Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53157 del 26/10/2017


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 53157 Anno 2017
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GIANNITI PASQUALE

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Lorena Emilio, nato il 30/05/1958
Re Sergio, nato il 10/06/1949

avverso la sentenza del 13/03/2017 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Pasquale Gianniti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Carmine
Di Stabile, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore della parte civile Sceberas Nicolas Eduardo, avv. Elisabetta
Marinella, che ha concluso chiedendo la conferma della sentenza impugnata, con
condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali;
udito il difensore dei ricorrenti, avv. Yuri Lissandri, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 26/10/2017

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano con la sentenza impugnata ha
integralmente confermato la sentenza 1/03/2016 con la quale il Tribunale di
Pavia aveva ritenuto Lorena Emilio e Re Sergio responsabili del reato di lesioni
colpose gravi, commesso ai danni di Sceberas Nicolas Eduardo il 25/02/2010.
Era accaduto che Sceberas Nicolas Eduardo – dipendente della società
Aboneco fin dal 2009 con mansioni di caposquadra addetto alla sicurezza – il 25

Lomellina Energia, siti in Parona Lomellina, in virtù del contratto di appalto
intercorso tra la sua società e la Lomellina energia. Precisamente, lo Sceberas,
mentre era impiegato a smaltire alcuni cumuli di spazzatura nel capannone
denominato “fase 1”, veniva chiamato con la ricetrasmittente da Ganzi,
operatore di Lomellina Energia, affinché si recasse nel reparto di trasferimento
per procedere a “disfare” le balle di rifiuti appena arrivate. Giunto sul posto
vedeva un camion, con meccanismo Cargo Floor, che scaricava automaticamente
le balle e, a tre o quattro metri di distanza, il suo collega Chiaborelli – pure
dipendente Aboneco – e Ganzi che tagliavano le regge. Ritenuta pericolosa la
situazione, lo Sceberas si avvicinava a Ganzi per dirgli che né lui né Chiaborelli
avrebbero dovuto lavorare in quelle condizioni e per chiedergli di consegnarli il
coltello che il Chiaborelli stava utilizzando per tagliare le cinghie. In quel
momento, mentre si trovava a fianco del cassone posteriore del veicolo, sentiva
Ganzi che urlava “attenzione” quando, improvvisamente, una balla del camion gli
cadeva addosso, colpendolo alla spalla, facendolo cadere a terra e procurandogli
le gravi lesioni di cui al capo di imputazione (trauma cranio facciale e toracico
con frattura della clavicola, infrazione della IV costa sinistra e frattura della X
costa destra; trauma ginocchio destro; avulsioni dentarie multiple con contusioni
e abrasioni; trauma alluce sinistro con incapacità di attendere alle ordinarie
occupazioni per un tempo superiore a giorni 40).
Delle lesioni subite dallo Sceberas erano stati chiamati a rispondere
Lorena Emilio e Re Sergio: il primo in qualità di datore di lavoro di Lomellina
Energia Srl ed in violazione dell’art. 26 comma 2 lett. b) D.Lgs. 81/08, in quanto
non aveva cooperato all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai
rischi sul lavoro incidenti sull’attività di slegatura delle regge delle RDF, ovvero
non definiva e non comunicava ai suoi operai di Aboneco Sri la distanza di
sicurezza da mantenere durante la fase di scarico delle RDF a mezzo del Cargo
Floor; Re Sergio, in qualità di datore di lavoro della Re Sergio Autotrasporti Srl e
in violazione dell’art. 71, comma 4 lett. a) punto 1) D.Lgs. 81/08, in quanto non
aveva preso le misure necessarie affinché l’attrezzatura di lavoro denominata

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febbraio 2010 si trovava a svolgere mansioni di pulizia industriale nei locali della

Cargo Floor, installata sul rimorchio, fosse utilizzata in conformità alle istruzioni
d’uso contenute nel manuale operativo (laddove viene richiesto che le persone
distino ad una distanza superiore a m. 10 rispetto al sistema in funzione).
Anche in punto di trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale ha
confermato la decisione del Giudice di primo grado, che, previa concessione delle
attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante: aveva condannato
entrambi gli imputati alla pena di mesi 1 di reclusione, concedendo loro i doppi
benefici di legge; nonché aveva condannato gli imputati ed i responsabili civili

risarcimento dei danni – da liquidarsi in separata sede – in favore della costituita
parte civile Sceberas Nicolas Eduardo, ponendo a carico degli stessi una
provvisionale immediatamente esecutiva pari ad euro 50.000.

2. Avverso la sentenza della Corte territoriale, tramite i relativi difensori
di fiducia, propongono ricorso gli interessati.

3. Il ricorso presentato nell’interesse di Sergio Re e del responsabile civile
Sergio Re Autotrasporti Sri è affidato a sette motivi di doglianza.
3.1 Nel primo motivo si denuncia mancanza di motivazione in punto di
ritenuta sussistenza del nesso causale tra la contesta condotta omissiva (relativa
all’adozione delle misure preventive connesse all’uso del camion Cargo Floor) e
l’evento dannoso.
I ricorrenti si lamentano del fatto che la Corte territoriale ha ritenuto che
se fossero state adottate incisive ed efficaci misure prevenzionistiche – che il
primo Giudice aveva individuato nel transennamento della zona di pericolo o
nella chiusura del capannone e nel divieto di accesso in esso durante la fase di
scarico – e se ne fosse stato imposto adeguatamente il rispetto, l’infortunio
sicuramente non si sarebbe verificato. Sul punto deducono che i Giudici di
appello avrebbero omesso di verificare la sussistenza di una legge scientifica
asserente la generale efficacia delle citate misure rispetto ad eventi dannosi del
tipo di quello verificatosi nel caso di specie.
3.2 Nel secondo motivo si denuncia mancanza di motivazione in punto di
ritenuta sussistenza del nesso causale tra la contesta condotta omissiva (relativa
all’obbligo di informazione) e l’evento dannoso.
I ricorrenti deducono che la Corte territoriale si sarebbe limitata ad
asserire che Sergio Re avrebbe dovuto informare la committente Lomellina circa
il fatto per cui la Re Sergio Autotrasporti Srl non avrebbe potuto garantire
l’adozione delle necessarie misure di sicurezza connesse all’uso del Cargo Floor.

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Lomellina Energia Sri e Re Sergio Autotrasporti Sri, in solido tra loro, al

Anche in tale caso la Corte milanese avrebbe omesso di accertare l’efficacia
impeditiva (rispetto all’evento dannoso) della condotta prescritta.
3.3 Nel terzo motivo si denuncia violazione di legge in punto di non
ritenuta abnormità della condotta posta in essere dallo Sceberas.
I ricorrenti si lamentano del fatto che la Corte ha considerato l’incidente
come conseguenza di una violazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro ed ha escluso che la condotta del lavoratore presentasse i
caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e dell’esorbitanza rispetto al

che il lavoratore aveva tenuto un comportamento anomalo, quale quello di
entrare nel capannone (invece che attendere fuori come avrebbe dovuto) e,
successivamente, di uscire dallo stesso facendo un percorso del tutto difforme da
quello che gli era stato indicato, passando addirittura rasente al camion.
In definitiva, secondo i ricorrenti, detto comportamento anomalo,
“emblema della negligenza e della imprudenza”, tenuto da soggetto che da
tempo lavorava in quell’impianto (e che dunque conosceva bene quali potevano
essere i rischi derivanti da un eccessivo avvicinamento al camion) avrebbe
dovuto essere considerato causa sopravvenuta, da sola sufficiente a cagionare
l’evento, con conseguente esclusione di ogni responsabilità del preposto.
3.4 Nel quarto motivo si denuncia mancanza di motivazione in punto di
ritenuta equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e la circostanza
aggravante relativa alla violazione della normativa antinfortunistica.
3.5 Nel quinto motivo si denuncia mancanza di motivazione in punto di
determinazione della pena.
Il ricorrente deduce che la Corte territoriale, nel confermare la pena a lui
inflitta in primo grado, si sarebbe limitata ad asserire che la stessa risultava
congrua ed adeguata, omettendo di motivare sul punto.
3.6 Nel sesto e nel settimo motivo si denuncia mancanza di motivazione
in punto di ritenuta sussistenza del danno subito dallo Sceberas per effetto
dell’infortunio, nonché in punto di quantificazione della provvisionale.
I ricorrenti deducono che la Corte territoriale, nel confermare il decisum
del primo giudice in punto di individuazione della causa degli eventi dannosi, si
sarebbe limitata ad asserire che “considerati gli ingenti pregiudizi che sono
attribuibili all’evento infortunistico, quale quantomeno concausa non certo
nninimale, ma alquanto consistente, della situazione patologica derivatane, la
somma di 50.000 euro non appare affatto eccessiva, in relazione al
licenziamento conseguitone ed alla perdita del lavoro, nonché alle compromesse
condizioni fisiche e psichiche anch’esse, come detto, almeno in buona parte,
derivate dall’infortunio stesso”. Deducono che i Giudici di appello – pur

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procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute. Deducono

riconoscendo che le malattie, lamentate dallo Sceberas, preesistessero, almeno
in parte, alla vicenda per cui era processo – avrebbero omesso di indicare
specificamente i danni effettivamente imputabili alla condotta posta in essere dal
Re (con la conseguenza che non avrebbero potuto giungere ad una
quantificazione della provvisionale). Al riguardo precisano che nel corso del
giudizio il Prof. Buzzi aveva evidenziato che: a) alcune patologie, ricondotte dalla
parte civile ai fatti di causa, erano da imputarsi a cause diverse; b) le lesioni e lo
stato depressivo lamentati dallo Sceberas erano incompatibili con la dinamica dei

4. Il ricorso presentato nell’interesse di Lorena Emilio è affidato a sette
motivi di doglianza.
4.1 Nel primo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di
motivazione (con travisamento della prova) in punto di ritenuta responsabilità
(per mancata predisposizione di adeguate misure prevenzionistiche dai rischi
concernenti i lavoratori).
Il ricorrente si lamenta del fatto che la Corte territoriale – asserendo che
“già il fatto che ciascuno abbia riversato sull’altro la responsabilità della
inadeguatezza delle misure organizzative palesa la situazione di totale
confusione che regnava in quell’ambiente di lavoro” – aveva così invertito la
logica sottesa ad ogni accertamento processuale, addebitandogli sostanzialmente
la mera condotta difensiva tenuta da lui e dal suo coimputato, senza alcun
accertamento sulle rispettive aree di controllo ed influenza (e senza alcuna
individuazione dei rispettivi doveri nelle operazioni di scaricamento delle balle di
rifiuti).
In definitiva, secondo il ricorrente, il ragionamento logico giuridico sotteso
alla motivazione impugnata si fonderebbe sulla inaccettabile premessa per cui,
ogni qual volta due versioni collidono tra loro, esse stesse sono false entrambe.
4.2. I motivi dal 2 al 7 ripercorrono argomentazioni contenute nei
corrispondenti motivi del ricorso presentato nell’interesse di Re Sergio e del
relativo responsabile civile.

5. In vista dell’odierna udienza, tramite difensore di fiducia, il Lorena
deposita note, nelle quali, in relazioni al terzo motivo di ricorso (in cui si
denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di non ritenuta
abnormità del comportamento del lavoratore), dopo aver richiamato principi
affermati nella giurisprudenza di legittimità, sottolinea che:
a) la società Lomellina aveva predisposto e comunicato un piano
antinfortuni, ben noto anche ai dipendenti della Aboneco, nel quale era indicato

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fatti.

di mantenere una distanza di sicurezza quando le balle di rifiuti immondizia
venivano scaricate dal camion della società Re Autotrasporti (alla quale la società
Lomellina, di cui era responsabile, aveva dato in appalto l’effettuazione
dell’attività di scarico);
b)

il dovere di rispettare i criteri preventivi antinfortuni incombeva

principalmente sulla società Re Autotrasporti (e non sulla società di cui lui era
amministratore): secondo il ricorrente Lorena, era il responsabile del camion
della società Re Autotrasporti, dal quale veniva scaricata la balla di rifiuti, che

sicurezza (distanza che lo Sceberas, dipendente Alboneco, non aveva
mantenuto);
c) la Corte avrebbe dovuto prendere in considerazione il comportamento
colposo del lavoratore per affermare l’interruzione del nesso causale ovvero
quanto meno per affermare il di lui concorso colposo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 ricorsi non sono fondati

2.In primo luogo, si precisa che, essendosi verificato il fatto contestato in
data 25/02/2010 ed essendo intervenuti nel giudizio di primo grado 3 periodi di
sospensione (di cui due per legittimo impedimento del difensore ed il terzo, dal
1/12/2015 al 16/2/2016, per astensione del difensore dall’udienza), alla data
della presente sentenza, il termine prescrizionale di anni 7 e mesi 6 non è
scaduto.

3.Non fondati sono i primi due motivi di tutti i ricorsi, motivi che
coinvolgono la ritenuta sussistenza del nesso di causalità (e la conseguente
affermazione della penale responsabilità degli imputati) e che qui si trattano
congiuntamente per la loro connessione.
3.1. La disamina dei suddetti motivi impone una duplice comune
premessa: a) in punto di nesso di causalità tra il sinistro e le contestate
infrazioni della disciplina antinfortunistica; b) in punto di natura e limiti del
sindacato che spetta a questa Corte di legittimità.
A) Quanto al profilo causale, è indubbio che l’applicazione del principio di
colpevolezza esclude qualsivoglia automatismo rispetto all’addebito di
responsabilità e si impone la verifica, in concreto, della violazione da parte
dell’imputato non solo della regola cautelare (generica o specifica), ma,
soprattutto nel caso di specie, della prevedibilità ed evitabilità dell’evento

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avrebbe dovuto controllare che gli altri operai mantenessero una distanza di

dannoso, che la regola cautelare mirava a prevenire (la cd. “concretizzazione”
del rischio).
L’individualizzazione della responsabilità penale impone di verificare, cioè,
non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l’evento (ciò che si
risolve nell’accertamento della sussistenza del nesso causale) e se la condotta
sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare (sia essa generica
o specifica), ma anche se l’autore della stessa potesse prevedere, con giudizio
“ex ante” quello specifico sviluppo causale ed attivarsi per evitarlo.

sussistenza del nesso di condizionamento tra la condotta e l’evento non sono
sufficienti per fondare l’affermazione di responsabilità, giacché occorre anche
chiedersi, necessariamente, se l’evento derivatone rappresenti o no la
“concretizzazione” del rischio, che la regola stessa mirava a prevenire; e se
l’evento dannoso fosse o meno prevedibile, da parte dell’imputato (Sez. 4, n.
43966 del 06/11/2009, Morelli, Rv. 245526).
B) Quanto poi al perimetro del sindacato, ammissibile nella presente sede
di legittimità, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio
logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo
della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni
inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle
risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità “deve
essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni,
utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro
rispondenza alle acquisizioni processuali” (in tal senso, tra le tante, Sez. 3, sent.
n. 4115 del 27/11/1995, dep. 1996, Beyzaku, Rv. 203272).
Sotto altro profilo è stato precisato che la Corte di cassazione, nel
momento del controllo di legittimità, non deve stabilire se la decisione di merito
proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve
condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile
opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente
(Sez. 5, sent. n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745).
Si deve infine ribadire, per condivise ragioni, l’insegnamento espresso
dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale nessuna prova, in realtà, ha
un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; occorre
necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale
probatorio disponibile; ed il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del
merito, non potendosi il giudice di legittimità sostituirsi ad esso (Sez. 5, Sent. n.

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In tale ambito ricostruttivo, la violazione della regola cautelare e la

16959 del 12/04/2006, Strano, Rv. 233464).
3.2. Orbene, il Tribunale di Pavia – dopo aver premesso (pp. 1-2) che: a)
Sergio Lorena era direttore dello stabilimento della Lomellina Energia srl, ubicato
in Parona Lomellina e dedicato alla termovalorizzazione di rifiuti; b) tra tale
società e la Re Sergio Autotrasporti s.r.l. sussisteva dal 2008 (e sussisteva in
particolare all’epoca dell’infortunio per cui era processo) un contratto in base al
quale quest’ultima operava quale impresa incaricata del trasporto di rifiuti su
incarico di terzi (titolari, a loro volta, di un accordo di conferimento con Lomellina

scaricare presso l’impianto, per il tramite di mezzi del tipo Cargo Floor (cioè
dotati di un piano mobile installato nel cassone posteriore), balle di rifiuti poi
diversamente trattate nello stabilimento in base alla loro tipologia – ha in primo
luogo analiticamente ripercorso (pp. 2-13) le dichiarazioni rese: dal lavoratore
infortunato Sceberas Nicolas Eduardo; dall’Ispettore Asl Corrado Cigaina (che
aveva riferito della dinamica dell’infortunio, che gli era stata riferita la sera
dell’infortunio dallo stesso Sceberas, mentre quest’ultimo si trovava presso il
Pronto Soccorso, nonché degli esiti del sopralluogo effettuato nel capannone e
delle carenze del DUVRI); da Edoardo Lombardi (l’autista del Cargo Floor,
coinvolto nel sinistro, che aveva reso in dibattimento dichiarazioni difformi da
quelle, oggetto di contestazione, rese nella fase delle indagini); da Andrea Ganzi
(dipendente della Lomellina Energia, che pure in dibattimento aveva reso
dichiarazioni difformi da quelle rese nella fase delle indagini); da Giovanni
Chiarobelli, unico operaio presente al sinistro ed estraneo alle due società (per
essere dipendente di Aboneco); dai responsabili della sicurezza della Re Sergio
Autotrasporti e della Lomellina Energia (rispettivamente tali Paolo Pecorin e
Lanfranco Signorelli, che avevano ricostruito ciascuno “un quadro
completamente diverso” da quello ricostruito dall’altro) e da altri testi ancora
(Luciano Legnaro, dipendente di Aboneco, che all’epoca lavorava nei locali di
Lomellina Energia; Stefano Cassullo, dipendente di Lomellina Energia con
mansioni di capoturno).
A) Nel ripercorrere le acquisite risultanze dibattimentali, il Giudice di
primo grado ha ricostruito la dinamica del sinistro, argomentando soprattutto su
quanto riferito dalla persona offesa e dal testimone oculare Chiarobelli,
dipendente di Aboneco (ritenendo non pienamente attendibili il teste Ganzi,
dipendente Lomellina, ed il teste Lombardi, dipendente della Re, in
considerazione della contraddittorietà rilevabile tra le dichiarazione dagli stessi
rese nella fase delle indagini rispetto a quelle rese nella fase dibattimentale).
Lo Sceberas aveva narrato di essere dipendente della società Aboneco fin
dal 2009 con mansioni di caposquadra addetto alla sicurezza; in virtù del

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Energia); c) in particolare, la Re Sergio Autotrasporti provvedeva a trasportare e

contratto di appalto, intercorso tra detta società e Lomellina, svolgeva nei locali
di pertinenza di quest’ultima mansioni di pulizia industriale; ogni giorno il capo
turno di Lomellina dava gli ordini all’operatore della stessa azienda, che a sua
volta si recava dal caposquadra di Aboneco, dando le necessarie direttive; il 25
febbraio 2010, mentre era impegnato a smaltire alcuni cumuli di spazzatura nel
capannone denominato “fase 1”, era stato chiamato con la ricetrasmittente da
Ganzi, operatore di Lomellina, affinchè si recasse nel reparto trasferimento per
procedere a disfare le balle di rifiuti appena giunte (in Lomellina giungevano

tenute insieme con le cinghie, che era necessario tagliare affinché un caterpillar
potesse poi spostarne il contenuto); giunto sul posto, era rimasto sorpreso
perché vi era un camion che stava scaricando con l’autista seduto in cabina e, a
tre o quattro metri di distanza, due persone che tagliavano le regge (Chiaborelli,
dipendente di Aboneco, e Ganzi operatore di Lomellina); il camion con
meccanismo Cargo Floor scaricava automaticamente, grazie al piano mobile, le
balle; pertanto, l’autista, rimanendo in cabina per azionare il sistema, non
poteva vedere dove queste cadevano; fatti simili erano già accaduti (gli operatori
di Lomellina li costringevano a lavorare mentre il camion scaricava); in Aboneco
aveva partecipato a corsi sulla sicurezza dove gli avevano spiegato che era
necessario rimanere sempre ad almeno dieci metri di distanza dal camion;
pertanto, ritenendo pericolosa la situazione, aveva fatto presente agli altri due
che non avrebbero dovuto lavorare in quelle condizioni; in quel momento,
mentre si trovava a fianco del cassone posteriore, aveva sentito Ganzi urlare
quando improvvisamente una balla gli era caduta addosso dal camion colpendolo
alla spalla e facendolo rovinare a terra; più volte si era lamentato con gli
operatori di Lomellina delle pessime condizioni di sicurezza in cui gli operatori di
Aboneco erano costretti a lavorare ma di non avere ottenuto nulla.
D’altra parte, il teste Chiaborrelli (dipendente di Aboneco, e, quindi,
estraneo alla ditta Lomellina ed alla ditta Re), nonostante talune contraddizioni,
aveva riferito un dato incontrovertibile, e cioè che al momento dell’impatto sia lui
che il Ganzi si trovavano ad una distanza tale da far sì che entrambi avessero
percepito anche nei loro confronti, e non solo dello Sceberas, una situazione di
pericolo (ciò che denotava quindi come tutti e tre si trovassero ad una distanza
certamente inferiore a quella di sicurezza di dieci metri, con ciò emergendo
inequivocabilmente che all’interno del capannone gli operai di Lomellina e
Alboneco lavoravano, e non solo in quell’occasione, in condizioni di scarsa
sicurezza svolgendo una pericolosa attività di scarico senza che nessuno avesse
ricevuto chiare informazioni circa le distanze di sicurezza e le modalità per
garantirne il rispetto).

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abitualmente grosse balle di rifiuti del peso di circa due tonnellate ciascuna

B) Il Giudice di primo grado ha quindi descritto il contesto nel quadro del
quale l’infortunio si era verificato (p. 13 e ss.):
– all’epoca del sinistro: nei locali di Lomellina Energia regnava “una
notevole confusione”; il quadro, che ne emergeva circa le condizioni di sicurezza
in cui lavoravano gli operai delle tre ditte coinvolte, era “sconcertante” ed
“evidente” era l’insufficienza delle misure di prevenzione; secondo quanto riferito
dai testi “nessuno pare(va) sapere con certezza a chi spetta(va) garantire il
rispetto delle misure, già di per sé insufficientemente definite e comunicate ai

-il responsabile sicurezza della ditta Re aveva sostenuto di avere formato
gli autisti, Lombardi compreso, circa le due diverse distanze di sicurezza; il
Lombardi tuttavia non doveva avere ricevuto sufficienti informazioni, se solo si
considerava le evidenti contraddizioni in cui lo stesso era caduto non solo tra la
fase delle indagini e la fase dibattimentale ma anche nel corso dello stesso
processo; anche a voler ritenere che Lombardi avesse ricevuto correttamente
l’informazione circa la distanza di 10 metri da rispettare, era del tutto evidente
che detta disposizione restava una mera “disposizione di stile”, non idonea a
garantire la sicurezza dei luoghi, in quanto era emerso che in ogni caso agli
autisti veniva insegnato che “non era affar loro” garantire il rispetto di tale
distanza;
– da quanto dichiarato dal responsabile sicurezza della ditta Lomellina era
emerso che quest’ultima, sul presupposto che fosse onere della ditta di trasporti
garantire la sicurezza delle attività di carico e scarico dei rifiuti, aveva omesso la
predisposizione di misure volte a garantire che tale attività avvenisse senza
rischi per i dipendenti propri e altrui che operavano nei locali di sua pertinenza;
– in un contesto in cui neppure i due responsabili alla sicurezza avevano
un’idea precisa del soggetto a cui spettava occuparsi dei rischi derivanti
dall’attività di scarico delle balle di rifiuti, di tale circostanza non potevano di
certo essere adeguatamente informati i dipendenti: secondo quanto riferito dai
testi, i camion che circolavano per i capannoni della Lomellina erano numerosi, di
modelli diversi, ognuno con diverse regole quanto alle “distanze minime di
sicurezza”; proprio tale circostanza, di per sé capace di ingenerare “incertezza”
negli operanti, aveva determinato una particolare pericolosità dell’attività di
scarico dei rifiuti, che avrebbe evidentemente richiesto ben altre misure di
sicurezza (quali la predisposizione di transenne o lo scarico a locale inibito
all’accesso degli operai) rispetto a quelle – pressoché inesistenti – in concreto
adottate.

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dipendenti”;

C) Ricostruita la dinamica dell’infortunio ed il contesto nel quale lo stesso
si era verificato, il Tribunale di Pavia ha ritenuto (p. 14) che entrambi gli addebiti
di cui all’imputazione risultavano pienamente provati.
C1) Invero, quanto al fatto contestato all’imputato Lorena (pp. 14-15):
– era emersa inequivocabilmente la mancata cooperazione all’attuazione
delle misure di prevenzione dei rischi derivanti dall’attività di “slegatura” delle
balle dei rifiuti; era infatti evidente che ai dipendenti di Lomellina e Aboneco non
era stata compiutamente indicata la procedura di sicurezza da seguire durante le

riferimento alle distanze da mantenere;
– proprio il teste Signorelli, infatti, responsabile Ambiente e Sicurezza di
Lomellina Energia, aveva riferito in udienza che la questione delle distanze di
sicurezza era pienamente demandata agli autisti della società Re, con ciò
confermando pienamente che la Lomellina, di fatto, non riteneva neppure di sua
competenza impartire ai dipendenti disposizioni di sicurezza circa la condotta —
e la distanza – da mantenere durante l’attività di scarico;
– peraltro – circostanza questa particolarmente grave, quanto alla
situazione della sicurezza all’interno dell’impianto – lo stesso responsabile alla
sicurezza aveva riferito che l’attività di scarico in questione sarebbe dovuta
avvenire secondo modalità (con l’autista di fianco alla cabina e con l’utilizzo del
telecomando) radicalmente diverse da quelle che – come era emerso
inequivocabilmente dalle deposizioni di tutti gli altri testi – venivano di fatto
comunemente adottate all’interno dell’impianto;
– tale circostanza consentiva di ritenere pienamente provato che a carico
del Lorena sussistevano di fatto, oltre al profilo di colpa specifica di cui
all’imputazione, anche gravi profili di colpa generica, essendo “del tutto
evidente” che era “assolutamente impossibile” elaborare un vero piano di
prevenzione degli infortuni in un contesto in cui operavano congiuntamente
diverse imprese, senza avere previamente accertato le effettive modalità di
operazione di ciascuna di esse;
– non stupiva dunque che, come riferito da Cigaina, il DUVRI fosse, sotto il
profilo del coordinamento delle attività, gravemente carente, non prevedendo la
distanza minima di sicurezza da mantenere durante l’attività di scarico; invero
non poteva essere sufficiente la generica indicazione data ai dipendenti e riferita
dal Signorelli di stare “distanti” dal mezzo senza ulteriori specificazioni.
C2) Quanto poi alla posizione dell’imputato Re (pp. 15-16):
– dalle risultanze dibattimentale era “inequivocabilmente” emerso che lo
stesso aveva violato la norma che prevede l’obbligo in capo al datore di garantire
l’utilizzo delle attrezzature da lavoro in conformità alle istruzioni d’uso; invero,

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attività di scarico dei rifiuti e la successiva slegatura delle balle, con particolare

non solo non era stato per nulla provato che gli autisti avessero ricevuto corrette
indicazioni circa la distanza di sicurezza dei dieci metri (previsti dal manuale di
istruzione del Cargo Floor di cui vi era copia agli atti), ma, in ogni caso, e anche
a voler ritenere credibile la versione riferita dal Lombardi in sede di dibattimento,
era del tutto evidente che agli autisti non veniva fornita nessuna indicazione
circa le misure da adottare affinché tali distanze di sicurezza fossero
effettivamente garantite nel corso dell’attività di scarico. Circostanza
quest’ultima che non sorprendeva affatto se sol si considerava che lo stesso

che, secondo la sua azienda, non spettava affatto agli autisti: né garantire il
rispetto della distanza di sicurezza e neppure controllare che detta distanza
venisse rispettato dai dipendenti di Lomellina;
-d’altronde, secondo quanto riferito dal teste Lombardi, la ditta non si era
mai preoccupata di informare espressamente la ditta Lomellina Energia della
questione, invitandola a predispone apposite misure di sicurezza (quali il
transennamento dell’area o, in alternativa, lo scarico a capannone libero da
persone); era infatti emerso in concreto che l’autista aveva la possibilità di
valutare a che distanza si trovassero gli operai, soltanto ed eventualmente,
prima di dare inizio all’attività di scarico, ma non nel corso di detta attività,
allorquando, trovandosi all’interno della cabina del camion, la visuale non gli
avrebbe consentito tale controllo; quanto precede in difformità delle istruzioni
d’uso del Cargo Floor, che, laddove prevedevano una distanza di sicurezza,
correlavano detta distanza espressamente alla necessità che questa venisse
rispettata per tutto il tempo in cui il meccanismo era in funzione. Cosa che
invece non solo non avveniva di fatto ma che non veniva neppure indicata agli
autisti di garantire (motivo per cui il Lombardi in alcun modo avrebbe potuto
essere considerato responsabile del sinistro, essendo a sua volta “vittima” dello
stato di disinformazione causato dal proprio datore di lavoro).
C3) Il Giudice di primo grado ha quindi ritenuto (p. 16) che, a fronte di
tale complessivo quadro, a poco rilevava la circostanza che entrambe le ditte
coinvolte nell’infortunio organizzassero corsi di formazione, in quanto lo specifico
profilo di rischio, manifestatosi nel caso in esame, non era stato trattato con la
dovuta attenzione; con la conseguenza che gli elementi costitutivi del reato in
contestazione erano risultati “pienamente provati.”
3.3. E la Corte di appello – dopo aver osservato (p. 10) che già il fatto
che ciascuno degli imputati (ed il relativo responsabile civile) avesse riversato
sull’altro la responsabilità della inadeguatezza delle misure organizzative
prevenzionistiche dai rischi concernenti la sicurezza delle persone presenti nel
raggio d’azione del Cargo Floor durante l’attività di scarico delle balle di rifiuti,

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responsabile alla sicurezza della ditta Re aveva chiaramente riferito sul punto

palesava la situazione di totale “confusione” che regnava in quell’ambiente di
lavoro, in assenza di ogni forma anche minima di coordinamento tra le due
imprese in una fase di lavoro gravida di evidenti e consistenti rischi per la tutela
della sicurezza dei lavoratori (e di chiunque per qualsiasi ragione si fosse trovato
a transitare per quel luogo) durante l’attività di scarico di balle di rifiuti da una
tonnellata ciascuno – ha ribadito che tale situazione di confusione era indice
inequivocabile della violazione dell’obbligo di coordinamento tra le due imprese.
A) L’iniziativa di detto coordinamento, a norma dell’art.26 del TU sulla

non esimeva certo l’appaltatore (figura alla quale era assimilabile nella concreta
fattispecie la ditta Re Autotrasporti srl) dall’obbligo di informare l’altro della
situazione di carente sicurezza e della propria impossibilità di garantire il
controllo della zona di lavorazione ed il rispetto della distanza minima di
sicurezza durante la fase di scarico delle balle dal Cargo Floor, e, quindi,
dall’obbligo di sollecitare l’intervento di Lorena e di fare in modo che venissero
adottate di comune concerto quelle misure di sicurezza necessarie a fini
prevenzionistici.
All’argomentazione che precede la Corte ha aggiunto: a) ciascuna delle
due ditte si era certamente avveduta che le attività stesse si svolgevano in una
situazione di grave rischio e di totale inerzia dell’altra, non potendo i titolari delle
stesse ignorare una situazione che si protraeva da anni (e che, quindi,
concerneva modalità di lavoro ben conosciute da entrambi) e non potendo certo
bastare in una situazione di così grave rischio mere raccomandazioni verbali ai
lavoratori addetti nel corso di riunioni di lavoro, usualmente spesso disattese,
nella carenza di ogni attività di controllo sul rispetto di esse, e di adozione di ben
più incisive ed efficaci misure prevenzionistiche; b) dette più incisive ed efficaci
misure prevenzionistiche erano state ravvisate correttamente dal giudice di
primo grado nel transennamento della zona di pericolo o nella più drastica
ancora chiusura del capannone e nel divieto di accesso in esso durante la fase di
scarico suddetta (misure che la situazione di rischio certamente imponeva ove
non fosse stato in altro modo possibile garantire efficacemente il rispetto delle
distanze di sicurezza).
B) In tale ottica i giudici di secondo grado (p. 11) hanno rilevato la
incompleta valutazione del rischio nel DUVRI da parte dell’imputato Lorena;
detta incompleta valutazione non poteva essere giustificata dalla diverse
tipologie dei mezzi di trasporto e dalle diverse distanze di sicurezza di ciascuno
di essi, perché, da un lato, si poteva prevedere una distanza massima
cautelativamente uguale per tutti (o diverse distanze per ciascuno dei diversi tipi
di essi) e dall’altro, si dovevano comunque considerare, per ogni attività di

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sicurezza sul lavoro, spettava al committente (e quindi alla ditta Lorena), ma

scarico, indipendentemente dalla tipologia del mezzo che la effettuava, le misure
prevenzionistiche (transennamento e divieto di accesso durante le fasi di
scarico), evidenziate dal giudice di primo grado.
Alla luce delle suddette considerazioni, secondo i giudici di secondo grado,
perdevano di specifica consistenza le deduzioni difensive sulla assenza di nesso
di causalità tra la omessa previsione del rischio in esame nel DUVRI e
l’infortunio, perché, se fossero state adottate dette misure e ne fosse stato
imposto adeguatamente il rispetto, certamente l’infortunio non si sarebbe

appaltatrici (Aboneco e Re), essendo il pericolo derivante dalla mancata
protezione dell’ambiente di lavoro (nella fattispecie durante l’esecuzione delle
rischiose attività di scarico delle balle) riconoscibile da chiunque, senza necessità
di alcuna specifica competenza tecnica settoriale.
Ed ancora: in linea generale, secondo giurisprudenza di legittimità
(peraltro puntualmente richiamata nella sentenza impugnata) il datore di lavoro
committente, in occasione di lavori interni, ha l’obbligo: di assicurare all’interno
dell’azienda le migliori e più sicure condizioni di lavoro per chiunque vi si trovi ad
operare; di avvalersi di un’impresa che disponga dei mezzi e del personale
adeguato allo scopo, e che di tali personale e mezzi essa realmente si serva
nell’esercizio delle attività; di curare, se necessario, anche l’intervento dei suoi
operai adeguatamente formati, nonché il coordinamento con il personale della
ditta appaltatrice. Tale principio, secondo la Corte territoriale, era pienamente
pertinente anche alla fattispecie, circa il fatto che non si vertesse in ipotesi di
rischio specifico della Re Autotrasporti.
D’altra parte, Lomellina non poteva esimersi da responsabilità deducendo
che i lavori di scarico erano di competenza di Aboneco (alle cui dipendenze
lavorava la persona offesa), in quanto, anche a prescindere dal fatto che il
contratto di appalto aveva ad oggetto le “pulizie industriali”, le attività contestate
si svolgevano all’interno di spazi della Lomellina, che era interessata alle stesse e
che le controllava, con l’intervento di personale comune (nel caso in esame di
Ganzi, dipendente Lomellina), in un contesto di lavoro in cui vi era quindi
ingerenza di Lomellina e che non rientrava, quanto alle modalità di esecuzione,
nella esclusiva specifica attività discrezionale di Aboneco.
Proprio perché Lomellina era (non già mera proprietaria del capannone,
ma) committente dei lavori, il Lorena, titolare della stessa, era stato
correttamente ritenuto dal giudice di prima istanza responsabile di aver omesso
l’adozione di quelle misure organizzative e di coordinamento con le imprese
appaltatrici (o con posizione ad esse equiparate, quale per l’appunto la ditta Re
Autotrasporti) dirette alla prevenzione degli infortuni; dette misure competevano

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verificato. D’altronde, non si trattava di rischio specifico proprio delle ditte

unicamente allo stesso Lorena, quale titolare dell’impresa committente, nei cui
locali e nel cui interesse si svolgevano le lavorazioni.
Il Lorena, nell’ambito della sua posizione di vertice nella piramide
gerarchica aziendale, doveva garantire la sicurezza di tutti i lavoratori adibiti alle
relative mansioni (nonché ovviamente dei terzi eventualmente esposti a rischio),
compresi quelli aventi posizione intermedia e comunque subordinata nella scala
gerarchica (quali i capi squadra). Per tale ragione non poteva affatto ravvisarsi:
né un esonero di responsabilità del datore di lavoro committente nella qualifica

di quest’ultima, trattandosi della omessa adozione di misure organizzative
prevenzionistiche che competevano, “a monte”, al Lorena per l’appunto.
C) Quanto poi alla posizione del coimputato Re, secondo la Corte
territoriale (p.13), il giudice di primo grado aveva correttamente ravvisato la
responsabilità del Re quale titolare della ditta di autotrasporti proprietaria del
mezzo Cargo Floor: sia perché questi non aveva adempiuto l’obbligo di
informazione della committente Lomellina circa il fatto che non poteva
adeguatamente garantire le misure di sicurezza prevenzionistiche (e, quindi, non
aveva sollecitato una comune e concertata risoluzione della questione); sia
perché l’obbligo di garantire che le attività connesse all’uso del Cargo Floor si
svolgessero in condizioni di sicurezza (nella specie lo scarico delle balle di rifiuti)
competeva anche alla ditta Re Autotrasporti, quale utilizzatrice dell’automezzo,
conformemente alle istruzioni del manuale d’uso (che prevedevano il rispetto di
una distanza di dieci metri dal Cargo durante le fase di scarico). In definitiva, il
Re era titolare di posizione di garanzia concorrente con quella del committente
Lorena.
La Corte ha preso in esame l’assunto difensivo del Re (secondo il quale
era sostanzialmente impossibile garantire tali obblighi prevenzionistici, sotto il
profilo di una adeguata vigilanza del rispetto nella fase di scarico della suindicata
distanza di sicurezza), ma lo ha disatteso, in quanto, se l’autista del mezzo era
impossibilitato ad esercitare tale vigilanza nella fase di scarico, l’imputato doveva
assumere l’iniziativa di sollecitare la Lomellina ad adottare le necessarie misure
di sicurezza nell’ambito di una attività coordinata tra le due imprese nello
svolgimento di attività interferenti, e, in difetto, avrebbe dovuto rifiutarsi di
svolgere tali attività in condizioni di evidente carenza di sufficiente sicurezza;
poco importava che Re avesse impartito adeguate istruzioni all’autista sulle
distanze di sicurezza da rispettare, perché ben sapeva che l’autista stesso non
era in grado di imporre la concreta osservanza di esse; d’altronde si trattava
dell’adempimento di obblighi prevenzionistici gravanti direttamente anche
sull’utilizzatore del macchinario (ex art. 71 comma IV lett. a); il Re, quale

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(di capo squadra) rivestita dalla persona offesa e neppure una colpa concorrente

titolare della ditta di autotrasporti e datore di lavoro, era tenuto a garantire
l’incolumità dei propri dipendenti (nonché di eventuali terzi, durante le fasi di
utilizzo del macchinario); egli, essendo il titolare della ditta utilizzatrice del Cargo
Floor, doveva essere ben a conoscenza del fatto che l’autista non poteva
esercitare la necessaria adeguata sorveglianza durante lo scarico, e, pertanto,
avrebbe dovuto attivarsi per fare in modo che, anche mediante adeguato
coordinamento con il Lorena, fossero adottate le necessarie misure
prevenzionistiche, cosa che invece non aveva fatto. In definitiva, secondo la

che il rischio in esame fosse rischio specifico proprio unicamente della
committente e proprietaria dei capannoni.
3.4. La ricostruzione del fatto – concordemente operata dai due giudici di
merito di primo grado e dalla Corte territoriale con motivazione non
contraddittoria e non manifestamente illogica – non può essere rivisitata da
questa Corte, alla quale è precluso il controllo delle risultanze processuali al fine
di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito
per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali (in tal senso, tra le tante, Sez. 3, sent. n. 4115 del 27.11.1995,
1996, Beyzaku, Rv. 203272). La Corte di cassazione, nel momento del controllo
di legittimità, non deve stabilire se la decisione di merito proponga
effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne
la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, sent.
n. 1004 del 30/11/1999, 2000, Moro, Rv. 215745). D’altronde, nessuna prova ha
un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; occorre
necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale
probatorio disponibile; ed il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del
merito, non potendosi il giudice di legittimità sostituirsi ad esso (Sez. 5, Sent. n.
16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006, Rv. 233464).
Richiamato l’orizzonte dello scrutinio di legittimità, sopra delineato,
occorre quindi rilevare che la congiunta lettura di entrambe le sentenze di merito
– che, concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a
fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico complesso
corpo argomentativo (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868 del 26/6/2000, Sangiorgi, Rv.
216906) – evidenzia che i giudici di merito hanno sviluppato un conferente
percorso argomentativo, relativo all’apprezzamento del compendio probatorio,
che non soltanto risulta immune da censure rilevabili dalla Corte regolatrice ma
risulta anche conforme ai principi di questa Corte, richiamati in premessa:

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Corte, indubbia era anche la responsabilità dell’imputato Re, dovendosi escludere

a) rispetto ai ricorrenti, il verificarsi dell’infortunio ha costituito l’indubbia
concretizzazione del rischio, alla cui prevenzione era preordinata la normativa da
essi violata;
b)

i ricorrenti lamentano vizi motivazionali, ma, in realtà, invocano una

inammissibile riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, proprio con
riguardo alle inferenze che i giudici di merito hanno tratto dagli accertati
elementi di fatto, ai fini della affermazione della penale responsabilità.
D’altronde, occorre ricordare che la tenuta logica e argomentativa della

motivazionale, di talché eventuali omesse risposte o risposte, financo,
manifestamente illogiche, su censure investenti singoli aspetti della decisione
impugnata in tanto possono assumere rilievo in quanto incidano in maniera
determinante e decisiva sull’assetto motivazionale della pronuncia. Nè, del resto,
la sentenza di merito è tenuta a compiere un’analisi approfondita di tutte le
deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze
processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di
quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del
convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente (Sez.
4, sent. n. 26660 del 13/05/2011, Caruso e altro, Rv. 250900; Sez. 5, sent. n.
8411 del 21/05/1992, Chirico ed altri, Rv. 191488).

4.Non fondati sono i motivi dei ricorsi, concernenti l’asserita abnormità
della condotta tenuta dal lavoratore Sceberas.
4.1. In tema di cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare
l’offesa, la giurisprudenza di legittimità ritiene che possano considerarsi tali
quelle che diano luogo a una serie causale, sebbene non del tutto autonoma
rispetto a quella riferibile all’agente, che si atteggi in termini di assoluta
anomalia, eccezionalità e imprevedibilità (Sez. 4, sent. n. 13939 del 30/01/2008,
Bauwens, Rv. 239593).
In particolare, è stato chiarito (Sez. 4, sent. n. 7267 del 10/11/2009,
2010, Iglina, Rv. 246695) che la condotta colposa del lavoratore infortunato non
esclude la responsabilità dell’imprenditore, poiché il datore di lavoro è
destinatario delle norme antinfortunistiche proprio per evitare che il dipendente
compia scelte irrazionali che, se effettuate, possano pregiudicarne l’integrità
psico-fisica: l’imprenditore è esonerato da responsabilità soltanto nel caso in cui
il comportamento del dipendente sia eccezionale, imprevedibile, tale da non
essere preventivamente immaginabile (e non anche nel caso in cui l’irrazionalità
della condotta del dipendente sia controllabile, pensabile in anticipo, risolvendosi

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decisione impugnata deve essere correlata al complessivo costrutto del percorso

nel fare proprio il contrario di quello che si dovrebbe fare per non incorrere in
infortuni).
Con particolare riferimento alla sicurezza sul luogo di lavoro, la
giurisprudenza di legittimità ritiene che presenti efficacia interruttiva del rapporto
causale esistente tra la condotta antidoverosa del datore di lavoro e l’offesa
soltanto il comportamento abnorme del lavoratore che, per la sua stranezza e
imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei
soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul

In tale senso è abnorme soltanto la condotta del dipendente infortunato
che esuli dai limiti delle attribuzioni proprie del segmento di lavoro ad esso
attribuito, non insistendo nell’area di rischio della lavorazione svolta.
In ogni caso, quand’anche sussista una condotta colposa del lavoratore,
questa non potrà comunque spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti
destinatari di obblighi di sicurezza che abbiano violato prescrizioni in materia
antinfortunistica (Sez. 4, sent. n. 12115 del 03/06/1999, Grande, Rv. 214999),
in quanto le disposizioni prevenzionistiche hanno la funzione primaria di
eliminare o almeno ridurre i rischi per l’incolumità fisica dei lavoratori
intrinsecamente connaturati ai processi produttivi dell’attività di impresa, anche
nelle ipotesi in cui siffatti rischi derivino da condotte colpose dei prestatori di
lavoro.
4.2. Il Giudice di primo grado ha escluso (p. 16) qualsiasi causa
interruttiva del nesso causale tra la condotta degli imputati e l’evento lesivo per
effetto della condotta imprudente della persona offesa (che era transitata vicino
al camion in fase di scarico). Ciò in quanto, in mancanza di qualsiasi forma di
controllo circa il mantenimento delle distanze di sicurezza o di appositi presidi
(quali transenne) predisposte al medesimo scopo, era del tutto prevedibile che
gli operai potessero attraversare il capannone, ove prestavano le proprie
mansioni e proprio allo scopo di raggiungere lo specifico luogo dove avrebbero
dovuto svolgere la loro attività lavorativa. D’altra parte, non valeva ad escludere
o attenuare le evidenziate responsabilità la circostanza che lo Sceberas rivestisse
la qualifica di caposquadra, essendo emerso che i dipendenti di Aboneco si
limitavano di fatto ad eseguire le direttive loro impartite dagli operatori di
Lomellina, senza alcuno spazio di discrezionalità quanto alle modalità operative
delle attività da eseguire. Peraltro, in ogni caso, nell’ipotesi di infortunio sul
lavoro originato dall’assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna
efficacia causale, ai fini dell’esclusione della responsabilità del datore di lavoro,
può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato che abbia dato
occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque alla mancanza

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lavoro (Sez. 4, sent. n. 14440 del 05/03/2009, Ferraro, Rv. 243881).

o insufficienza di quelle cautele, che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare
proprio tale rischio.
4.3. E la Corte territoriale (p. 12), nel respingere le doglianze difensive
contenute negli atti di appello, dopo aver rilevato che i testi avevano riferito in
dibattimento circostanze spesso contraddittorie rispetto a quelle riferite nella
fase delle indagini e che dette contraddittorietà palesavano la scarsa attendibilità
di tutti i protagonisti della vicenda, ha osservato che dalla deposizione del teste
Chiaborrelli era emersa una circostanza fondamentale per la ricostruzione del

balle, si trovavano insieme al momento dell’infortunio, a breve distanza dal
Cargo Floor, e nella zona di “pericolo”.
Invero, il Chiaborelli aveva riferito che, proprio nel momento in cui la
balla cadde addosso allo Sceberas, il Ganzi contestualmente lo aveva strattonato
in segno di attenzione in modo che si scansasse; circostanza questa indice del
fatto che anche il Chiarobelli (oltre al Ganzi) si trovavano a breve distanza ed
erano esposti anch’essi al pericolo di caduta delle balle dalla stessa posizione.
Tale circostanza denotava la sostanziale veridicità di quanto riferito dallo
Sceberas circa appunto il fatto che si stesse già procedendo alla rimozione delle
regge, ed a breve distanza dal Cargo Floor, mentre era ancora in corso l’attività
di scarico delle balle.
Detto comportamento, secondo la Corte, era espressione di una prassi
consolidata e certamente quindi non occasionale, tollerata quantomeno dai
vertici aziendali (se non imposta, come asserito da Sceberas); ciò che escludeva,
già quindi sotto tale profilo, qualsiasi condotta ”abnorme” e “stravagante” del
lavoratore infortunato, tale da potersi porre quale fattore interruttivo del nesso
di causalità; d’altronde, il datore di lavoro è comunque responsabile per la
mancata adozione delle misure prevenzionistiche che sarebbero certamente
valse ad impedire l’evento.
4.4. Anche sotto questo profilo, entrambi i giudici di merito risultano
essersi attenuti, con motivazione esente da censura, ai principi affermati dalla
giurisprudenza di legittimità.

5.Non fondati sono i motivi dei ricorsi, concernenti l’affermato giudizio di
valenza tra le concesse attenuanti generiche e la ritenuta contestata aggravante,
nonché, più in generale, il trattamento sanzionatorio.
5.1. Come noto, in tema di valutazione dei vari elementi per la
concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di
comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del
sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte

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fatto: e cioè che tutti e tre i lavoratori, impegnati alla slegatura delle regge delle

non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, 4/7/2003 n. 36382,
Dell’Anna ed altri, n. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua”:
Sez. 6, sent. N. 9120 del 2/7/1998, Urrata, Rv. 211583), ma afferma anche che
le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed
attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono
censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o
ragionamento illogico (Sez. 3, sent. n. 26908 del 22/4/2004, Ronzoni, Rv.
229298).

principio per cui l’obbligo di motivazione è tanto più stringente quanto maggiore
sia il divario tra la pena in concreto irrogata ed il minimo edittale e che “in tema
di determinazione della misura della pena, il giudice di merito, con la
enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri
indicati nell’art. 133 c.p., assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione;
infatti, tale valutazione rientra nella sua discrezionalità e non postula un’analitica
esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto” (Sez. 2, sent. n.12749
del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754; Sez. 4, n. 56 del 16/11/1988, dep. 1989,
Spina, Rv. 180075).
5.2. Orbene, nel caso di specie, il giudice di primo grado (p. 18) – dopo
aver rilevato che il fatto accertato era aggravato dall’essere stato commesso in
violazione della normativa antinfortunistica e dall’aver cagionato alla persona
offesa una impossibilità ad attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo
superiore a 40 giorni – ha ritenuto concedibili le attenuanti generiche in misura
equivalente a dette aggravanti, in considerazione dell’incensuratezza degli
imputati (e, quanto al Lorena, in considerazione della proposta risarcitoria
effettuata prima del giudizio); e, tenuto conto dei criteri di cui all’art. 133 c.p.,
ha determinato per ciascun imputato il trattamento sanzionatorio in mesi 1 di
reclusione.
5.3. E la Corte di appello (p. 13), scrutinando la corrispondente doglianza
difensiva, ha rilevato che la pena, determinata per ciascuno degli imputati in
mesi uno di reclusione, era del tutto congrua ed adeguata al grado di colpa degli
imputati, non certo lieve; invero, era stata omessa l’adozione di misure
prevenzionistiche in una situazione di “palese altissimo rischio” per i lavoratori
addetti a quelle mansioni; d’altra parte, la “caduta” dal pianale del Cargo Floor,
durante la fase di scarico, di balle di rifiuti del peso ciascuna di una tonnellata,
avrebbe dovuto imporre adeguate misure prevenzionistiche per garantire lo
svolgimento di tale rischioso lavoro nelle condizioni di sicurezza necessarie.
Pertanto, non era applicabile la pena alternativa pecuniaria, non vertendosi
palesemente in ipotesi di colpa di grado lieve.

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Inoltre, è ricorrente nella giurisprudenza di questa l’affermazione di

La Corte territoriale ha ritenuto corretto anche il giudizio di equivalenza
tra le attenuanti generiche e le aggravanti contestate, effettuato dal giudice di
primo grado, ritenendo insussistenti ragioni per la formulazione di un giudizio di
prevalenza e per una conseguente eccessiva mitigazione della pena.
5.4. In definitiva, nel caso di specie, la determinazione della pena
(peraltro, in misura prossima ai minimi edittali) non può dirsi affatto frutto di
mero arbitrio, avendo i giudici di merito fornito adeguata e logica motivazione

6. Non fondati sono i motivi dei ricorsi concernenti la sussistenza del
danno subito dallo Sceberas e la quantificazione della provvisionale.
6.1. Occorre qui ribadire che, secondo consolidata giurisprudenza di
legittimità, non è ammesso ricorso per cassazione in tema di riconoscimento
della condanna ad una provvisionale immediatamente esecutiva. Esso costituisce
un provvedimento per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e
destinato ad essere sostituito dall’integrale risarcimento: il medesimo pertanto
non è impugnabile per Cassazione (cfr, tra le tante, Sez. 4, sent. n. 34791 del
23/06/2010, Rv. 248348).
6.2. Al riguardo, il giudice di primo grado (pp. 18- 21) ha evidenziato la
gravità delle lesioni subite dalla persona offesa (frattura della clavicola e di due
costole; plurime avulsioni dentarie; contusioni ed abrasioni multiple …), come
attestato dall’acquisita documentazione medica (compreso quella relativa agli
accertamenti effettuati dalla commissione medica Inps di Pavia nel corso degli
accertamenti per la valutazione dell’invalidità); ha ritenuto riduttive le
valutazioni del dr. Fabio Buzzi, consulente di parte dell’assicurazione RSA Group
di Genova, che aveva escluso il nesso causale tra il licenziamento e le
conseguenze dell’infortunio, essendo la situazione patologica in gran parte
preesistente, senza tuttavia rilevare alcuna spiegazione causale alternativa; ha
ritenuto in ogni caso indubbio che l’infortunio aveva quanto meno determinato
un aggravamento della situazione (anche se in parte preesistente); ha ritenuto
evidente che il danno era stato causa (o almeno concausa) del licenziamento,
senza tenere conto di tutte le altre conseguenze morali, psicologiche e familiari,
e che detto danno, non essendo compiutamente determinabile in quella sede,
avrebbe dovuto essere liquidato in separato giudizio civile, potendosi però già da
allora liquidare una provvisionale di euro 50.000, essendovi prova indubitabile
del danno almeno in tali limiti, “considerata la gravità delle lesioni subite e le
indubbie conseguenze sulla vita quotidiana che ne erano conseguite, nonché alla
luce delle conseguenze di natura patrimoniale derivanti dal licenziamento con
tutte le inevitabili, intuitive e ineliminabili ripercussioni di natura morale”.

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del trattamento sanzionatorio, come determinato.

6.3. E la Corte territoriale – nell’esaminare l’assunto difensivo (secondo il
quale non sussisterebbe prova del danno concretamente subito dallo Sceberas
per effetto dell’infortunio, e comunque del suo ammontare anche nei limiti della
provvisionale, e ciò avuto riguardo a preesistenti patologie dalle quali lo
Sceberas sarebbe stato affetto) – ha ribadito (pp. 14-15) che: la persona offesa
aveva subito molteplici lesioni fratturative, avulsioni dentarie, molteplici
contusioni; si era reso necessario un ricovero ospedaliero di ben sette giorni e
successive lunghe cure; ad un anno circa di distanza dalla data dell’infortunio era

poteva certo parlarsi di conseguenze di minima entità. D’altronde, prima
dell’infortunio, lo Sceberas eseguiva, nonostante le preesistenti patologie,
attività lavorative che richiedevano ottime condizioni fisiche; mentre, dopo
l’infortunio, tali condizioni erano state talmente compromesse da determinare un
giudizio di inabilità al lavoro ed il conseguente licenziamento da parte del datore
di lavoro (e allo Sceberas era stata riconosciuta una invalidità civile del 75%,
prima insussistente, nonostante le preg resse patologie).
In definitiva, secondo la Corte, era del tutto ragionevole ritenere, in
carenza di qualsiasi elemento che potesse denotare l’intervento di un evento
causale autonomo atipico, ossia di un evento patologico sopravvenuto, che
proprio l’infortunio aveva inciso sulle condizioni fisiche e psichiche del lavoratore,
anche sotto il profilo di un consistente aggravamento di preesistenti patologie,
tale da assumere quindi il rilievo di causa, o quantomeno concausa, di esse,
nell’ambito di una seriazione causale comunque riconducibile all’infortunio
stesso; ed allora, considerati gli ingenti pregiudizi che erano attribuibili all’evento
infortunistico, quale quantomeno concausa della situazione patologica
derivatane, la somma di 50.000 euro non era affatto eccessiva ed era
certamente congrua (anche considerando eventuali erogazioni previdenziali).

7. Per le ragioni che precedono, i ricorsi devono essere dunque rigettati
ed i ricorrenti devono essere condannati, oltre che al pagamento delle spese
processuali, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, spese che si
liquidano come da dispositivo.

22

stata ancora rilevata difficoltà di deambulazione. Per tutte queste ragioni non

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali; li condanna, inoltre, in solido, a rimborsare alla parte civile Sceberas
Nicolas Eduardo le spese sostenute per questo giudizio, spese che liquida in euro
2500 oltre accessori come per legge.

Così deciso il 26/10/2017.

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