Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5319 del 17/09/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5319 Anno 2015
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAVAZZA GUGLIELMO N. IL 04/12/1980
avverso la sentenza n. 1285/2013 CORTE APPELLO di TORINO, del
28/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/09/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 17/09/2014

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dr Gioacchino Izzo, conclude chiedendo il
rigetto del ricorso.
Per la parte civile Monteleone Liliana è presente l’Avvocato Mauro Carena, sostituito dall’avv.
Gianluca Marzo, il quale conclude chiedendo rigettarsi il ricorso. Deposita nota spese.

RITENUTO IN FATTO

emessa in data 28 giugno 2013 dalla Corte d’Appello di Torino che ha confermato la
decisione pronunziata il medesimo giorno dell’anno precedente dal Tribunale di Torino,
Sezione Distaccata di Susa, con la quale l’imputato era stato ritenuto colpevole dei reati
a lui ascritti, unificati dal vincolo della continuazione e, concesse le circostanze
attenuanti generiche, considerate equivalenti alle contestate aggravanti e alla recidiva,
con la diminuente per il ritoyv9i4à condannato alla pena di anni uno e mesi otto di
reclusione ed euro 500 di multa, oltre spese processuali e risarcimento del danno in
favore delle parti civili, liquidato, in via equitativa, in euro 10.000. All’imputato erano
stati contestati due episodi di furto in abitazione. Il primo verificatosi il 3 marzo 2011,
riguardava l’impossessamento di una somma di denaro e di vari oggetti in oro ai danni
di Montabone Liliana e Vindrola Luigi, accedendo alla privata dimora delle vittime
fingendo di essere un Carabiniere che stava effettuando un controllo a seguito di furti
avvenuti in zona. Il secondo, verificatosi il 10 marzo 2011, atteneva
all’impossessamento di somme di denaro e di un libretto della pensione ai danni di Del
Pero Emma, attuato mediante l’introduzione nell’appartamento con l’inganno, fingendo
di essere un addetto dell’acquedotto incaricato di rilevare i consumi ed il pagamento
delle bollette dell’acqua.
2. Avverso la decisione di primo grado ha proposto appello il difensore dell’imputato,
chiedendo l’assoluzione per non avere commesso i fatti e, in subordine, l’esclusione
dell’aggravante prevista dall’articolo 625 n. 5 codice penale, contestato al capo b)

1. Il difensore di Cavazza Guglielmo propone ricorso per cassazione contro la sentenza

censurando le modalità di riconoscimento personale effettuato dalle persone offese,
preceduto da una descrizione dell’autore dei fatti in termini non conformi alle fattezze
del prevenuto ed inficiato dalla precedente pubblicazione della fotografia dell’imputato
sui giornali. Con riferimento all’aggravante ha rilevato che l’esame dei dati del contatore
dei consumi dell’acqua non richiede necessariamente la qualifica di incaricato di
pubblico servizio.
3. La Corte d’Appello ha ritenuto infondate le doglianze del difensore confermando la
sentenza appellata, con condanna dell’imputato al pagamento delle spese sostenute
dalla parte civile, Montabone Liliana.
4. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il difensore di Cavazza
lamentando:

4,2

vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato per i reati
ascrittigli;

vizio di motivazione e violazione di legge riguardo all’erronea ritenuta sussistenza, con
riferimento al capo c), dell’aggravante di cui all’articolo 625 n. 5 codice penale;

vizio di motivazione riguardo all’aumento operato per la continuazione e erronea ed
eccessiva quantificazione della pena inflitta.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso la difesa lamenta illogicità, carenza e, comunque
contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha confermato
l’attendibilità della ricognizione effettuata nelle forme dell’incidente probatorio dalle
persone offese, senza spiegare le ragioni per le quali tale atto non sarebbe stato
inficiato dalla precedente pubblicazione delle fotografie dell’imputato sui giornali. In
secondo luogo le persone offese avevano offerto delle descrizioni contraddittorie del
soggetto che sarebbe stato l’autore del furto, rispettivamente, nell’annotazione di
servizio del 3 marzo 2011 e nella denuncia del 4 marzo 2011 indicando, in particolare,
di non essere in grado di riconoscere l’autore del fatto commesso e mutando
inspiegabilmente atteggiamento in sede di incidente probatorio. La Montabone, in
occasione della annotazione di servizio e della successiva presentazione di denunzia,
avrebbe reso una descrizione degli autori del furto che presentava delle divergenze, non
valutate dalla Corte territoriale. Nello specifico, se la parte offesa avesse avuto
effettivamente presente il connotato autentico del soggetto presente presso la sua
abitazione al momento del fatto, verosimilmente avrebbe rilevato con precisione il dato
relativo alla differente lunghezza dei capelli, mentre ha desunto che la diversità
riscontrata risiedesse nella mutata acconciatura e non nella minore lunghezza dei
capelli. Inoltre, la vicina di casa di Del Pero Emma, Costa Domenica, dopo aver riferito
di aver visto la fotografia dell’imputato pubblicata sul giornale, ha aggiunto che tale
fotografia non ritraeva la persona che aveva osservato in occasione del furto. Sulla base
di tali elementi la difesa ritiene che la Corte territoriale non abbia dato adeguatamente
conto delle numerose anomalie e incongruenze del materiale probatorio acquisito.
2. La doglianza presenta evidenti profili di inammissibilità perché meramente ripetitiva
delle ragioni poste a fondamento dell’atto di appello, senza prendere in esame la
motivazione del giudice di secondo grado e ciò in ossequio al principio secondo cui il
ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse
e ritenute infondate dal giudice del gravame, è inammissibile dovendosi gli stessi
considerare non specifici (in termini, Sez. 4, N. 256/98 – ud. 18/9/1997 – RV. 210157;
nello stesso senso Sez. 4, N. 1561/93 – ud. 15/12/1992 – RV. 193046). Nella concreta
fattispecie la Corte territoriale ha dato adeguatamente conto del proprio convincimento,
poiché il riconoscimento è stato operato anche dai testimoni diversi dalle persone offese

La sentenza impugnata non merita censura.

ed ha adeguatamente motivato in ordine alle piccole incongruenze, con argomentazioni
che non risultano in alcun modo scalfite dalle doglianze del ricorrente (Cassazione
penale, sez. IV, 08/11/2007, n. 47170, rv 238354).
3. Il riconoscimento dell’imputato in sede di incidente probatorio è stato effettuato in
termini di certezza e la Corte dà atto della grande somiglianza delle due persone
estranee ai fatti utilizzate in sede di ricognizione personale ciò al fine di ribadire la
attendibilità e decisività della prova. Nello stesso modo, il profilo relativo ai capelli,

secondo grado, al fine di fondare una valutazione di genuinità e precisione della
descrizione.
4. La spiegazione fornita dalla Corte d’Appello riguardo alla iniziale ritrosìa delle persone
offese appare ragionevole facendo riferimento al timore di doversi trovare, faccia a
faccia, con l’autore del fatto. Ipotesi questa evidentemente fugata dalle spiegazioni sulle
modalità delle individuazione in sede di ricognizione personale, che hanno consentito, a
tali persone anziane, di ricostruire con serenità i particolari utili alla prosecuzione delle
indagini. Nello stesso modo appare condivisibile il rilievo operato dalla Corte territoriale
sull’irrilevanza delle lievi divergenze relative ad alcuni particolari descritti dalle vittime,
trattandosi di dati effettivamente secondari, riguardanti aspetti suscettibili di essere
valutati in modo diverso da differenti osservatori.
5. Con il secondo motivo la difesa deduce vizio di motivazione e violazione di legge
riguardo alla sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 625 n. 5 codice penale, con
riferimento al capo b) relativo al secondo episodio di furto. In particolare, la sentenza
suppone, in maniera arbitraria, che la veste di soggetto incaricato di controllare i
numeri del contatore, postuli necessariamente la qualifica di dipendente pubblico
dell’acquedotto e non, invece, di soggetto incaricato di attività privatistica, ricorrente
nell’ipotesi, ad esempio, di incaricato dell’amministratore del condominio, dell’idraulico
o del manutentore di edifici.
6. La doglianza è destituita di fondamento. La norma in esame richiede che l’autore del
reato “simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio”. Pertanto,
è certamente corretta la motivazione della Corte secondo la quale la prospettata
esigenza di controllare i consumi dell’acqua, risultò sufficiente, all’anziana persona
offesa, per acconsentire all’ingresso del sedicente rilevatore. Nello stesso modo, il
riferimento alla qualifica di addetto dell’acquedotto, incaricato di rilevare i numeri dei
contatori e dì controllare il pagamento delle bollette dell’acqua, integra la fattispecie
prevista dalla norma. D’altra parte, a colui il quale è deputato ai controlli idrici e dei
pagamenti, in considerazione dei poteri certificativi attribuitigli, va attribuita la qualità
di incaricato di pubblico servizio (Sez. 6, n. 26098 del 11/06/2013 – dep. 13/06/2013,
Caldaroni, Rv. 255789), mentre non rileva la natura pubblica o privata dell’ente o
dell’imprenditore al quale questa attività sia riferibile. Nel caso di specie la sinnulazion

percepiti come diversi, a causa del recente taglio è ben evidenziato dal giudice di

di una qualifica giuspubblicistica – tra quelle definite negli artt. 357 e 358 – finalizzata a
indurre una possibile condizione di minorata difesa nel soggetto passivo, è stata
strumentale all’esecuzione del furto (Sez. 6, n. 37099 del 19/07/2012 – dep.
26/09/2012, Balducci, Rv. 253477).
7. Con il terzo motivo’deduce vizio di motivazione riguardo all’aumento operato per la
ritenuta continuazione e erronea valutazione dei criteri di quantificazione della pena
inflitta. In particolare, la Corte ha disatteso il motivo con il quale in sede di appello la

continuazione e quello relativo alla valutazione dei criteri di cui all’articolo 133 del
codice penale finalizzati alla determinazione della pena inflitta.
8. Il motivo è infondato. La Corte territoriale ha adeguatamente sottolineato la gravità dei
fatti, agganciata alle modalità esecutive e alle conseguenze dannose, evidenziando che,
nel primo episodio, di autori del furto hanno finto di essere Carabinieri incaricati di un
controllo a seguito di furti avvenuti nella zona e nel secondo delitto, addetti
dell’acquedotto per il consumo idrico. In entrambi i casi gli autori del furto, unitamente
alla parte offesa, hanno visionato le varie stanze della casa esaminando i nascondigli
utilizzati dalle vittime per riporre oggetti in oro, orologi e denaro.
9. L’ultimo profilo di doglianza, relativo al profilo sanzionatorio della determinazione della
pena, è inammissibile poiché assolutamente generico, limitandosi la difesa a ritenere
erronea la valutazione dei criteri di cui all’articolo 133 del codice penale, senza
individuare le ragioni specifiche di censura e senza contrapporre alla valutazione
operata dal giudice di appello altre argomentazioni.
10. Alla pronuncia di rigetto consegue ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali. Del pari, il ricorrente va condannato alla rifusione
delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità, che, in relazione
all’attività svolta, vengono liquidate in euro 1.500, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla
refusione delle spese di parte civile, che si liquidano in euro 1500 complessive, oltre accessori
come per legge.
Così deciso in Roma il 17/09/2014
Il Cons,Jgiiere este,psore

Il Presidente

difesa aveva denunziato l’ingiustificato ed l’eccessivo aumento per la ritenuta

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