Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53146 del 26/09/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 53146 Anno 2017
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: CERRONI CLAUDIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Bodini Daniele, nato a Lovere il 02/03/1950, anche quale amministratore di
Bi.Erre.Bi. Real Estate s.r.I.)

avverso l’ordinanza del 28/02/2017 del Tribunale di Brescia

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Pasquale Fimiani, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 28 febbraio 2017 il Tribunale di Brescia, in funzione di
Giudice del riesame, accoglieva parzialmente la richiesta di riesame proposta nei
confronti del decreto di sequestro preventivo, anche per equivalente, emesso il
30 gennaio 2017 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale.
Il provvedimento riesaminato era stato formulato in odio tra l’altro a Daniele
Bodini anche quale legale rappresentante della s.r.l. Bi.erre.bi Real Estate, per il

Data Udienza: 26/09/2017

reato di cui all’art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 e fino a concorrenza della
somma di euro 387.382,23.
In proposito la misura cautelare era infatti annullata limitatamente alla parte
in cui aveva posto il vincolo sui beni immobili registrati intestati alla società; era
stato rigettato invece il ricorso del Bodini, nei cui confronti era già stato disposto
il sequestro per equivalente in caso di incapienza patrimoniale della società, ed
invece era stato accolto integralmente il riesame di Giorgio Beretta, socio della
stessa società ed indicato come amministratore di fatto della medesima.

proposto ricorso per cassazione con tre articolati motivi d’impugnazione.
2.1. Col primo motivo è stato rilevato che, contrariamente a quanto indicato
nel testo dell’ordinanza impugnata, era stato eseguito sequestro anche nei
riguardi dei conti personali riferibili allo stesso Bodini, nonché dell’autovettura del
medesimo.
2.2. Col secondo motivo è stato dedotto che il valore dei beni immobili della
società era tale da soddisfare le esigenze addotte, per cui semmai il vincolo
avrebbe dovuto essere mantenuto su detti cespiti, come da richiesta formulata in
via subordinata, attesa la necessità della società di operare tramite i rapporti
bancari esistenti, tanto più che in ogni caso faceva difetto la prova di un nesso di
diretta derivazione dei beni dal profitto illecito.
2.3. Col terzo motivo è stata invece rivendicata la buona fede della società
circa l’esecuzione di pagamenti in favore della Teuta Group Costruzioni, invece
definita “scatola vuota” dal Tribunale bresciano, tant’è che addirittura alcuni
pagamenti furono eseguiti in favore della curatela fallimentare di quest’ultima su
accordo autorizzato dal Giudice delegato, mentre l’avvenuta costruzione degli
immobili dava conto dell’avvenuta effettiva fornitura dei materiali.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del
ricorso, assumendo da un lato il difetto di specifica nomina ovvero di procura
speciàle da parte della società al proprio difensore e, dall’altro, l’assenza di
rilievo ictu ocu/i della pretesa buona fede del Bodini circa l’inesistenza soggettiva
delle fatture emesse dalla società Teuta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I ricorsi, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente, sono
inammissibili.
4.1. Va invero osservato che il Procuratore generale ha altresì evocato il
principio per il quale il difensore dell’indagato, che sia anche legale
rappresentante della società titolare dei beni sottoposti a sequestro preventivo,
non è legittimato a proporre richiesta di riesame avverso il provvedimento

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2. Avverso il predetto provvedimento i soggetti ancora interessati hanno

applicativo della misura cautelare per conto della persona giuridica, qualora il
proprio assistito non gli abbia all’uopo preventivamente conferito apposita
procura speciale (Sez. 5, n. 9435 del 10/11/2011, dep. 2012, Pambianchi, Rv.
251997).
4.2. In ogni caso, anche a prescindere dal rilievo formale, la Corte
territoriale ha operato corretto riferimento ai principi fissati da questa Corte,
secondo cui, in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una
persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente

74/00, e 322-ter cod. pen. non può essere disposto sui beni dell’ente, ad
eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno
schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni (Sez. U,
n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258646; Sez. 3, n. 18311 del
06/03/2014, danni, Rv. 259102).
Allo stesso tempo, questa Corte di legittimità ha già ritenuto che è legittimo
il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella
disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso
dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente una persona
estranea al detto reato (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647).
4.3. Ciò posto, la confisca diretta (o confisca di proprietà), prevista dall’art.
240 cod. pen. come misura facoltativa e resa obbligatoria per alcuni reati
dall’art. 322-ter cod. pen., ha per oggetto il profitto del reato, vale a dire l’utilità
economica direttamente o indirettamente conseguita con la commissione del
reato. La confisca per equivalente (o confisca di valore), invece, ha per oggetto
somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per un valore
corrispondente al profitto del reato ed è destinata ad operare nei casi in cui la
confisca diretta non sia possibile. Nella nozione di profitto che consente la
confisca diretta non rientrano solo i beni appresi per effetto diretto e immediato
dell’illecito, ma anche ogni altra utilità comunque ottenuta dal reato, anche in via
indiretta o mediata (ad esempio i beni acquistati con il denaro ricavato
dall’attività illecita oppure l’utile derivante dall’investimento del denaro di
provenienza criminosa).
Ne consegue che la confisca diretta del profitto di reato è possibile anche nei
confronti di una persona giuridica per le violazioni fiscali commesse dal legale
rappresentante o da altro organo della persona giuridica nell’interesse della
società, quando il profitto o i beni direttamente riconducibili a tale profitto siano
rimasti nella disponibilità della persona giuridica medesima. Si deve, invece,
escludere la possibilità di procedere a confisca per equivalente di beni della
persona giuridica per reati tributari commessi dal legale rappresentante, salva
l’ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e

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prevista dagli artt. 1, comma 143, della I. n. 244 del 2007, ora art. 12-bis legge

rappresenti solo uno schermo attraverso cui l’amministratore agisce come
effettivo titolare.
Al riguardo, è stato così osservato che, qualora il prezzo o il profitto
derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui ì1
soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca
diretta; in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la
prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della
confisca e il reato (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437). Ove il

non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche
dell’autore del fatto, ma perde – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una
appartenenza del reo – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa
identificabilità fisica.
Sul piano del diritto positivo, invero, non vi è alcuna disposizione che
consenta di disporre la confisca per equivalente di beni appartenenti a una
persona giuridica nel caso di violazioni tributarie commesse dal legale
rappresentante e, stante il « carattere eminentemente sanzionatorio della confisca
per equivalente, le norme che la prevedono non possono essere applicate oltre ai
casi espressamente considerati, a ciò ostando il divieto di applicazione analogica
in malam partem vigente nella materia penale.

Quanto al profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, esso è
costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla
consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di
spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi,
sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario (Sez. U, n.
18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036; Sez. 3, n. 11836 del 04/07/2012,
Bardazzi, Rv. 254737; Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, Mazzieri, Rv. 253480;
più in generale, sulla riconducibilità al profitto del “risparmio di spesa”, cfr.
altresì, Sez. U, n. 38343, n. 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261117). Anche il bene
acquisito in modo diretto con il reinvestimento delle somme non versate
all’Erario va ascritto alla categoria del “profitto” del reato (su tutti gli aspetti che
precedono, cfr. Sez. 3, n. 20763 del 22/03/2016, Ciatti, non mass.).
4.4. In specie comunque, quanto al fumus, il provvedimento impugnato dà
correttamente conto che dalla stessa difesa viene in qualche modo ammesso che
l’annotazione nella contabilità di Bi.erre.bi delle fatture provenienti da Teuta
Group Costruzioni, definita “scatola vuota”, rappresenti quantomeno sotto il
profilo oggettivo (v. anche infra) il reato di cui all’art. 2 cit., atteso che era
pacifico che gli accordi commerciali erano invece intervenuti con altra società,
invece operativa, del medesimo gruppo societario (tale s.r.l. GSA P.K.).

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profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa

Al riguardo, in tema di reati tributari, ai fini della prova del reato di
dichiarazione infedele (e, a maggiore ragione, nei casi di dichiarazioni
fraudolente), il giudice può fare legittimamente ricorso agli accertamenti condotti
dalla Guardia di Finanza o dall’ufficio finanziario, anche ai fini della
determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, pur dovendo il proprio esame
estendersi a valutare ogni altro eventuale indizio acquisito (così, in motivazione,
Sez. 3, n. 2006 del 02/10/2014, dep. 2015, Scatena, Rv. 261928).
Per completezza, va infine ricordato che mentre, con riguardo alle imposte

economico, corrispondente a quanto dichiarato, esclude il carattere fittizio degli
elementi passivi indicati nella dichiarazione, a nulla rilevando in linea di massima
che il destinatario degli stessi sia un soggetto diverso da quello reale, con
riguardo invece all’Iva la detrazione è ammessa solo in presenza di fatture
provenienti dal soggetto che ha effettuato la prestazione, giacché tutto il sistema
del pagamento e del recupero della imposta (artt. 17 e 18 del d.P.R. n. 633 del
1972) si basa sul presupposto che la stessa sia versata a chi ha effettuato
prestazioni imponibili mentre il versamento dell’imposta ad un soggetto non
operativo o diverso da quello effettivo consentirebbe un recupero indebito
dell’Iva stessa (cfr. Sez. 3, n. 37562 del 04/07/2013, Paregiani e altri, non
massimata). Di qui, dunque, la conseguenza che l’evasione Iva può essere
configurata anche in presenza di costi effettivamente sostenuti.
Nel caso di specie, pertanto, la soglia del quadro indiziario richiesta per
l’adozione della misura cautelare reale, visti i richiami altresì operati alla
comunicazione di notizia di reato ed in considerazione delle sostanziali
ammissioni ricordate, risulta essere stata ampiamente conseguita.
4.5. Alla stregua dei complessivi rilievi che precedono, quindi, ed anche al di
là del profilo formale sollevato dalla Procura generale, il sequestro preventivo
non poteva non essere comunque contenuto nell’ambito dei valori mobiliari di
immediata disponibilità, non potendo attribuirsi rilievo alla dichiarate richieste
della difesa circa la disponibilità a sottoporre a vincolo i cespiti immobiliari
sociali.
Del pari, come è stato in parte ricordato anche dal provvedimento
impugnato circa il rilievo delle evidenze oggettive, in sede di riesame dei
provvedimenti che dispongono misure cautelari reali il giudice, benché gli sia
precluso l’accertamento del merito dell’azione penale ed il sindacato sulla
concreta fondatezza dell’accusa, deve operare il controllo, non meramente
cartolare, sulla base fattuale nel singolo caso concreto, secondo il parametro del

fumus

del reato ipotizzato, con riferimento anche all’eventuale difetto

dell’elemento soggettivo, purché di immediato rilievo (Sez. 6, n. 16153 del
06/02/2014, Di Salvo, Rv. 259337).

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dirette, l’effettiva esistenza dell’operazione e del conseguente esborso

In specie siffatto immediato rilievo, proprio alla luce delle sostanziali
ammissioni cui si è fatto riferimento, è all’evidenza assente. Ne consegue
l’irrilevanza dei profili di censura direttamente riferibili alla persona fisica del
soggetto indagato, anche a prescindere da ogni questione circa l’esecuzione del
sequestro preventivo, disposto nel caso dell’eventuale accertata incapienza nei
termini che precedono ed in ragione, tra l’altro, della mancata formale
conoscenza dell’entità dei valori mobiliari sequestrati in odio alla società.
5. Alla stregua delle osservazioni che precedono, quindi, i motivi di censura

loro manifesta infondatezza.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed
a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonché quello
del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in € 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 26/09/2017

complessivamente formulati non superano il vaglio di ammissibilità, stante la

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