Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53187 del 12/10/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 53187 Anno 2017
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Lu brano Antonio, nato a Napoli il 28/06/1984,
avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova emessa in data
13/07/2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Mario Pinelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv.to Roberto Villani, in sostituzione del difensore di
fiducia Avv.to Domenico Di Donato, che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Genova – in riforma della
sentenza emessa dal Tribunale di Genova in composizione monocratica in data
19/01/2015, con cui Lubrano Antonio era stato assolto per non aver commesso il
fatto dal reato di cui agli artt. 476, 482 cod. pen., per aver formato una falsa

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Data Udienza: 12/10/2017

certificazione apparentemente rilasciata dall’ASL di Napoli attestante lo stato di
tossicodipendenza e l’esigenza di un programma terapeutico e riabilitativo presso
comunità, allegandola all’istanza di affidamento in prova depositata presso il
Tribunale di Genova in data 19/05/2010; con la recidiva reiterata, specifica,
infraquinquennale; accertato in Genova, il 26/05/2010 – dichiarava Lubrano
Antonio colpevole del reato ascrittogli e lo condannava a pena di giustizia.
2. Con un primo ricorso, depositato il 23/09/2016, Lubrano Antonio ricorre, a
mezzo del difensore di fiducia Avv.to Domenico Di Donato, per vizio di
motivazione, ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen., avendo la Corte di merito

alcuna indicazione di mezzi di prova, al fine di valutarne il contenuto in modo
difforme dal giudice di prima istanza, senza affatto aver dimostrato
l’incompletezza o la non correttezza ovvero l’incoerenza delle relative
argomentazioni, alla luce del principio pacificamente affermato dalla
giurisprudenza di legittimità; inoltre il giudice deve, nella valutazione delle prove,
prendere in considerazione tutti gli elementi processualmente emersi, non in
modo parcellizzato né avulso dal generale contesto probatorio, dovendosi
affermare la responsabilità penale al di là di ogni ragionevole dubbio; parimenti
immotivata apparirebbe la sentenza impugnata in relazione al calcolo della pena
ed alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
3. Con un secondo ricorso, depositato il 27/09/2016, Lubrano Antonio ricorre, a
mezzo del difensore di fiducia Avv.to Pasquale Tonani, per:
3.1. violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., in relazione alla ritenuta infondatezza della questione di competenza
territoriale, atteso che, a differenza di quanto affermato dalla sentenza
impugnata, il certificato falso era stato inviato allo studio legale Biondi in data
07/04/2009, come si evince dalla data e dall’ora di trasmissione del documento,
per cui lo stesso era stato necessariamente formato prima delle ore 11,59 del
giorno 07/04/2009, mentre il Lubrano, come risulta dal certificato del DAP, era
ristretto da oltre un anno nel carcere di Arienzo (CE), per cui se egli avesse
formato il falso documento, la condotta sarebbe stata posta in essere in
provincia di Caserta, essendo del tutto irrilevante la successiva utilizzazione del
documento in Genova, applicandosi la regola suppletiva di cui all’art. 9 cod. proc.
pen. solo quando non sia possibile la determinazione della competenza
territoriale ai sensi dell’art. 8 stesso codice; né, in ogni caso, Genova sarebbe
stato il luogo in cui si era consumata l’ultima parte del reato, ma solo il luogo in
cui il certificato era stato utilizzato, circostanza, questa, del tutto irrilevante ai
fini della consumazione del delitto di cui all’art. 476 cod. pen., che si consuma
con la formazione dell’atto, del tutto irrilevante essendo il suo uso;

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proceduto sommariamente ad una elencazione di elementi indizianti, senza

3.2. violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., in relazione agli artt. 521, 522, 533 cod. proc. pen., essendo stata
affermata la penale responsabilità del Lubrano in totale assenza di elementi certi,
bensì sulla base dell’apodittica affermazione che egli era il soggetto nel cui
esclusivo interesse era stata presentata l’istanza di affidamento in prova, senza
che sia stato dimostrato in quale circostanza di tempo e di luogo egli avrebbe
formato il falso documento, atteso che il ricorrente non è imputato in concorso
con altri, bensì, unicamente, in qualità autore materiale del reato, benché
all’epoca egli fosse ristretto in carcere, non potendosi, quindi, escludere che altra

formare l’atto falso, non potendo essere considerato elemento dirimente
l’interesse processuale del Lubrano alla presentazione dell’istanza, attesa la
compresenza di un interesse sostanziale anche da parte di altre persone, amici o
familiari, che avrebbero potuto formare la falsa certificazione; inoltre, la Corte
territoriale erroneamente ha ritenuto che il Lubrano fosse a conoscenza della
presentazione dell’istanza di affidamento in prova, non esistendo, al contrario,
alcuna prova in tal senso, non essendo stata detta istanza sottoscritta dal
Lubrano, bensì dal suo difensore, con allegata la certificazione del Ser.T.; né vi
sarebbe prova di esplicito mandato al difensore di presentare l’istanza al
Tribunale di Sorveglianza, da parte del Lubrano, essendosi l’Avv.to Biondi
avvalso della nomina già resa in suo favore nella fase di merito, presumibilmente
per evitare che il Lubrano, nel frattempo agli arresti domiciliari in Molise, presso
una comunità, fosse incarcerato per scontare un residuo pena di tre anni e mesi
uno di reclusione; parimenti illogico appare ritenere che il Lubrano avrebbe
quanto meno concorso con altri nella contraffazione, in quanto il Lubrano non è
imputato in concorso con altri, bensì quale unico autore della condotta materiale,
non potendo egli, pertanto, essere chiamato a rispondere del delitto quale
concorrente, non essendogli detta condotta stata contestata;
3.3. violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., in relazione all’art. 99 cod. pen., in quanto non si sarebbe tenuto
conto, nell’applicazione della recidiva, che il Lubrano aveva commesso il suo
ultimo reato nel 2004, quando non era neppure ventenne, per cui la sua spinta
delinquenziale si era, evidentemente, arenata rispetto alla realizzazione del falso
risalente al 2009, il che escluderebbe qualsiasi maggiore pericolosità in concreto
del ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.

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persona, legata al Lubrano da vincoli di parentela o di amicizia, avrebbe potuto

La sentenza impugnata ha rilevato che il primo giudice aveva assolto il Lubrano
in quanto, alla data della trasmissione della documentazione falsificata, questi
era ristretto presso la Casa circondariale di Arienzo, considerando, altresì, che
l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale non risultava sottoscritta dal
ricorrente, né risultava allegato alcuno specifico mandato al difensore di fiducia
volto alla presentazione dell’istanza. Il documento falsificato, infatti, era stato
prodotto in allegato al ricorso, sottoscritto dal difensore Avv.to Biondi, al
Tribunale di Sorveglianza di Genova, datato 18/05/2010, ed in pari data
depositato presso la Procura di Genova. Il ricorso, a sua volta, non reca la

dell’imputato; il certificato contraffatto allegato al ricorso presentava la ricevuta
del fax, da cui risultava trasmesso allo studio legale Biondi da mittente non
identificato in data 07/04/2009, allorquando Lubrano risultava detenuto.
Pur a fronte di detti elementi, la Corte territoriale ha argomentato che il Lubrano
aveva un sicuro interesse a che l’istanza fosse corredata da idonea certificazione
attestante il suo stato di tossicodipendente, costituente presupposto per
l’accoglimento dell’istanza stessa; inoltre, il rilascio del certificato allegato
all’istanza presupponeva una visita del richiedente, ben sapendo il Lubrano di
non essere stato sottoposto ad alcuna visita, per cui la presentazione dell’istanza
da parte del difensore di fiducia risultava essere un ulteriore elemento a carico
del Lubrano, e se anche altri avesse materialmente redatto il falso documento, il
Lubrano avrebbe comunque concorso nella contraffazione.
In realtà la Corte territoriale – rispetto alla motivazione del primo giudice – non
sembra aver accuratamente considerato che, in assenza di specifico mandato
difensivo e di sottoscrizione in calce all’istanza di affidamento in prova, non
sussista alcuna prova certa neanche della conoscenza, da parte del Lubrano,
della presentazione dell’istanza e, quindi, della sua istigazione ovvero della
condotta materiale ascrittagli.
La sentenza impugnata, inoltre, non ha contestato che il documento risultava
inviato al difensore di fiducia a mezzo fax da una utenza telefonica non
identificata, circostanza da valutare specificamente in relazione all’altrettanto
incontestato stato di detenzione del Lubrano nella stessa data; dette circostanze,
in altre parole, rendono insuperabile la lacuna logica determinata dalla carenza di
prova positiva circa il ruolo del Lubrano, sia quale autore materiale della
contraffazione sia quale istigatore. In tal senso non può, infatti, essere valutato
solo l’astratto interesse del Lubrano ad ottenere l’accoglimento dell’istanza.
Peraltro la Corte di merito non sembra affatto aver tenuto presente il principio
consolidato ed incontrastato, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte
regolatrice, secondo cui i delitti di falsità materiale in atto pubblico ed in
certificato o autorizzazioni amministrative commessi dal privato, di cui agli artt.
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sottoscrizione del Lubrano né ad esso era allegato specifico mandato

476, 477, 482 cod. pen., si consumano con la semplice formazione del
documento falso e non, come nel caso di falso in scrittura privata, con l’uso del
documento falsificato (Sez. 5, sentenza n. 47029 del 22/09/2011, Auriemma,
Rv. 251447; Sez. 5, sentenza n. 3760 del 09/12/1987, dep. 22/03/1988,
Scansani, Rv. 177954).
Né la motivazione della sentenza impugnata appare rispettosa dell’orientamento
di legittimità, parimenti pacifico e consolidato, secondo il quale il giudice di
appello che riformi totalmente la decisione di primo grado, ha l’obbligo di
delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di

sentenza del primo giudice, dando conto delle ragioni della relativa
incompletezza o incoerenza, non potendo, invece, limitarsi ad imporre la propria
valutazione del compendio probatorio in quanto ritenuta preferibile a quella
coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 6, sentenza n. 10130 del
20/01/2015, Marsili, Rv. 262907; Sez. 6, sent. n. 6221 del 20/04/2005, Aglieri
ed altri, Rv. 233083; Sez. 5, sent. n. 35762 del 05/05/2008, P.G. in proc. Aleksi
e altri, Rv. 241169; Sez. 5, sent. n. 42033 del 17/10/2008, Pappalardo, Rv.
242330; Sez. 5, sent. n. 8361 del 17/01/2013, P.C. in proc. Rastegar, Rv.
254638; Sez. 6, sent. n. 39911 del 04/06/ 2014, P.G. e Scuto, Rv. 261589).
Detto orientamento, come noto, risulta ulteriormente ribadito e specificato dalle
conformi pronunce che hanno delineato, ai sensi dell’art. 6 CEDU, come
interpretato dalla Corte EDU con al sentenza Dan c/Moldavia del 05/07/2011,
l’obbligo del giudice di appello di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale e di escutere nuovamente i testi, qualora la loro attendibilità sia
diversamente valutata rispetto a quanto ritenuto in primo grado.
Prescindendo dalla estensione di detto obbligo – se limitato ai soli casi in cui il
giudice di appello intenda riformare in peius una sentenza di assoluzione, ovvero
se estensibile anche nel caso opposto, in cui da un giudizio di condanna in primo
grado si pervenga ad un esito assolutorio – su cui, di recente, si sono registrati
orientamenti contrastanti nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Sez.
2, sentenza n. 41571 del 26/06/2017, P.G. in proc. Marchetta ed altro, Rv.
270750; Sez. 1, sentenza n. 29165 del 18/05/2017, H., Rv. 270280; Sez. 3,
sentenza n. 29253 del 05/05/2017,P.C. in proc. C., Rv. 270149; Sez. 5,
sentenza n. 2499 del 15/11/2016, dep. 18/01/2017, P.C. in proc. Vizza, Rv.
269073), non essendo rilevante, in questa sede ed in relazione alle questioni
esaminate, prendere posizione in ordine all’opzione se sussista o meno un
generale principio di immediatezza in ordine all’obbligo di escutere nuovamente i
dichiaranti, che trovi applicazione generalizzata in tutti i casi di riforma della
sentenza emessa in primo grado, ciò che, invece, rileva, è valutare la concreta
sussistenza di un percorso motivazionale, da parte della Corte territoriale, che
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confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della

abbia confutato in maniera adeguata e specifica le argomentazioni del primo
giudice.
Per le ragioni sin qui esposte, appare chiaro come la Corte territoriale abbia
fondato la sentenza su di una motivazione tautologica, basata su un dato
congetturale – l’interesse specifico del ricorrente – la cui plausibilità avrebbe
dovuto, comunque, essere approfonditamente valutata alla luce di specifici
elementi di prova, tenendo conto delle circostanze, evidenziate dal primo
giudice, logicamente inconciliabili con l’asserito interesse del ricorrente, e non
confutate in alcun modo dalla Corte di merito che ha, in ogni caso, proceduto,

ricostruzione della fattispecie criminosa contestata giuridicamente erronea.
Ne discende, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna
emessa nei confronti di Lubrano Antonio, per non aver commesso il fatto, atteso
che per la natura indiziaria del processo e per l’avvenuta puntuale e completa
disannina del materiale acquisito ed utilizzato nei pregressi giudizi di merito, il
giudizio di rinvio non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto
probatorio storicamente accertata (Sez. 6, sentenza n. 37098 del 19/07/2012,
Conti, Rv. 253380).

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non avere l’imputato commesso
il fatto.
Così deciso in Roma, il 12/10/2017

Il Consigliere estensore

Il Presidente

nell’argomentazione posta a base della sentenza di condanna, sulla scia di una

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