Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53194 del 17/07/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 53194 Anno 2017
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CHIPA SAAVEDRA JUDITH nato il 18/06/1987 a APURIMAC( PERU’)

avverso la sentenza del 27/03/2015 del TRIBUNALE di TORINO
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA FIDANZIA;
lette/s7rt1té le conclusioni del PG

Data Udienza: 17/07/2017

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Alfredo Pompeo Viola, ha concluso
per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 27 marzo 2015 il Tribunale di Torino ha condannato Chipa Saavedra
Judith per il delitto di tentato furto aggravato alla pena di giustizia.
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso per cassazione l’imputata

2.1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto di essere venuta a conoscenza della
celebrazione del processo e della sentenza di condanna in data 22 giugno 2016, allorquando
le veniva comunicato quale motivo ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno la sentenza
di condanna sopra indicata, con conseguente tempestività del ricorso ex art. 625 ter c.p.p.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto che solo dal 22 giugno 2016 la stessa
risulta residente in Torino, via Benevento n. 33. Precedentemente, a causa dei continui
trasferimenti di residenza determinata da motivi di lavoro e personali la prevenuta era stata
cancellata dall’anagrafe di Torino per irreperibilità. Ciò avevo reso impossibile ogni
comunicazione da parte del difensore domiciliatario, il quale non aveva avuto la possibilità di
dare all’imputata notizia del procedimento, ed era per questo motivo che lo stesso difensore
aveva dismesso il mandato professionale affidando la difesa ad un difensore d’ufficio.
La ricorrente ha concluso che la propria incolpevole irreperibilità anagrafica dichiarata dal
Comune di Torino aveva reso impossibile ogni comunicazione con il difensore di fiducia
domiciliatario e successivamente con il difensore d’ufficio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Va preliminarmente osservato che, a norma dell’art. 625 ter c.p.p., il condannato, per
poter proporre la richiesta di rescissione del giudicato, deve provare di essere rimasto
incolpevolmente assente dal processo.
Nel caso di specie, non ricorre una tale situazione.
Infatti, dall’esame degli atti emerge che l’imputata era a conoscenza del procedimento.
In particolare, nei suoi confronti era stato redatto in data 30 dicembre 2010 un verbale
con il quale era stata identificata ed era stata invitata ad eleggere domicilio per le notificazioni
nonchè a nominare un difensore di fiducia, facoltà peraltro esercitata in data 19 dicembre
2011 con la nomina a difensore di fiducia dell’avv. Carlo Aiello, presso il cui studio
professionale la ricorrente aveva eletto domicilio.
Orbene, in una fattispecie quale quella in esame è orientamento consolidato di questa
Corte che sussiste colpa evidente, nella mancata conoscenza della celebrazione del processo,
preclusiva del ricorso al rimedio previsto dall’art. 625 ter cod. proc. pen., quando la perpna
2

avanzando richiesta di rescissione del giudicato ex art. 625 ter c.p.p.

sottoposta alle indagini, o imputata, dopo aver nominato un difensore di fiducia in un
procedimento penale, non si attiva autonomamente per mantenere con lo stesso i contatti
periodici essenziali per essere informato dello sviluppo di tale procedimento. (Sez. 6, n. 15932
del 01/04/2015, Rv. 263084; Sez. 3 n. 38513 del 22/06/2016, Rv. 267947).
La ricorrente si è quindi disinteressata per anni delle vicende processuali, delle quali
avrebbe avuto, invece, contezza ove si fosse diligentemente informata con il proprio difensore
dell’evoluzione del procedimento a suo carico, con la conseguenza che la mancata conoscenza

Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende,
che si stima equo stabilire nella misura di 2.000,00 Euro.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2017

della celebrazione del processo non può certo ritenersi incolpevole.

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