Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53150 del 28/09/2017


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 53150 Anno 2017
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: RANALDI ALESSANDRO

SENTENZA
sutricorsct propost% da :
dalla parte civile MAZZARA CONCETTA nato il 21/12/1973 a NAPOLI
dalla parte civile PERRELLA EMILY nato il 06/11/1998 a NAPOLI
dalla parte civile DE MARTINO IMMACOLATA nato il 02/10/1964 a NAPOLI
dalla parte civile ESPOSITO ANNA nato il 05/01/1940 a NAPOLI
dalla parte civile PERRELLA RAFFAELE nato il 02/12/1957 a NAPOLI
dalla parte civile PERRELLA PATRIZIA nato il 09/12/1959 a NAPOLI
dalla parte civile PERRELLA ANNA nato il 27/09/1961 a NAPOLI
dalla parte civile PERRELLA PAOLO nato il 01/02/1967 a NAPOLI
dalla parte civile PERRELLA CARLO nato il 30/11/1975 a NAPOLI
dalla parte civile PERRELLA ALFREDO
nel procedimento a carico di:
BELLISARIO AMEDEO nato il 13/03/1949 a NAPOLI
inoltre:
PARTE CIV.
RESP. CIV.
avverso la sentenza del 16/11/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO RANALDI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GABRIELE

Data Udienza: 28/09/2017

MAZZOTTA
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto dei ricorsi.
Udito il difensore
E’ presente l’Avv. Campone Luigi del foro di Napoli per la parte civile Perrella
Alfredo e chiede Annullamento con rinvio della sentenza della C.A. di Napoli ai
soli effetti civili, deposita conclusioni e nota spese.
Anna, Perrella Raffaele, Perrella Patrizia, Perrella Anna, Perrella Paolo, Perrella
Giuseppe e Perrella Carlo. Chiede l’annullamento della sentenza della C.A. di
Napoli e deposita conclusioni e nota spese.
e’ presente l’Avv. Dell’Orfano Lumeno del foro di Napoli per le parti civili Mazzara
Concetta, Perrella Ennilj e De Martino Immacolata. Chiede l’annullamento della
sentenza della C.A. di Napoli e deposita conclusioni e nota spese.
Per Bellisario Amedeo e’ presente l’Avv. Bartolino Gennaro del foro di Torre
Annunziata che chiede il rigetto dei ricorsi.

2

E’ presente l’Avv. Rumolo Antonio del foro di Napoli per le parti civili Esposito

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16.11.2016 la Corte di appello di Napoli, in riforma della
sentenza emessa dal Tribunale di Napoli, appellata da Amedeo Bellisario, ha
assolto quest’ultimo dal reato di omicidio colposo in danno di Pasquale Perrella, il
quale in data 19.2.2005 era stato trasportato d’urgenza all’Ospedale San Paolo
di Napoli perché attinto in regione toracica da un colpo d’arma da fuoco esploso
dai Carabinieri nel corso di un inseguimento, e quindi ricoverato in condizioni

miglioramento, il Perrella venne dimesso e trasferito presso il Centro Diagnostico
terapeutico della Casa Circondariale di Napoli – Poggioreale. Successivamente, il
2 marzo, a seguito di un comportamento aggressivo del detenuto, il Perrella fu
trasferito in stanza singola in regime di isolamento disciplinare; qualche giorno
dopo, il 7 marzo, in ragione di un brusco peggioramento delle sue condizioni
cliniche per shock emorragico, se ne dispose il trasferimento all’Ospedale
Cardarelli, ove giunse cadavere.

2. Al Bellisario – in qualità di medico di guardia della Casa Circondariale di
Poggioreale che visitò il detenuto Perrella nei giorni 2, 3 e 5 marzo 2005, mentre
questi si trovava in isolamento – si contesta di aver colposamente omesso di
valutare adeguatamente l’evoluzione peggiorativa del quadro clinico del
paziente, omettendo di controllarlo nei giorni 6 e 7 marzo 2005, così
contribuendo al decesso del Perrella.

3. Avverso tale sentenza propongono distinti ricorsi, ai soli effetti civili, le
parti civili (Concetta Mazzara e altri) assistite dagli avvocati Lumeno Dell’Orfano
e Antonio Runnolo, nonché la parte civile (Alfredo Perrella) assistita dall’avvocato
Luigi Campone.

4.

Le parti civili assistite dagli avvocati Lumeno Dell’Orfano e Antonio

Rumolo lamentano la nullità della sentenza per violazione di legge e vizi di
motivazione.
I) Deducono che la sentenza impugnata sposa le conclusioni di una perizia
disposta dalla stessa Corte territoriale (espletata dai dottori Paludi e Mezzetti),
condividendone acriticamente le conclusioni ed omettendo di indicare le ragioni
dell’inattendibilità del consulenti del PM e della parte civile.
Rilevano che l’accertamento peritale non avrebbe risposto sulla condotta
esigibile del Bellisario e sulle conseguenze cliniche del comportamento dovuto.
Evidenziano i seguenti profili di criticità della sentenza:

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gravissime. Cinque giorni dopo il ricovero, constatato un progressivo

A) Erronea attribuzione di colpa nei confronti dei sanitari dell’Ospedale San
Paolo che ebbero a ricevere il paziente in rianimazione nell’occasione del suo
ferimento;
B) Netto miglioramento delle condizioni di salute del Perrella durante il
primo periodo di degenza presso il Centro Diagnostico Terapeutico di
Poggioreale, nonostante i periti della Corte di appello siano stati recalcitranti a
riconoscere questo dato obiettivo;
C) Il trattamento sanitario in regime di isolamento sarebbe stato ricostruito

sostiene che all’interno del carcere le visite venivano effettuate solo a richiesta
del detenuto e che il Bellisario non poteva conoscere la effettiva situazione
clinica del detenuto né potersi attivare in assenza di richiesta di visita senza
incorrere nel reato di cui all’art. 328 cod. pen. Ciò difformemente da quanto
riferito dal direttore del carcere di Poggioreale, dr. Acerra, ed in contrasto con la
prescrizione di adeguati controlli giornalieri nel luogo di isolamento, anche da
parte di un medico, ex art. 73, comma 7, d.P.R. n. 230/2000.
L’assenza di annotazioni in cartella nei giorni 2, 3, 4, 5 e 7 marzo dimostra il
completo disinteresse del medico in ordine alle condizioni di salute del detenuto,
posto che con un semplice ematocrito e con la misurazione dei valori pressori si
sarebbe potuto accertare la presenza di una piccola emorragia sin dal giorno 2.
II) Lamentano la violazione dell’art. 157, comma 7, cod. proc. pen. in
relazione alla rinuncia alla prescrizione del Bellisario così come proposta dal suo
difensore.
Deducono che la prescrizione del reato era maturata ancor prima della
scadenza per la presentazione dell’appello e che nell’impugnazione dell’imputato
non vi era alcuna dichiarazione di rinunzia alla prescrizione. Solo all’udienza del
29.10.2014 dinanzi alla Corte di appello veniva depositata dal difensore di fiducia
dichiarazione di rinuncia sottoscritta dal Bellisario ed autenticata dal difensore.
Rilevano che la mera autentica del difensore in assenza di una procura
speciale ad hoc non garantisce la certezza della manifestazione di volontà e non
assolve l’obbligo della forma espressa.

5. La parte civile assistita dall’avvocato Luigi Campone deduce i seguenti
motivi.
I) Difetto di motivazione in relazione alla enunciazione delle ragioni in forza
delle quali la sentenza di condanna emessa in primo grado dal Tribunale
meritava di essere riformata.
Deduce che il giudice di appello ha omesso l’esame approfondito di tutti gli
elementi probatori acquisiti e delle argomentazioni contenute nel provvedimento

4

erroneamente dalla Corte di appello, secondo le conclusioni del perito che

appellato, omettendo di sottoporre a pregnante indagine critica le ragioni
espresse nella pronuncia di primo grado e senza adeguatamente confutarle.
II)

Manifesta illogicità della motivazione, che si fonda sul riconoscimento

della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen. (adempimento di un dovere) e sulla
insussistenza del nesso causale tra condotta ed evento.
Osserva che secondo la Corte di appello l’imputato si sarebbe trovato di
fronte ad un divieto di agire, quale discendenza di un dovere, in relazione alla
regola rappresentata dal dovere di visitare i pazienti in isolamento solo dietro

una tale conclusione fa leva sulle circostanze emerse nel corso dell’esame
testimoniale del dr. Acerra (all’epoca direttore del carcere), di cui il ricorrente
denuncia l’evidente travisamento.
Deduce che la scriminante dell’adempimento di un dovere può essere
riconosciuta nel caso in cui la condotta colposa dell’agente derivi
dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline imposte da disposizioni
o direttive superiori, ma non può trovare spazio nelle ipotesi di delitto colposo
allorquando la condotta riferibile all’agente che ricopre una posizione di garanzia
sia caratterizzata da negligenza o imprudenza (Sez 1, sent. n. 2011/20123).
III)

Contraddittorietà della motivazione in relazione al travisamento della

testimonianza del dr. Acerra, che diversamente da quanto ritenuto in sentenza
non ebbe mai ad affermare, nel delineare il rapporto di lavoro con il dr.
Bellisario, la vigenza di un dovere in virtù del quale l’imputato “doveva” visitare il
detenuto Perrella soltanto dietro sua espressa richiesta.
IV)

Contraddittorietà della motivazione in relazione al contegno del dr.

Bellisario che, secondo la sentenza, da un canto aveva l’obbligo di non visitare
sua sponte i pazienti e, dall’altro, procedeva, pur in mancanza di una espressa
richiesta del paziente detenuto, a compiere interventi sul medesimo di carattere
medico, benché immotivatamente ritenuti dei meri «rilievi di passaggio».

6. Con memoria depositata il 11.9.2017 l’avv. Campone ha proposto motivi
nuovi con i quali si approfondiscono gli aspetti che afferiscono alla rilevata
illogicità della motivazione della sentenza impugnata in relazione all’applicazione
della scriminante dell’adempimento del dovere.
Deduce che il tessuto normativo previsto dal legislatore (art. 11, commi 5 e
6, I. 354/75) consente di affermare che il sanitario, da un canto, ha un cogente
obbligo di visitare ogni giorno gli allettati e coloro che ne facciano richiesta e,
dall’altro, non è esonerato dal dovere di prestare assistenza ai detenuti, con
periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati.

5

richiesta di questi ultimi ovvero su ordine sanitario della struttura carceraria. Ma

Rileva che non è dato comprendere in che misura un adeguato rnonitoraggio
del Perrella da parte del Bellisario avrebbe prodotto una lesione dei diritti degli
altri internati, esponendolo – come ritenuto in sentenza – ad un procedimento
penale per omissione di atti di ufficio.
Lamenta che la Corte napoletana non spiega, attesa la ritenuta scarsa
possibilità salvifica del detenuto, in che misura anche un eventuale intervento da
parte del sanitario avrebbe inciso sull’exitus.

che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

8.

Il Ministero della Giustizia, quale responsabile civile, con memoria

depositata il 31.8.2017, rappresenta di non aver ricevuto notifica del ricorso per
cassazione e chiede che ne sia ordinata la rinnovazione onde consentirgli di
conoscere i motivi di ricorso e di espletare attività difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, sulla richiesta di rinvio avanzata dal Ministero per
disporre la rinnovazione della notifica del ricorso, si osserva che la stessa non
può trovare accoglimento. Infatti, in sede di giudizio per cassazione non è dovuta
alcuna notifica del ricorso alla parte privata, atteso che la norma che la prevede
(art. 584 cod. proc. pen.) è funzionale e trova esclusiva applicazione al giudizio
di appello, ai fini della eventuale presentazione ad opera della controparte di un
ricorso incidentale, atto che non è ammesso né previsto in cassazione.
Corrisponde, dunque, ad un costante orientamento della Corte regolatrice il
principio per cui l’omessa notificazione alle parti private del ricorso in cassazione
non produce alcun effetto processualmente rilevante e nemmeno alcuna lesione
dei diritti di difesa, atteso che in sede di legittimità non è consentita alcuna
impugnazione incidentale, e il diritto alla piena conoscenza degli atti processuali
è comunque assicurato dalla notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza, nella
specie ritualmente eseguita (Sez. 3, n. 15752 del 18/02/2016, P.M. in proc.
Biancardi e altri, Rv. 26683401; Sez. 2, n. 44960 del 30/09/2014, Simec Spa e
altri, Rv. 26031901).

2. Per quanto attiene alla questione sollevata dai ricorrenti in merito alla
pretesa invalidità della rinuncia alla prescrizione da parte dell’imputato,
logicamente pregiudiziale rispetto agli altri motivi di censura, si deve in primo
luogo osservare che la parte civile non può ritenersi legittimata ad interloquire in

6

7. Il difensore dell’imputato, con memoria depositata il 13.9.2017, chiede

tema

di

rinuncia alla prescrizione del Bellisario, trattandosi di diritto

personalissimo dell’imputato stesso, costituzionalmente tutelato (a seguito
dell’intervento della Corte costituzionale che, con sentenza n. 275/1990, dichiarò
l’illegittimità costituzionale del previgente art. 157 cod. pen. nella parte in cui
non prevedeva che la prescrizione del reato non potesse essere rinunciata
dall’imputato, e ciò in ragione della ritenuta violazione del diritto di difesa
dell’accusato, inteso come diritto al giudizio e alla prova), e quindi tale da non
poter trovare ostacoli nell’opposizione di una parte processuale che non ha

che il ricorso debba essere comunque valutato sul versante civilistico.
In ogni caso la doglianza si rivela certamente infondata nel merito, posto
che dagli atti si evince che la rinuncia alla prescrizione è stata presentata
tempestivamente e personalmente dall’imputato con dichiarazione da lui
sottoscritta e autenticata dal difensore. Nulla vieta che la dichiarazione di
rinuncia alla prescrizione sia formulata per iscritto, né si ha motivo di dubitare
della provenienza della dichiarazione scritta in questione dall’imputato, stante
l’autentica della sua firma apposta dal difensore fiduciario. Il codice di rito non
prevede al riguardo forme sacramentali: la disposizione di cui al comma settimo
dell’art. 157 cod. pen. si limita a stabilire che
espressamente rinunciabile dall’imputato».

«la prescrizione è sempre

Ciò che conta, dunque, è che la

rinuncia sia formulata dall’imputato con una dichiarazione di volontà (orale o
scritta) espressa e specifica (Sez. U, n. 43055 del 30/09/2010, Dalla Serra, Rv.
24837901).

3. Passando ai rilievi dei ricorrenti che attengono alla critica della tenuta
logico-giuridica delle argomentazioni della Corte di appello in merito al
proscioglimento dell’imputato, che possono essere trattati congiuntamente in
quanto fra loro intimamente connessi, si ritiene che gli stessi debbano essere
accolti nei termini di seguito precisati.

4.

Un primo vizio della sentenza impugnata è quello di aver applicato

impropriamente la scriminante dell’art. 51 cod. pen., a fronte di una imputazione
che addebita al prevenuto una condotta negligente ed imprudente nel
trattamento sanitario del detenuto.
Infatti, è stato già chiarito dalla Corte di cassazione che la scriminante
relativa all’adempimento di un dovere, prevista dall’art. 51 cod. pen., è
configurabile nel caso in cui la condotta colposa dell’agente derivi
dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline imposta da direttive o
disposizioni superiori, mentre la stessa non può essere riconosciuta nelle ipotesi

7

neanche uno specifico interesse ad opporvisi, poiché la prescrizione comporta

di delitto colposo, quando la condotta riferibile all’agente che ricopre una
posizione di garanzia sia caratterizzata da un atteggiamento di negligenza o
imprudenza (Sez. 1, n. 20123 del 20/01/2011, P.C. in proc. Lops e altri, Rv.
25002701). In proposito, è stato rilevato che l’esimente dell’adempimento di un
dovere è in pieno e palese contrasto logico-giuridico con un atteggiamento
psichico di colpa per negligenza ed imprudenza, vale a dire di trascuratezza ed
avventatezza, in sostanza di mancanza della sufficiente e corretta cura che la
situazione (alla quale l’imputato è chiamato quale titolare della posizione di

evidenza come non si possa essere né negligenti, né imprudenti, ed in definitiva
inadeguati alla bisogna, per comando o direttiva di un superiore.

5. Ma sono viziati gli stessi presupposti fattuali e giuridici che stanno alla
base della sentenza impugnata.

6. La Corte di appello afferma che il Bellisario operò nel contesto di un
ambiente (quello dell’isolamento carcerario) che poneva delle specifiche regole,
fra le quali quella di dover visitare i pazienti in isolamento solo a richiesta degli
stessi o, comunque, su specifico ordine del direttore sanitario della struttura
carceraria. Dall’adempimento di un simile dovere discenderebbe l’insussistenza
del fatto sotto il profilo del dovere di attivarsi da parte del medico.

7. Tuttavia, è stato giustamente osservato dalle parti ricorrenti che un simile
assunto, sul piano fattuale, è frutto del travisamento della prova costituita dalle
dichiarazioni del direttore del carcere (Acerra), che non ha mai detto che sul
sanitario incombesse il “dovere” di visitare il Perrella soltanto dietro sua espressa
richiesta. Le dichiarazioni dell’Acerra, allegate ai ricorsi, sono invece nel senso
che il medico incaricato del reparto «è libero (…) di potere andare a visitare
anche le persone che ritiene abbiano situazioni di urgenza o che deve (…)
seguire» (trascrizione ud. 16.10.2012, pag. 13); l’Acerra ha ribadito che «al di
fuori della richiesta, è chiaro che se ci troviamo dinanzi a un soggetto che aveva
bisogno anche di essere visto più volte, lo potevano visitare sia il medico del
reparto, e sia anche (…) il pronto soccorso» (pag. 14).

8. Ma le più gravi carenze della sentenza impugnata si configurano sul piano
della erronea interpretazione della legge, in riferimento alle particolari cautele
previste in sede carceraria per la tutela sanitaria del detenuto.
8.1. Invero, la circostanza che il Perrella fosse stato, per motivi disciplinari,
escluso dalle attività in comune, comportava l’applicazione della disciplina di cui

8

garanzia) di fatto richiede, infatti, già sul piano strettamente logico, è di tutta

all’art. 39 della legge n. 354/1975 (c.d. Ordinamento penitenziario), che
prevede, sotto il profilo della tutela della salute del detenuto, due regole
cautelari: 1) il rilascio da parte del sanitario di una certificazione scritta
attestante che la persona può sopportare tale sanzione; 2) la sottoposizione del
detenuto, in corso di esecuzione della sanzione, a «costante controllo sanitario».
8.2. Il sistema dell’assistenza sanitaria penitenziaria, disciplinato dall’art. 11
della legge n. 354/1975, prevede che in ogni istituto penitenziario vi siano un
servizio medico ed un servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche

dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria; cure ed accertamenti
diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari dell’istituto
vengono eseguiti previo trasferimento del detenuto in ospedali o luoghi di cura
esterni. Con specifico riguardo alle visite mediche, è prevista una visita medica
generale all’atto dell’ingresso nell’istituto allo scopo di accertare eventuali
malattie fisiche o psichiche; i sanitari hanno l’obbligo di visitare quotidianamente
gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta e di segnalare immediatamente la
presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche.
8.3. Nella specie la Corte territoriale ha ritenuto che l’obbligo dei Bellisario di
effettuare le visite mediche fosse previsto con esclusivo riferimento alle ipotesi di
espressa richiesta del detenuto o di specifico ordine del direttore sanitario della
struttura carceraria.
8.4. Una simile impostazione è frutto di una erronea interpretazione dei
principi normativi nazionali e sovranazionali che regolano la materia.
8.4.1. La tutela del diritto alla salute delle persone private della libertà
personale si ricava, in primo luogo, in via interpretativa dalla Dichiarazione
Universale dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione EDU, che sostanzialmente
fanno riferimento al divieto di sottoporre i detenuti a trattamenti disumani e
degradanti, sulla scorta di principi giurisprudenziali ricavati dalla Corte EDU, che
riconducono il diritto alla salute nell’alveo dei diritti garantiti in ambito
internazionale, quale corollario del diritto alla vita e della dignità umana.
8.4.2. Vi sono, poi, le Regole penitenziarie europee, ove si afferma che la
finalità del trattamento consiste nel «salvaguardare la salute e la dignità» dei
condannati nella prospettiva del loro reinserimento sociale (art. 3 delle Regole
penitenziarie europee), nonché la deliberazione approvata dall’ONU (dicembre
1982) in materia di «Principi di etica medica per il personale sanitario in ordine
alla protezione dei detenuti», nella quale è previsto che «gli esercenti le attività
sanitarie incaricati di prestare cure a persone detenute o comunque private della
libertà, hanno il dovere di proteggerne la salute fisica e mentale, nello stesso
modo che li impegna nei confronti delle persone libere».

9

e di cura della salute dei detenuti e degli internati e che si disponga, inoltre,

8.4.3. Tali principi e regole si pongono in linea sia con il principio di
umanizzazione sia con la finalità rieducativa della pena, se ed in quanto entrambi
postulano il perseguimento di una piena ed efficace tutela del diritto alla salute
del condannato, posto che solo una condizione di benessere psico-fisico dello
stesso può garantire il suo recupero e perciò il suo reinserimento sociale. In tal
senso quindi, in ossequio all’art. 27 Cost. ed ai suoi corollari, il detenuto ha
diritto alla tutela della sua salute sia fisica che mentale, posto che in effetti la
pena può svolgere la propria funzione rieducativa verosimilmente su una persona

8.4.4. Inoltre, al fine di meglio garantire il diritto inviolabile in questione, la
riforma della medicina penitenziaria (d.lgs. 22 giugno 1999, n.230) ha previsto il
trasferimento della sanità degli istituti di pena dal Ministero della Giustizia al
Servizio sanitario nazionale, con ciò – in ossequio al principio di sussidiarietà
verticale – imponendo la collaborazione e la integrazione, ciascuna nel proprio
ambito, alle diverse istituzioni dello Stato.
8.5. L’interpretazione della legge adottata nella sentenza impugnata non
considera che l’art. 11 dell’Ordinamento penitenziario, nella seconda parte del
comma 5, dispone che l’assistenza sanitaria sia prestata, nel corso della
permanenza nell’istituto «con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente
dalle richieste degli interessati», con ciò ponendo un obbligo di controllo delle
condizioni sanitarie generali dei detenuti, che deve essere periodico e frequente,
specie in presenza di situazioni soggettive meritevoli di particolare attenzione, in
considerazione di peculiari condizioni psico-fisiche derivanti anche da una
pregressa storia clinica che caratterizzi il detenuto come soggetto
potenzialmente “a rischio” sanitario. Da questo punto di vista il Perrella rientrava
appieno nella categoria, avendo subito solo pochi giorni prima un rilevante
trauma toracico, consistente in una ferita da arma da fuoco trapassante il
polmone destro.
8.6. Più in generale, va ricordato che la possibilità per il detenuto di fruire di
cure mediche appropriate anche nella condizione di restrizione carceraria, oltre a
porsi in linea con la normativa di principio, costituisce il presupposto fondante la
linea di demarcazione tra la compatibilità e l’incompatibilità delle condizioni
psico-fisiche della persona con il regime carcerario (Sez. 1, n. 16681 del
24/01/2011, Buonanno, Rv. 24996601); tale rilievo, desumibile dal sistema di
norme costituito dagli artt. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen., 147 n. 2 cod.
pen. e 47 ter, comma 1-ter, I. n. 354/1975, impone un’interpretazione del testo
normativo conforme all’obiettivo di associare la privazione della libertà personale
al costante controllo delle condizioni di salute della persona (cfr. in tal senso e

10

mentalmente in grado di comprenderne la portata e il significato.

per la ricostruzione del quadro legislativo riportato in questo paragrafo, Sez. 4,
n. 25576 del 11/05/2017, P.M., P.C. in proc. Aloise, Rv. 27032801).

9. In definitiva, ed a prescindere da eventuali colpe concorrenti di altri
operatori sanitari, la sentenza impugnata è carente, sotto il profilo logicogiuridico, proprio nella parte in cui esclude la responsabilità omissiva del
Bellisario – per quanto attiene alla sua specifica posizione di garanzia all’interno
del reparto in cui era stato collocato il detenuto – sul presupposto che il medico

altrimenti la possibile contestazione nei suoi confronti della previsione di cui
all’art. 328 cod. pen.
Dal quadro normativo di riferimento innanzi delineato si ricava, invece, il
principio esattamente opposto: il medico, tenuto conto della storia clinica
pregressa del detenuto (trauma toracico al polmone conseguente a ferita da
arma da fuoco), aveva il precipuo dovere di attivarsi per monitorare con
attenzione la situazione medica del paziente, con visite approfondite e non con
meri “rilievi di passaggio”, all’occorrenza segnalando alla direzione carceraria la
necessità di trasferire il detenuto in una struttura sanitaria idonea a curarlo
adeguatamente.

10. Sotto altro profilo coglie nel segno la censura dei ricorrenti in ordine alla
dedotta carenza motivazionale della sentenza impugnata, nella parte in cui non
viene fornita alcuna specifica spiegazione sul motivo per cui è stato ritenuto che
se al Perrella fossero state praticate le opportune terapie (che non vengono
neanche indicate), le conseguenze delle ferite da arma da fuoco avrebbero
condotto ugualmente, con alta probabilità, all’exitus.
Si tratta in effetti del passaggio finale della sentenza, alquanto fugace e
sbrigativo, in cui la Corte territoriale, richiamando le «frettolose» dimissioni del
paziente da parte dei medici dell’ospedale San Paolo e la
spregiudicata collocazione in isolamento del Perrella»,

«inopportuna e

opina come le stesse

avrebbero «posto in essere le quasi sicure condizioni del decesso del Perrella»,
senza agganciare una simile valutazione a puntuali evidenze probatorie, al di là
della generica opinione espressa dal dott. Mezzetti, a sua volta non supportata
da concreti riscontri di carattere medico-scientifico pertinenti al caso in esame.
E’ evidente che in questi termini la motivazione è apparente ed apodittica,
risolvendosi in una argomentazione di carattere congetturale che configura in
pieno il denunciato vizio motivazionale ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc.
pen.

11

non avrebbe potuto “agire” senza la richiesta del detenuto, addirittura invocando

11. Conclusivamente, la sentenza deve essere annullata agli effetti civili, con
rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di
appello, cui è demandato il regolamento delle spese tra le parti anche per questo
giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili e rinvia per nuovo esame al

regolamento delle spese tra le parti anche per questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 28 settembre 2017

giudice civile competente per valore in grado di appello cui rimette il

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