Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53148 del 28/09/2017


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 53148 Anno 2017
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: BELLINI UGO

SENTENZA

sukricorscuropcisto da:
CESARANO GAETANO N. IL 03/10/1982
GIALLONARDI RENATO N. IL 06/06/1970
IGE MUSA MOHAMMED N. IL 29/12/1959
OGEDENGBE OBOH N. IL 15/04/1972

avverso la sentenza n. 4164/2015 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
06/04/2016
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/09/2017 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO BELLINI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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Data Udienza: 28/09/2017

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di Appello di Napoli, con sentenza resa in data 6 Aprile 2016,
confermava in punto di responsabilità penale la sentenza del Tribunale di
Napoli che aveva riconosciuto IGE MUSA Mohammed colpevole del reato di
partecipazione ad associazione criminosa per la importazione dalla Nigeria

cessione di stupefacenti, CESARANO Gaetano di una unica contestazione
relativa a sei acquisti di stupefacente da IGE MUSA, GIALLONARDI Renato
colpevole dei fatti contestati in quattro imputazioni, relativi a detenzione e
cessione di sostanza stupefacente, di cui due a titolo di tentativo e
OGEDENBE Oboh colpevole di un unico episodio di detenzione di sostanza
stupefacente in concorso con il GIALLONARDI (capo 13).
Gli imputati in primo grado venivano condannati rispettivamente:
a)

GIALLONARDI Renato alla pena di anni sei mesi quattro gg.15 di
reclusione ed C 26.500 di multa.

b) IGE MUSA Mohammed alla pena di anni 15 mesi 6 di reclusione.
c)

OGENDENGBE Oboh alla pena di anni nove di reclusione ed C
30.000 di multa.

d)

CESARANO Gaetano alla pena di anni sei mesi dieci di reclusione ed
C 25.000 di multa

Il giudice di appello poi, in relazione alle posizioni di GIALLONARDI Renato
e OGENDENGBE Oboh, riconosceva il vincolo della continuazione con i fatti
già giudicati con sentenze 6.5.2008 del Tribunale di Cassino per il
GIALLONARDI e della Corte di Appello di Napoli in data 10 Maggio 2006 per
l’OGEDENGBE e rideterminava la pena per GIALLONARDI Renato in anni
sette mesi quattro gg.15 di reclusione ed C 32.500,00 e per l’OGEDENGBE
in anni dieci mesi sei di reclusione e C 35.000 di multa.

3. Avverso la sentenza proponevano ricorso tutti e quattro i predetti
imputati.
3.1 CESARANO Gaetano proponeva una duplice impugnazione.
Con la prima, a ministero dell’avv.to Giovanni Caiazzo, deduceva violazione
di legge e vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento della
circostanza attenuante della collaborazione operosa di cui al comma VII
dell’art.73 D.p.r. 309/90, laddove in virtù della propria testimonianza era
stato possibile attribuire al coimputato IGE MUSA la responsabilità per i
fatti di cui al capo di imputazione sub.30, laddove il giudice di appello, a
l

di quantitativi di stupefacente, nonché di sei contestazioni di detenzione e

fronte della richiesta formulata nell’atto di appello, si era limitato ad
affermare che la collaborazione del CESARANO era stata apprezzata
adeguatamente con il riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche, senza peraltro evidenziare le ragioni del mancato
riconoscimento della circostanza attenuante reclamata.
3.2 Con una distinta impugnazione, a ministero dell’avv.to Antonio DI
MICCO, l’imputato era a denunciare un difetto motivazionale sulla
determinazione della pena anche con riferimento agli aumenti apportati per

3.3 II CESARANO presentava motivi aggiunti con memoria depositata in
data 6 luglio 2017 richiamando giurisprudenza a sostegno delle proprie
articolazioni e insistendo per l’annullamento della sentenza con riferimento
all’omesso riconoscimento della circostanza speciale della collaborazione.

4. GIALLONARDI Renato proponeva un unico motivo di ricorso con il
quale deduceva violazione di legge e difetto di motivazione in ragione della
mancata sussunzione dei fatti ascritti al prevenuto sotto il paradigma di cui
all’art.73 V comma Dpr 309/90, rappresentando la erroneità e la illogicità
della motivazione che aveva ravvisato, quali motivi di esclusione della
ipotesi di minore gravità, il dato ponderale dello stupefacente, a fronte di
contestazione che sommava plurimi episodi di detenzione, nonché
l’abitualità della condotta del prevenuto, pure in presenza di cessioni di
modesta entità tali da potersi definire di piccolo spaccio, a prescindere dal
numero delle transazioni.

5.

La difesa di OGEDENGBE Oboh con un unico motivo di ricorso

deduceva ipotesi di ne bis in idem con i fatti giudicati con la sentenza della
Corte di Appello di Napoli del 10.5.2006, dolendosi del fatto che il giudice di
appello, a fronte di specifico motivo di impugnazione, si era limitato a
sostenere, in maniera ritenuta apodittica, che i fatti di cui alla odierna
imputazione erano diversi da quelli giudicati separatamente, salvo
comunque ritenere il vincolo della continuazione tra gli stessi;

6. IGE MUSA Mohammed articolava quattro motivi di ricorso.
6.1 Con un primo motivo deduceva contraddittorietà ed illogicità della
motivazione in punto di identificazione dell’imputato laddove a fronte di
intercettazioni telefoniche protrattesi per lungo periodo e che avevano
impegnato diversi interpreti in ragione dell’utilizzo di differenti dialetti il
giudice di merito aveva inteso risalire alla persona del IGE MUSA solo in

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la continuazione.

ragione del fatto che lo stesso era stato trovato nella detenzione della
scheda telefonica associata alla utenza intercettata, senza considerare la
possibilità di un diverso utilizzo e in assenza di perizia fonica.
6.2 Con una seconda articolazione assumeva vizio di motivazione in
ordine alla ritenuta partecipazione alla associazione dedita alla
importazione dello stupefacente dalla Nigeria e del ruolo dallo stesso
rivestito nella vicenda;

a ciascuno dei sei capi di imputazione che afferivano a singoli episodi di
detenzione e di cessione di sostanza stupefacente, contestando oltre alla
correttezza della identificazione del ricorrente quale il soggetto
interlocutore nelle intercettazioni telefoniche indizianti, l’assenza di
elementi di riscontro e la stessa equivocità dell’oggetto delle interlocuzioni.
6.4 Con una quarta articolazione deduceva assenza di motivazione in
relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 ricorsi sono da rigettare.
2. Con riferimento alla impugnazione del CESARANO, in termini invero
assolutamente coerenti risulta esclusa dalla Corte di Appello la
circostanza attenuante della collaborazione di cui all’art.74 comma VII
Dpr. 309/90 in quanto, a prescindere dalla spontaneità, qualità e
convergenza del patrimonio dichiarativo offerto, in tema di associazione
volta al traffico di sostanze stupefacenti il riconoscimento della attenuante
è assicurato esclusivamente al contributo utile, proficuo e decisivo per
interrompere l’attività criminosa e per assicurare la sottrazione di risorse
all’associazione (sez.I, 25.5.2006, Puggioni, Rv.234920; sez.VI,
17.6.2014, Demiri e altri, Rv. 262624), laddove il giudice di appello ha
evidenziato come il CESARANO si sia limitato a fornire elementi di
chiarimento e di dettaglio, inserendosi peraltro tale contributo in un
quadro ben delineato che risultava fondato sulle intercettazioni
telefoniche e sui sequestri eseguiti dalla polizia giudiziaria.
2.1 Con particolare riferimento poi alla natura e alla estensione della
collaborazione, efficiente ai fini del riconoscimento della circostanza
attenuante speciale, il S.C. ha evidenziato la maggiore severità dei
presupposti richiesti dalla legge per il delitto associativo, rispetto alla
analoga attenuante prevista in ipotesi di delitto comune, laddove per il

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6.3 Con una terza articolazione deduceva vizio motivazionale in relazione

riconoscimento della prima è sufficiente l’essersi adoperato per evitare
che l’attività di spaccio sia portata a conseguenze ulteriori, anche
mediante l’aiuto al sequestro di “risorse rilevanti”, mentre per la
seconda…è richiesta l’assicurazione delle prove del reato o il contributo
per il sequestro di “risorse decisive” (sez.I, 14.7.2009, Anastasio, Rv.
244745), dovendosi peraltro segnalare che il contributo delle dichiarazioni
fornite dall’imputato CESARANO non ha condotto alla emersione e alla

associato, né ha determinato la cessazione dell’attività criminosa.
2.2 Quanto poi al trattamento sanzionatorio il giudice territoriale ha
svolto buon governo dei principi enucleati dal giudice di legittimità in
punto di motivazione dei criteri ispiratori, partendo da pena base
prossima al minimo edittale in relazione all’episodio ritenuto più grave
(pena detentiva misurata in anni nove di reclusione) con la riduzione, per
il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima
estensione e con aumenti percentuali minimi (mesi due giorni 15 di
reclusione) per ciascuno degli ulteriori quattro episodi criminosi ritenuti
uniti dal vincolo della continuazione.
2.3 Invero l’obbligo motivazionale è assolto laddove questa Corte di
legittimità ha più volte precisato che la determinazione della pena tra il
minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di
merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura
media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il
giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e
simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (così
sez. 4, n. 21294, Serratore, rv. 256197; conf. sez. 2, n. 28852
dell’8.5.2013, Taurasi e altro, rv. 256464; sez. 3, n. 10095 del 10.1.2013,
Monterosso, rv. 255153), potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto
dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo:
“pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo
alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (così sez. 2, n. 36245 del
26.6.2009, Denaro, rv. 245596).
2.4 D’altro canto gli aumenti di pena per la continuazione risultano
apportati in percentuale assolutamente modesta e frazionale rispetto alla
pena base, così da risultare del tutto incensurabile la motivazione della
sentenza impugnata, tenuto conto della pluralità degli episodi di cessione
come risultanti dal patrimonio di intercettazioni telefoniche e dalla
articolazione dei capi di imputazione.

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ablazione di risorse né rilevanti, né decisive per gli equilibri del gruppo

3. In relazione ai profili di doglianza del ricorrente GIALLONARDI Renato
il giudice di appello con una struttura motivazionale ampia e coerente con
le risultanze processuali e del tutto adeguata sotto il profilo logico giuridico,
ha posto in evidenza la ricorrenza di una attività di spaccio realizzata con
caratteri di professionalità e di sistematicità anche in concorso con il correo
OGEDENGBE Oboh, in un contesto operativo in cui il ricorrente si riforniva
di carichi non trascurabili di cocaina e di eroina e integrava molteplici
condotte di detenzione e di cessione di stupefacenti di diversa natura

capo di imputazione n. 14, erano destinate a soddisfare un’ampia platea di
tossicodipendenti con movimentazione di elementi ponderali non certo
trascurabili (fino a mezzo etto di eroina e poco meno di dieci grammi di
cocaina come emerge dalla con prestazione sub.13), così da escludersi la
ipotesi lieve del piccolo spaccio di cui all’art.73 V comma dpr 309/90.
3.1 II giudicante infatti ha fatto corretta e logica applicazione del principio
in forza del quale, in tema di sostanze stupefacenti,

la ipotesi di cui

all’articolo 73, comma 5, del dpr 9 ottobre 1990 n. 309 può essere
riconosciuta solo in ipotesi di “minima offensività penale” della condotta,
deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri
richiamati dalla norma (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con la
conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti
dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri. Ciò in
quanto la finalità dell’attenuante si ricollega al criterio di ragionevolezza
derivante dall’articolo 3 della Costituzione, che impone – tanto al
legislatore, quanto all’interprete- la proporzione tra la quantità e la qualità
della pena e l’offensività del fatto (Sezione IV, 13 maggio 2010, Lucresi,
che ha ritenuto corretto il diniego della ipotesi di minore rigore basato
proprio sulla gravità della condotta di spaccio).
Anche il motivo di ricorso proposto dalla difesa GIALLONARDI deve
pertanto essere disatteso.

4. Infondato è altresì il ricorso di OGEDENGBE Oboh ove assume violazione
di norma processuale da parte del giudice di appello per mancata correlazione
tra accusa e sentenza, ai sensi dell’art.521 cod.proc.pen. Invero dal mero
raffronto tra la contestazione cui il ricorrente è chiamato a rispondere nel
presente giudizio e quella di cui alla sentenza della Corte di Appello di Napoli
in data 10 Maggio 2006, e al cui esame questa Corte può procedere proprio in
relazione alla natura del vizio denunciato, appare evidente l’assoluta
autonomia e diversità dei fatti rispettivamente ascritti. Invero i fatti

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racchiuse in un arco temporale limitato che peraltro, come evidenziato nel

riconosciuti in continuazione a carico del OGEDENGBE Oboh nel giudizio di cui
all’odierno ricorso risultano commessi tra il 31 Marzo e il 16 Aprile 2005,
mentre la contestazione di cui al separato giudizio della Corte di Appello di
Napoli attiene ad episodio di detenzione a fini di spaccio intervenuto in data 3
Maggio 2005 e pertanto al di fuori dell’arco temporale sopra considerato, così
da giustificare la intervenuta unificazione dell’episodio nel vincolo della
continuazione, ma non l’assorbimento del reato separatamente giudicato nei

5. Quanto al ricorso di IGE MUSA, il quale si duole altresì del giudizio di
responsabilità espresso dai giudici di merito, sia in relazione alla
partecipazione al delitto associativo, sia in relazione ai singoli episodi di
violazione della disciplina degli stupefacenti, sia con riferimento alla stessa
identificazione del prevenuto quale interlocutore nelle registrazioni
telefoniche, i motivi di ricorso risultano parimenti infondati.
5.1 Con particolare riferimento alla individuazione vocale del ricorrente
quale interlocutore nelle conversazioni indizianti che davano luogo alle singole
contestazioni e alla ipotesi associativa il giudice di appello, oltre a riportare il
costante insegnamento del S.C. in ordine ad adeguatezza indiziaria del
riconoscimento vocale eseguito dall’agente di P.G. che procede all’ascolto, così
da non ritenersi necessario procedere ad una perizia fonica, ha altresì
rappresentato come la individuazione vocale sia stata confermata
dall’elemento essenziale che IGE MUSA al momento della cattura era in
possesso della scheda telefonica corrispondente a quella utilizzata nelle
suddette conversazioni, la quale era stata inserita nella utenza cellulare che si
trovava nel suo possesso esclusivo così da fugare qualsiasi dubbio
sull’effettivo utilizzatore della stessa.
5.2 Con riferimento poi ai motivi

di ricorso nei quali variamente si

prospettano profili di violazione di legge e di illogicità e contraddittorietà della
motivazione del giudice di appello in ordine alla valutazione e all’analisi del
compendio fornito dalle intercettazioni telefoniche in relazione alla così detta
“droga parlata”, alla ricorrenza di una associazione per delinquere dedita al
commercio di sostanza stupefacente del tipo cocaina ed eroina dalla Nigeria,
ai ruoli rivestiti dai sodali all’interno della compagine associativa e alla
perpetrazione dei reati fine contestati, deve preliminarmente affermarsi come
la Corte di Appello non si sia limitata, come prospettato dai ricorrenti, a fare
proprie le motivazioni del primo giudice, ma ha fornito convincente,
adeguata e autonoma risposta alle ragioni di doglianza introdotte dal
ricorrente.

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fatti ancora sub judice.

5.3 Quanto poi alla interpretazione degli elementi indiziari a sostegno
della ipotesi accusatoria sia con riferimento alla ipotesi associativa, sia alle
singole attività di cessione della sostanza stupefacente, va preliminarmente
osservato che in ossequio a principi ripetutamente affermati da questa
Corte, che, in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di
legittimità, allo stato della normativa vigente, è quello di accertare (oltre
che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle

decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore
ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimità è tenuto a
condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se
questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie
nell’ambito di una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto
l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte di Cassazione
una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle
prove, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla
correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (ex pluribus:
Cass. n. 12496/99, 2.12.03 n. 4842, rv 229369, n. 24201/06); pertanto
non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione dì una
diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali. Il sindacato demandato alla Corte di Cassazione deve limitarsi,
per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico
apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata (Cass. SU
n. 47289/03 rv 226074).
5.4 Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che
la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dal ricorrente,
atteso che l’articolata valutazione, da parte dei giudici di merito, degli
elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno
indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità dello IGE MUSA per i
fatti a ciascuno ad esso contestati, mentre le censure avanzate risultano
sostanzialmente rivolte a riproporre argomenti già esposti in sede di
appello, che tuttavia risultano ampiamente vagliati e correttamente
disattesi dalla Corte territoriale, ovvero a sollecitare una rivisitazione
meramente fattuale delle risultanze processuali, fondata su una valutazione
alternativa delle fonti di prova pure , a fronte della linearità e della
adeguatezza della struttura motivazionale della sentenza impugnata.

6. Con particolare riferimento alla ricorrenza di una struttura associativa
dedita all’acquisto e alla cessione di sostanza stupefacente e al ruolo del
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argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria

ricorrente, il giudice di appello, con autonoma e puntuale valutazione, ha
riconosciuto la rilevanza e la gravità del patrimonio indiziario che scaturisce
dagli esiti captativi. Va a tale proposito evidenziato che con riferimento alla
interpretazione del materiale captativo il giudice di appello si è del tutto
conformato all’insegnamento del S.C. che costantemente riconosce

agli

indizi raccolti nel corso delle intercettazioni telefoniche … fonte diretta di
prova della colpevolezza dell’imputato che non devono necessariamente
trovare riscontro in altri elementi esterni, qualora siano; a) gravi, cioè

precisi e non equivoci, cioè non generici e non suscettibili di diversa
interpretazione altrettanto verosimile; c) concordanti, cioè non contrastanti
tra loro e, più ancora, con altri dati o elementi certi (sez.VI, 4.11.2011
n.3882; sez.I, 18.6.2014 n.37588).
6.1 II giudice di appello invero, prima di richiamare l’univoco contenuto
delle intercettazioni riportate nella sentenza di primo grado, svolgendo una
sintesi del compendio captativo ha rappresentato gli stretti collegamenti e
la fitta rete di relazioni correnti tra gli indagati, che vanno oltre il singolo
episodio di spaccio, cristallizzando la veste del MUSA quale immediato e
diretto collaboratore del Julius NWOKORO Ugo nella organizzazione dei
viaggi dei corrieri verso la Nigeria, in particolare nella fase dell’acquisto dei
biglietti aerei e pertanto in un ruolo, assolutamente coerente con i profili
organizzativi e strumentali al successo delle singole operazioni, allo stesso
riconosciuto.
6.2 In merito poi al significato attribuito alle intercettazioni il giudice di
legittimità ha affermato che in tema di intercettazioni di conversazioni o
comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti
intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di
fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta
logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al
sindacato di legittimità (sez.U, 26.2.2015,Sebbar, rv 263715) se non per
ragioni di manifesta irragionevolezza ed illogicità (sez.II, 4.10.2016,
D’Andrea e altri, Rv. 268389).
6.3 A tale proposito la Corte territoriale, dopo avere evidenziato le ragioni
per cui il MUSA interloquiva dalle utente intercettate (riconoscimento vocale e
titolarità della scheda utilizzata in quanto abbinata al telefono utilizzato), con
apprezzamento assolutamente adeguato sotto il profilo logico giuridico, ha
compiutamente analizzato i singoli episodi delittuosi ascritti al MUSA,
rappresentando in termini coerenti con le risultanze processuali, con
particolare riferimento alle espressioni utilizzate nelle interlocuzioni
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consistenti e resistenti alle obiezioni e quindi attendibili e convincenti; b)

intercettate e ai collegamenti con gli altri correi, la responsabilità del
prevenuto in relazione a ciascuno di essi, laddove il ricorrente nei motivi di
ricorso si è limitato a fornire una inammissibile, in quanto ipotetica e
alternativa, interpretazione del contenuto delle suddette interlocuzioni.

7. Quanto al trattamento sanzionatorio il giudice di appello ha confermato la
esclusione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nei

sostanzialmente ha escluso la ricorrenza di profili di meritevolezza nel
comportamento processuale del prevenuto, né d’altro canto il ricorrente ha
prospettato ragioni che avrebbero operato a sostegno del riconoscimento del
beneficio.
Quanto alla pena, la stessa è stata determinata partendo da livelli non
discosti dal minimo edittale e gli aumenti sono stati apportati in misura
percentuale e assolutamente congrua (circa mesi sei di reclusione ciascuno)
così da escludere qualsiasi illogicità o contraddittorietà nell’esercizio del potere
del giudice o ipotesi di violazione di legge nell’applicazione dell’art.133
cod.pen.

8. In conclusione devono essere rigettati tutti i ricorsi e i ricorrenti vanno
condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali_

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 Settembre 2017

confronti del ricorrente evidenziando la gravità e la pluralità dei reati ascritti e

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