Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53182 del 28/09/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 53182 Anno 2017
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
GIRALDI AGOSTINO nato il 15/08/1932 a RENDE
MIRABELLI VIRGINIA nato il 24/04/1963 a REND:3:

avverso la sentenza del 03/10/2016 del GIUDICE DI PACE di COSENZA
visti gli atti, il provvedlmento impugnato e i ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA FIDANZIA
Udito il Pubblico Ministero, :n oeso a dei Sostituto Procuratore PASQUALE
FIMIANI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio
Udito il difensore
Il difensore avv. Innocenzo Palazzo insiste per accoglimento motivi di ricorso

Data Udienza: 28/09/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 30 ottobre 2016 il Giudice di Pace di Cosenza ha
condannato Giraldi Agostino e Mirabelli Virginia alla pena di giustizia per i delitti di minaccia ai
danni di Iantorno Franco.
2. Con atto sottoscritto dal loro difensore hanno proposto ricorso per cassazione gli
imputati affidandoli ai seguenti motivi.

del Giudice di Pace.
Lamentano i ricorrenti che, riportando il capo d’imputazione una minaccia di morte, era
configurabile la fattispecie di cui all’art. 612 cpv c.p., con conseguente competenza per
materia del Tribunale di composizione monocratica.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione per
mancata promozione della conciliazione delle parti tra le parti, a norma dell’art. 29 dlgs n .
274/2000, per l’intercorsa remissione di querela dichiarata dalla persona offesa nel corso
dell’udienza dibattimentale, con i conseguenti effetti estintivi correlati alla contumacia
dell’imputato
Lamentano i ricorrenti che il Giudice di Pace, in considerazione della disponibilità
manifestata dalla persona offesa di rimettere la querela, non avrebbe dovuto proseguire il
giudizio e promuovere la conciliazione tra le parti .
2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in
considerazione della sussistenza della c.d. “minaccia condizionata” .
Lamentano i ricorrenti che la condotta minacciosa del Giraldi era diretta conseguenza della
ripetuta violazione dei diritti contrattuali da parte della persona offesa, vicenda per cui risulta
pendente una controversia civile tra i due, afferente il mancato pagamento da parte della
persona offesa del saldo contrattuale , pari a € 40.000,00, inerente il taglio degli alberi nella
proprietà dell’imputato.
Ne consegue che non ricorre il delitto di minaccia, avendo il Giraldi voluto non già
restringere la libertà psichica della persona offesa bensì prevenire una sua azione illecita
(continuare il taglio degli alberi senza preventivo pagamento del corrispettivo).
2.4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in
ordine al trattamento sanzionatorio.
Si assume che la determinazione della misura massima sia della pena base che
dell’aumento per la continuazione avrebbe imposto una motivazione rafforzata, anche in
relazione alla minima riduzione – un quinto – disposta per le attenuanti generiche.
2.5. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 34 dlgs n. 374/2000.
2.6. Con il sesto è stata dedotta violazione di legge e omessa motivazione in ordine alla
configurabilità della minaccia.

2

2.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge per incompetenza per materia

Il Giudice di Pace non ha indicato le ragioni per cui le espressioni pronunciate
dall’imputato avrebbero cagionato effetti intimidatori e limitato la libertà psichica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è inammissibile in quanto generico.
Va osservato che questa Corte ha avuto già modo di affermare che, ai fini della configurabilità

turbamento psichico che l’atto intimidatorio può determinare sul soggetto passivo (Sez. 5, n.
44382 del 29/05/2015 – dep. 03/11/2015, Mirabella, Rv. 266055).
Va dunque ritenuto che una minaccia di morte, genericamente pronunciata, non integra
automaticamente una minaccia grave, dipendendo ciò dall’entità del turbamento psichico
determinato dall’atto intimidatorio, dalla personalità dei soggetti del reato e dalle modalità di
estrinsecazione della condotta (Sez. 5, sentenza del 4 marzo 2015, P.G. c. Vecchione, non
massimata; Sez. 3, n. 725 del 07/03/1966, Conte, rv. 101313).
Alla luce di quanto sopra osservato, il motivo si appalesa manifestamente generico, non
avendo il ricorrente, nell’affermare la sussumibilità della sua condotta nella minaccia grave,
preso in considerazione e minimamente sviluppato alcuno degli evidenziati elementi che
connotano la minaccia grave.
2. Il secondo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.
Va, in primo luogo, osservato che, come emerge inequivocabilmente dallo stesso ricorso,
all’udienza dibattimentale la persona offesa non ha affatto rimesso la querela ma si è solo resa
disponibile a rimetterla. Il reato non si è quindi estinto per intervenuta remissione di querela.
In ordine alla lamentata violazione dell’art. 29 dlgs n. 274/2000, va osservato che questa
Corte ha già affermato che il mancato esperimento del tentativo di conciliazione nel processo
dinanzi al giudice di pace non comporta alcuna nullità, giacché la previsione di cui all’art. 29
D.Lgs. n. 274 del 28 agosto 2000 non costituisce un obbligo ma rientra nella discrezionalità del
giudice. (Sez. 5, n. 39401 del 06/07/2012 – dep. 05/10/2012, Ilardi, Rv. 254563).
In ogni caso, il dovere di promuovere la conciliazione presuppone comunque la materiale
possibilità del suo esperimento, e quindi implica la presenza dell’imputato e del querelante ed il
giudice è non tenuto a disporre il rinvio dell’udienza cui sia assente l’imputato. (Sez. 1, n.
22723 del 29/03/2007 – dep. 11/06/2007, Carrassi, Rv. 236782)
Nel caso di specie, il ricorrente non può quindi dolersi del mancato espletamento del tentativo
di conciliazione essendo rimasto contumace nel giudizio davanti al giudice di Pace.
3. Il terzo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Ad avviso del ricorrente, la sua condotta non integrerebbe gli estremi del delitto contestato
costituendo una c.d. minaccia condizionata, la quale non è punibile allorquando l’autore
intenda non già restringere la libertà psichica del minacciato, bensì prevenire un’azione illecita
dello stesso, rappresentandogli tempestivamente quale reazione legittima il suo
3

del reato di minaccia grave, ex art 612, comma secondo, cod. pen., rileva l’entità del

comportamento determinerebbe. (Sul punto vedi Sez. 5, n. 14054 del 07/02/2014 – dep.
25/03/2014, Serrano’, Rv. 260206).
Questo Collegio non ritiene affatto che il ricorrente intendesse prevenire un’azione illecita della
persona offesa.
In primo luogo, non può essere mai giustificata una minaccia di morte, seppur genericamente
pronunciata, al solo scopo di prevenire un presunto illecito di natura civilistica.
Inoltre, nel caso di specie, tenuto conto che secondo la stessa prospettazione del ricorrente,

controversia attinente al taglio del bosco – il ricorrente lamenta che la persona offesa non gli
aveva versato il corrispettivo pattuito per provvedere al taglio della legna nel fondo di sua
proprietà – è evidente che, in difetto di pronuncia giudiziale che accertasse l’inadempimento
della persona offesa, quest’ultima aveva pieno titolo per continuare il taglio del bosco.
4. Il quarto motivo è inammissibile.
Si tratta di censura svolta per la prima volta con il ricorso per cassazione è quindi non
consentita a norma dell’art. 606 comma 3 0 c.p.p..
5. Il quinto motivo è inammissibile per palese genericità.
Il ricorrente non indica lir’

neppure il motivo per cui ritiene la speciale tenuità del

fatto.
6. Il sesto motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
E’ evidente la attitudine intimidatoria insita nelle espressioni rivolte dall’imputato all’indirizzo
della persone offesa (si tratta di minaccia di morte seppur non grave in quanto solo
genericamente pronunciata). Né rileva che la minaccia abbia in concreto limitato la libertà
psichica della persona offesa, atteso che in tale fattispecie elemento essenziale è la sola
attitudine della condotta ad intimorire la vittima, senza che sia necessario che uno stato di
intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima (Sez. 5, n. 45502 del 22/04/2014,
Scognamillo, Rv. 261678).
Alla declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna di ciascun ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che
si stima equo stabilire nella misura di 2.000,00 Euro.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2017
Il consigliere estensore

Il Presidente

era pendente tra le parti presso il Tribunale di Cosenza una causa civile volta a dirimere la

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