Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53155 del 26/10/2017


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 53155 Anno 2017
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GIANNITI PASQUALE

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Paiano Antonio Francesco, nato il 14/01/1975

avverso la sentenza del 07/07/2016 della Corte di appello di Reggio Calabria;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Pasquale Gianniti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Carmine
Di Stabile, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 26/10/2017

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Palmi con
sentenza 20/05/2008, resa ad esito di giudizio abbreviato, dichiarava Paiano
Antonio Francesco responsabile:
a) del reato p. e p. dagli artt. 110 c.p., 73 comma 1 bis d.P.R. 309/90,
perché, in concorso con altri soggetti ignoti, aveva detenuto – all’interno della
cappa del caminetto della sua abitazione – a fine di spaccio, gr. 96,82 di

contenuto di principio attivo dell’1,28% pari a 1.237,50 mg. di cocaina pura);
b) del reato p. e p. dall’art. 9 comma 2 I. 1423/56, perché, sottoposto a
sorveglianza speciale con obbligo di soggiorni nel Comune di Oppido Mamertina
con decreto emesso dal Tribunale MP di Reggio Calabria – con il quale gli si
prescriveva tra l’altro di vivere onestamente e rispettare la legge – aveva
consumato la condotta di cui al capo che precede.
Il GUP, applicata la contestata aggravante, unificati i reati sotto il vincolo
della continuazione, applicata la diminuente per il rito, condannava il Paiano alla
pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione ed euro 20.000,00 di multa.

2. La Corte di appello di Reggio Calabria, chiamata a pronunciarsi
sull’appello interposto nell’interesse del prevenuto, con sentenza 26/06/2014, in
riforma della sentenza di primo grado, riqualificato il reato di cui al capo a)
nell’ipotesi di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 309/90, rideterminava la pena
inflitta in anni 2 e giorni 40 di reclusione ed euro 8.000,00 di multa, con
conferma nel resto.

3. La Terza Sezione Penale di questa Corte, adita dal Paiano, con
sentenza n. 29901 dell’11/06/2015 annullava la sentenza 26/6/2014,
limitatamente al trattamento sanzionatorio circa il reato di cui all’art. 73 comma
5 d.P.R. 309/90, con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria, non avendo il
primo giudice di appello indicato le ragioni per cui aveva ritenuto di applicare la
pena di anni 3 di reclusione, cioè una pena che si poneva al limite del massimo
edittale di anni 4 di reclusione.

4. La Corte di appello di Reggio Calabria, quale Giudice di rinvio, con la
sentenza impugnata ha rideterminato la pena inflitta a Paiano Francesco in anni
1 e mesi 6 di reclusione ed euro 6000,00 di multa, previa conferma del diniego
della concessione delle attenuanti generiche, secondo il seguente criterio di
calcolo: pena base, anni 2 e mesi 1 di reclusione ed euro 7 mila di multa, in

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miscuglio a base di cocaina (nello specifico si era accertata la presenza di un

ragione della qualità dello stupefacente detenuto (cocaina); aumentata di mesi

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di reclusone ed euro 1000 di multa per effetto della recidiva contestata e di
ulteriore mesi 1 di reclusione per il reato di cui al capo b e, così,
complessivamente ad anni 2 e mesi 3 di reclusione, ridotta per il rito alla pena
finale di anni 1 e mesi 6 di reclusione.

5. Avverso la sentenza del Giudice di rinvio, tramite difensore di fiducia,
propone ricorso l’interessato, articolando due motivi di ricorso.

del principio devolutivo, fissati dall’art. 597 commi 1, 3 e 4 c.p.p..
Il ricorrente deduce che la Corte territoriale non si sarebbe uniformata al
principio di diritto espresso nella sentenza di annullamento ed avrebbe violato il
divieto di reformatio in peius, in quanto avrebbe determinato la pena base per il
fatto di lieve entità in misura superiore alla pena base individuata dal primo
Giudice per la condotta di reato più grave di cui all’art. 73 comma 1 bis d.P.R.
309/90, dimenticando che, nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius
comporta che il giudice di appello – laddove escluda una circostanza aggravante
ovvero accolga il gravame in relazione a reati concorrenti o derubrichi il reato
ovvero (come nel caso di specie) riqualifichi il fatto in una fattispecie meno grave
– deve necessariamente ridurre (non soltanto la pena complessivamente
irrogata, ma anche) tutti gli elementi che rilevano nel calcolo della pena stessa.
5.2. Nel secondo si denuncia vizio di motivazione in punto di
determinazione del trattamento sanzionatorio.
Il ricorrente deduce che nella sentenza impugnata la Corte territoriale
avrebbe omesso di indicare i criteri utilizzati ai fini della determinazione della
pena (peraltro proporzionalmente maggiore rispetto a quella ritenuta nel giudizio
di primo grado per una condotta più grave).

6. Il ricorso è inammissibile.
6.1. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso, in quanto,
secondo consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le tante, Sez. 3, sent.
n. 13223 del 3/12/2015, 2016, Rv. 266767), non viola il divieto di reformatio in

peius, previsto dall’art. 597 comma 3 c.p.p.,la sentenza di secondo grado che,
nell’ipotesi di successione di legge più favorevole, nel riformare la pronuncia di
primo grado, impugnata dal solo imputato, abbia ridotto la pena in termini
assoluti, pur non attestandosi allo stesso punto della forbice edittale da cui si era
mosso il giudice di primo grado.
Tanto è avvenuto nel caso di specie, nel quale il giudice di primo grado,
intervenendo in una forbice edittale compresa tra i 6 ed i 20 anni di reclusione,

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5.1. Nel primo si denuncia violazione del divieto di reformatio in peius e

aveva determinato la pena base in anni 6 e mesi 4 di reclusione (e quindi in
misura prossima al minimo edittale, previsto dalla normativa all’epoca vigente);
mentre il Giudice di rinvio, intervenendo quale giudice di secondo grado nella
(rideterminata in via legislativa) forbice edittale compresa tra mesi 6 ed anni 4 di
reclusione, ha rideterminato la pena base in anni 2 e mesi 1 di reclusione (cioè in
misura superiore al minimo edittale, ma inferiore in termini assoluti alla pena
irrogata in primo grado).
6.2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso, in

legittimità, la giurisprudenza di legittimità non solo ammette la c.d. motivazione
implicita (Sez. 6, sent. n. 36382 del 22/09/2003, Dell’Anna, Rv. 227142) o con
formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua”: cfr. Sez. 4, sent. n. 9120 del
4/08/1998, Urrata, Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al
giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in
riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione
solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, sent. n.
26908 del 16/06/2004, Ronzoni, Rv. 229298).
Evenienza questa che non sussiste nel caso di specie nel quale il Giudice
dell’abbreviato ha escluso la possibilità di riconoscere all’imputato le attenuanti
generiche in considerazione dei di lui precedenti penali (risultanti dal certificato
penale); mentre la Corte di appello, nel rideterminare la pena per le ragioni
sopra indicate, ha confermato la non concedibilità delle attenuanti generiche ed
ha determinato la pena base in anni 2 e mesi 1 di reclusione in ragione della
qualità della sostanza stupefacente detenuta (cocaina).
6.3. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento a
favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo
determinare nella misura indicata in dispositivo.

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quanto, in punto di dosimetria della pena e di limiti del relativo sindacato di

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000 in favore della cassa delle
ammende.

Così decisø il 26/19/2017.

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