sez. 4, n. 44146 del 03/10/2014, Parisi, Rv.
260952).

4. Il Collegio ritiene comunque inammissibile per difetto di legittimazione il
ricorso personale proposto da Dan Florin Simut dopo l’entrata in vigore della

4.1. Al proposito è doveroso precisare che

in questo caso, ai fini

dell’applicazione del principio tempus regit actum, occorre aver riguardo al
momento della presentazione del ricorso e non a quello della pronuncia del
provvedimento impugnato (l’ordinanza del 30/5-17/7/2017) anteriore al
3/8/2017, data di entrata in vigore della legge n. 103 del 2017.
Non viene in considerazione nella fattispecie, infatti, il principio sancito da
Sez. U. 27614 del 29/3/2007, Lista, Rv 236537, in base al quale, in mancanza di
norma transitoria, per individuare il regime applicabile, nel caso di successione di
leggi nel tempo, alla stregua della regola

tempus regit actum, si deve tenere

conto della variegata tipologia degli atti processuali e modulare la declinazione
della regola in relazione alla differente situazione sulla quale questi incidono e
che occorre di volta in volta governare; secondo la sentenza “Lista” in tema di
diritto intertemporale incidente sul potere di impugnare un provvedimento si
deve tener presente il momento dell’emanazione dell’atto impugnato e non
quello della presentazione dell’impugnazione.
Con riferimento alla riforma degli artt.571 e 613 cod. proc. pen., non viene
infatti in rilievo la problematica relativa alla individuazione dell’actus a cui si
riferisce il tempus, ma solo la corretta individuazione del soggetto legittimato a
sottoscrivere l’atto di impugnazione per conto dell’imputato o dell’indagato.
Come meglio si dirà più oltre, la modifica normativa non incide sul diritto di
impugnare ma solo sulla disciplina delle modalità del suo esercizio, sicché
l’actus da considerare temporalmente ai fini dell’applicazione dell’art.11 delle
disposizioni preliminari al codice civile è l’atto di impugnazione in sé e per sé,
ossia il ricorso; del resto, nella stessa prospettiva ha ragionato esplicitamente la
citata ordinanza “Aiello” del 2/11/2017.

4.2. L’art. 1, comma 54, della legge n. 103 del 2017, ha inserito nel
corpo dell’art. 571, comma 1, cod. proc. pen., che nell’ambito delle
«Disposizioni generali» di cui al Titolo I del Libro IX del codice di rito, dedicato
alle «Impugnazioni», disciplina l’impugnazione dell’imputato, la clausola di

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legge 103 del 2017.

esclusione «Salvo quanto previsto per il ricorso per cassazione dall’articolo
613, comma 1,» anteponendola alla preesistente previsione secondo
quale

«l’imputato

può

la

proporre impugnazione personalmente o per

mezzo di procuratore speciale…».
Il comma 63

dello stesso articolo ha,

inoltre, soppresso nell’esordio

dell’art. 613, comma 1, cod. proc. pen., le parole: «Salvo che la parte non

ricorso da parte di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di
Cassazione.
In tal modo il legislatore della

riforma ha inteso

inequivocabilmente

escludere la possibilità per l’imputato di presentare ricorso per cassazione
personalmente, prescrivendo a pena di inammissibilità la sottoscrizione
dell’atto di ricorso, come pure delle memorie e dei motivi nuovi, da parte di
un difensore iscritto nell’albo speciale, in espressa deroga alla regola, tuttora
vigente, che per le impugnazioni diverse dal ricorso per cassazione, continua
ad ammettere la legittimazione personale dell’imputato alla
presentazione dell’impugnazione.
4.3. Il dubbio interpretativo scaturisce dal fatto che la riforma del 2017 non
ha inciso sulle disposizioni contenute nell’art.311 cod.proc.pen., relative al
ricorso per cassazione in tema di misure cautelari personali e neppure, per
quanto può rilevare sotto il profilo sistematico, su quelle contenute nell’art.325
cod.proc.pen., relative al ricorso per cassazione in tema di misure cautelari reali,
entrambe inserite nel Libro IV del codice, dedicato alle «Misure cautelari».
L’art.311, comma 1, continua infatti ad attribuire la facoltà di ricorso per
cassazione contro le decisioni emesse a norma degli articoli 309 e 310, anche
all’imputato e al suo difensore, legittimati anche alla proposizione del ricorso
immediato per violazione di legge contro le ordinanze che dispongono una
misura coercitiva, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo.
Parimenti, l’art.325 cod.proc.pen., non inciso in parte qua dalla riforma,
ammette anch’esso l’imputato e il suo difensore al ricorso per cassazione per
violazione di legge contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322-bis e
324 cod.proc.pen. .
4.4. Questa Sezione, nell’ordinanza «Aiello», ha prospettato come

più

corretta l’opzione ermeneutica che ritiene, pur nel vigore della nuova disciplina,
tuttora ammissibile il ricorso personale dell’imputato (o indagato a seconda della
fase processuale) avverso provvedimenti in materia di misure cautelari personali
sulla base del dato testuale, coerente con la regola generale della facoltà per

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vi provveda personalmente,» così imponendo in ogni caso la sottoscrizione del

l’imputato di impugnare personalmente i provvedimenti, scaturente dall’art. 571,
comma 1, cod. proc. pen., derogata specificamente dall’articolo 613, comma 1,
cod. proc. pen., ma solo in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze o
provvedimenti con efficacia definitoria di procedimenti principali e/autonomi e
invece non derogata, in sedes materiae, nel corpo dell’art.311 cod.proc.pen.
In secondo luogo, secondo questa tesi, non si spiegherebbe da parte del

restaurativo massiccio del tessuto normativo del processo penale, che,
oltretutto, ha interessato anche il ricorso per cassazione in materia cautelare, sia
pure reale, ad opera del comma 60 dell’articolo 1 della legge 103 del 2017,
premurandosi di ritoccare l’art. 325 cod. proc. pen. per coordinarlo con l’art. 311
del medesimo codice.
In terzo luogo, è stato osservato che la sopravvivenza della possibilità di
ricorso personale in materia cautelare rinverrebbe una sua logica

ratio nelle

peculiarità del relativo procedimento, che involge il diritto fondamentale della
libertà personale ed è destinato a svolgersi in tempi molto rapidi.
4.5. Il Collegio ritiene tuttavia preferibile l’opposta opinione adottata dalla
sentenza «Lissandrello» della Sezione 6, che, pur occupandosi di una questione
molto particolare in tema di consegna ad una autorità straniera in forza di
mandato di arresto europeo, ha affermato la valenza generale del
principio della rappresentanza tecnica nel giudizio di legittimità, pertanto
operante anche con riferimento a tutte le ulteriori ipotesi, codicistiche ed extracodicistiche, di ricorso per cassazione proponibile dall’imputato o da altri
soggetti processuali come i ricorsi in materia di estradizione (art. 719 cod.
proc. pen.), di misure cautelari personali e reali (art. 311 cod. proc. pen.), di
misure di prevenzione, di esecuzione penale e di sorveglianza.
4.6. Dalla Relazione illustrativa al disegno di legge e dagli atti del
dibattito parlamentare emerge con chiarezza che l’intervento riformatore era
diretto ad evitare la proposizione di ricorsi in cassazione destinati con grande
frequenza alla declaratoria di inammissibilità per mancanza dei requisiti di
forma e di contenuto, dovuta alla obiettiva incapacità del ricorrente personale
di individuare e censurare i vizi di legittimità del provvedimento impugnato in
una cornice processuale connotata da spiccato tecnicismo.
Dai lavori preparatori si coglie anche la concorrente intenzione di evitare
la strumentalizzazione del ricorso

personale in cassazione per eludere il

requisito dell’abilitazione al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori
parte di difensori non in possesso della predetta qualità professionale.

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da

legislatore la mancata modifica dell’art.311, nel contesto di un intervento

A causa dell’elevatissimo e crescente numero dei ricorsi
anno,

il legislatore della

incardinati ogni

riforma ha, pertanto, cercato di garantire

maggiore efficienza al controllo di legittimità e alla

funzione nomofilattica

della Corte di Cassazione, riducendo il numero delle sopravvenienze
destinate a probabile declaratoria di inammissibilità perché prive dei prescritti
requisiti.

considerato norma meramente ricognitiva della

pen. era

facoltà di proposizione

personale dell’impugnazione, attribuita dall’art. 571, comma 1, cod. proc. pen.
al solo imputato. Tale disposizione, configurandosi come deroga alla regola
generale della rappresentanza tecnica, non poteva valere nei confronti di
soggetti processuali che, diversi dall’imputato, non risultvaano in essa
contemplati. (Sez. U, n. 19 del 21/06/2000, Adragna, Rv. 216336; Sez. U, n.
34535 del 27/6/2001, Petrantoni, Rv. 219613).
Nel quadro della nuova disciplina si impone la rilettura del novellato art.
613 cod. proc. pen.,

anche e soprattutto in connessione con

l’inciso

preliminare inserito nell’art. 571, comma 1, cod. proc. pen., recante la
clausola di esclusione, sicché nel combinato disposto delle due norme (art.571 e
art.613) ben può leggersi la regola dell’esclusione, espressa e generalizzata,
della sottoscrizione personale del ricorso per cassazione per l’imputato ed
i soggetti al medesimo legislativamente equiparati.
Pertanto, come condivisibilmente sostenuto nella sentenza «Lissandrello»
n.42062 del 13/9/2017, gli imputati, pur sempre soggetti titolari del diritto
di impugnazione, non sono più legittimati a sottoscrivere personalmente
il ricorso per cassazione, ma, a pena di inammissibilità, devono
esercitare il loro ius postulandi esclusivamente per il tramite di un difensore
iscritto nell’albo speciale, munito di specifico mandato, sul modello di quanto
già previsto nel processo civile di legittimità, nell’ottica di un razionale ed
equilibrato esercizio della funzione di nomofilachia riservata alla Corte di
Cassazione dalla Costituzione dall’art. 65 ord. giud., da esercitarsi anche
attraverso la selezionata attitudine tecnica dei soggetti legittimati alla
presentazione dell’impugnazione.
La stessa divaricazione fra la titolarità del diritto di impugnazione e la
legittimazione al suo esercizio pare, del resto, aver ispirato le Sezioni Unite nella
sentenza «Taysir», orientandole a ritenere ammissibile il ricorso in cassazione
proposto da avvocato iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione,

11

4.7. Nella formulazione previgente, l’art. 613 cod. proc.

nominato quale sostituto dal difensore dell’imputato, di fiducia o di ufficio, non
cassazionista. (Sez. U, n. 40517 del 28/04/2016, Taysir, Rv. 267627).
In motivazione le Sezioni Unite hanno affermato che il difensore
dell’imputato è titolare, in proprio, di un autonomo diritto di impugnazione ed è
privo della legittimazione a proporre ricorso per cassazione se non iscritto
nell’albo speciale; quindi il mancato titolo abilitativo rende il difensore privo di

difensore (pur privo della legittimazione a ricorrere in cassazione per il mancato
titolo abilitativo) di un autonomo diritto di impugnazione rende ammissibile il
ricorso per cassazione proposto da avvocato iscritto nell’albo speciale, nominato
quale sostituto dal difensore di ufficio dell’imputato non cassazionista, in
applicazione delle regole stabilite dall’art. 102 cod.proc.pen. che prevedono
che il difensore di fiducia e il difensore di ufficio possano nominare un sostituto
(comma 1) e che il sostituto eserciti i diritti e assuma i doveri del difensore
(comma 2).
4.8. In questo contesto normativo non appare più possibile leggere le
disposizioni contenute nell’art.311 (e pure nell’art.325) cod.proc.pen. come
attributive di una legittimazione personale alla presentazione del ricorso per
cassazione all’imputato o indagato, senza il ministero di difensore abilitato al
patrocinio avanti la Corte di Cassazione, come residuo baluardo operativo della
preesistente regola generale ormai caducata.
4.8.1. In primo luogo, occorre ragionare nell’ambito di una cornice
normativa disegnata dai riscritti articoli 571 e 613, che contrappone al principio
generale della legittimazione personale all’impugnazione dell’imputato la regola
generale, sia pur settoriale, della necessità della difesa tecnica in sede di
legittimità.
4.8.2. In secondo luogo, le disposizioni di cui al primo e al secondo comma
dell’art.311 e al primo comma dell’art.325 hanno la specifica funzione di sancire
l’ammissibilità del ricorso per cassazione contro i provvedimenti rispettivamente
indicati (per quanto concerne la violazione di legge nei provvedimenti in tema di
libertà personale in attuazione del precetto costituzionale di cui all’art.111,
comma 7, Cost.).
Il ricorso, peraltro, fatte salve le specifiche regole dettate in seno ai due
articoli citati, soggiace alla disciplina generale in tema di impugnazioni
contenuta nel libro IX del codice di rito, tanto in tema di disposizioni generali di
cui al Titolo I, quanto in tema di ricorso per cassazione di cui al Titolo III.

12

legittimazione a proporre ricorso in cassazione; tuttavia la sussistenza in capo al

Ciò è reso evidente dal fatto che l’art.311 non indica i motivi di ricorso
(salvo che per restringere nel comma 2 l’ammissibilità del ricorso

per saltum

alla sola ipotesi della violazione di legge), evidentemente sul presupposto della
loro necessaria riconducibilità alle cinque figure paradigmatiche dell’art.606,
comma 1, cod.proc.pen.; altrimenti, diversamente opinando, si dovrebbe
riconoscere una sorta di impugnazione «aperta» e non «a critica vincolata»,

Allo stesso modo, negando il collegamento fra l’art.311 e le disposizioni
procedimentali sull’impugnazione per cassazione (e in particolare con l’art.613
cod.proc.pen.), si dovrebbe concludere che non varrebbe per il giudizio di
legittimità in tema di misure cautelari la restrizione del patrocinio ai soli difensori
iscritti nell’albo speciale, contenuta, solo, nel primo comma dell’art.613
cod.proc.pen., in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte
(Sez. 6, n. 20538 del 10/05/2011, Priller, Rv. 250069; Sez. 1, n. 41333 del
11/07/2003, Mohamad Taher, Rv. 225750, sia pur

a contrario; Sez. 2, n. 4822

del 05/07/1991 – dep. 1992, Sommer, Rv. 190788; Sez. 5, n. 4869 del
17/10/1990, Magliano, Rv. 185866).
4.8.3. Il legislatore della riforma

si è quindi astenuto dall’intervenire sul

testo degli artt.311 e 325 non già per preservare un’isola di legittimazione
personale dell’imputato e dell’indagato alla presentazione del ricorso in sede di
legittimità, ma semplicemente perché non lo riteneva necessario in relazione alla
disciplina generale del giudizio di legittimità le cui regole sono destinate ad
operare anche con riferimento alle impugnazioni cautelari, salvo specifica
deroga.
Il riconoscimento del diritto di impugnazione dei provvedimenti cautelari
all’imputato o all’indagato non lo esime quindi dal rispetto delle regole dettate
per l’esercizio di tale

ius postulandi

in sede di legittimità dall’art.513, comma

1, cod.proc.pen.
4.8.4. Del resto, il legislatore della riforma non ha modificato neppure il
comma 1, lettera

b)

dell’art.428, in tema di legittimazione soggettiva

dell’imputato all’appello della sentenza di non luogo a procedere, ed anzi ha
aggiunto all’art. 428 un nuovo comma, il n.3

bis,

in cui prende in

considerazione il diritto al ricorso dell’imputato, senza un espresso richiamo,
anche in questo caso ritenuto inutile, all’art.571, comma 1 e all’art.613, comma
1.

13

sotto forma di vero e proprio gravame, nel ricorso ex art.311 cod.proc.pen.

Certo non varrebbero, in quest’ultima ipotesi, le ragioni di particolare
rapidità ipotizzabili a giustificazione di una diversa disciplina in tema di
impugnazioni cautelari rispetto a quella generale.
4.8.5. Al proposito, se è pur vero che i procedimenti in materia cautelare
attinenti il diritto fondamentale alla libertà personale sono destinati a svolgersi
in tempi molto rapidi e in particolare che i ricorsi debbono essere presentati nel

comunque compatibile con l’esercizio del diritto di difesa e che valgono anche, e
forse a maggior ragione, in materia di libertà personale le esigenze di elevata
capacità tecnico- giuridica nella redazione dei ricorsi che hanno ispirato la
revisione degli artt.571 e 613 cod.proc.pen.
4.9. Non paiono leciti dubbi sulla costituzionalità della nuova disciplina alla
luce dell’art. 111 Cost., che, quale

concorrente garanzia del «giusto

processo regolato dalla legge» enuncia il principio della ricorribilità in
cassazione per violazione di legge contro tutte le sentenze ed i provvedimenti
sulla libertà personale, quale presidio costituzionale del controllo sulla legalità
del giudizio. (Corte cost., sent. n.395 del 13 luglio 2000).
Ciò non esclude peraltro la discrezionalità del legislatore ordinario nel
conformare il concreto esercizio della garanzia, anche al fine di garantire un
migliore funzionamento della Corte di Cassazione nell’esercizio delle funzioni
di nornofilachia attribuitele. La stessa Corte Costituzionale in passato ha
riconosciuto che le peculiarità del giudizio di legittimità fossero più che
sufficienti a giustificare l’esigenza di una maggiore qualificazione culturale del
difensore, attesa la delicatezza dei problemi giuridici da discutersi in quella
sede (Corte Cost., sentenza n.588 del 12/5/1988).
Analogamente

la

giurisprudenza

di

legittimità

ha

dichiarato

manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 613,
comma 1, cod. proc. pen., sollevata con riferimento agli artt. 3, comma
1, e 24, comma 1, Cost., sotto il profilo della mancata previsione che
il ricorso per cassazione possa essere sottoscritto anche da difensore
non iscritto all’albo speciale, quando lo stesso abbia assistito la parte nel
corso di tutto il procedimento svoltosi nei gradi di merito. L’istituzione
dell’albo speciale, infatti, con riserva ai soli iscritti della facoltà di
difendere davanti alle giurisdizioni superiori, trova oggettiva giustificazione
nell’esigenza di assicurare un alto livello di professionalità, adeguato
all’importanza e difficoltà del giudizio di legittimità (Sez. 1, n. 1650 del
14/03/1996, Cappellazzo, rv.204598).

14

ristretto termine di dieci giorni, è altrettanto vero che tale termine appare

La previsione dell’art. 613,

comma

1, cod.

proc.

pen.

non

costituisce, pertanto, una irragionevole espressione della discrezionalità
legislativa, proprio in ragione delle approfondite conoscenze giuridiche e
dell’elevato livello di qualificazione professionale che esige l’esercizio del diritto di
difesa innanzi alla Corte di Cassazione.
L’esclusione del diritto alla autodifesa del

ricorrente, non incide e non

della decisione di merito.
4.10. Non vi è motivo infine di ritenere che l’esclusione generalizzata della
legittimazione personale dell’imputato alla presentazione del ricorso in sede di
legittimità, scaturente dall’interpretazione qui accolta degli artt.571, comma 1, e
613, comma 1, cod.proc.pen. si ponga in contrasto con l’art.117 Cost. in
relazione alle previsioni della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, che all’art. 6, comma 3, lett. c), sancisce il diritto
dell’accusato di «difendersi da sé o avere l’assistenza di un difensore di
propria scelta».
Infatti, la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo non
ritiene indefettibile il diritto alla autodifesa, né, tanto meno, la
presentazione personale del ricorso innanzi alle giurisdizioni superiori, poiché tale
garanzia può essere soddisfatta anche mediante la previsione della sola
difesa tecnica.
Nella sentenza del 27 aprile 2006 (Sannino/Italia) la Corte Europea dei
diritti

dell’uomo ha,

infatti, affermato che,

pur riconoscendo l’art.

6,

paragrafo 3, della Convenzione ad ogni imputato «il diritto di
difendersi personalmente», non ne ha volutamente precisato le condizioni
di esercizio, lasciando agli Stati contraenti la scelta dei mezzi idonei a
consentire al loro sistema giudiziario di garantire siffatto diritto, in modo
che si concili con i requisiti di un equo processo.
La giurisprudenza di legittimità, del resto, ha ritenuto in plurime pronunce
che il principio della rappresentanza tecnica è compatibile con il diritto di
ogni accusato di difendersi da sé, riconosciuto dall’art. 6, comma 2, lett. c)
della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, norma quest’ultima che implica, solo nel giudizio di
merito e non anche nel giudizio di legittimità, l’obbligo di assicurare il diritto
dell’accusato di contribuire con il difensore tecnico alla ricostruzione del fatto
ed alla individuazione delle conseguenze giuridiche.

15

vulnera in alcun modo la sua titolarità del diritto al controllo di legittimità

In particolare, nella sentenza Sez. 2, n. 40715 del 16/07/2013, Stara, Rv.
257072, questa Corte ha ritenuto che anche a seguito dell’entrata in vigore della
I. n. 247 del 2012 (recante «Nuova disciplina dell’ordinamento della professione
forense»), l’autodifesa nel processo penale (anche da parte di soggetto abilitato
all’esercizio della professione forense innanzi alle magistrature superiori) non è
consentita, in difetto di una espressa previsione di legge che la legittimi.

esclude la difesa personale della parte nel processo penale e nei procedimenti
incidentali che ad esso accedono, non si pone in contrasto con l’art. 6, paragrafo
terzo, lett. c) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, che prevede la
possibilità di autodifesa, diritto questo non assoluto, ma limitato dal diritto dello
Stato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai
propri tribunali allo scopo di assicurare una buona amministrazione della
giustizia. ( cfr inoltre Sez. 2, n. 2724 del 19/12/2012, Cappa, Rv. 255083;
Sez.6, n.21360 del 12/5/2011, Stara; Sez. 1, n. 7786 del 29/01/2008, Stara,
Rv. 239237; Sez. 3, n. 19964 del 29/03/2007, Stara, Rv. 236734).

5. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve
essere condannato al pagamento delle spese del procedimento e della somma di
C 2.000,00= in favore della Cassa delle Ammende, così equitativamente
determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte
ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte
cost. 13/6/2000 n.186).
6.

La Cancelleria provvederà

alle

comunicazioni

ex

art.28 Reg.

cod.proc.pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di C 2.000,00= a favore della Cassa delle
ammende.
Manda alla cancelleria per le comunicazioni ex art.28 Reg. cod.proc.pen.
Così deciso il 7/11/2017

In tale pronuncia è stato ribadito il principio che la normativa interna, che

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