Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5314 del 16/09/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5314 Anno 2015
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da

MISTRETTA Francesco, nato a Mussumeli il 19/07/1946
MISTRETTA Salvatore, nato a San Cataldo il 15/06/1976

avverso la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta del 15 ottobre 2013

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Caltanissetta
confermava la sentenza dell’Il dicembre 2012 con la quale il Gup del Tribunale di
quella stessa città aveva dichiarato Francesco Mistretta e Salvatore Mistretta
colpevoli dei reati di seguito indicati:

Data Udienza: 16/09/2014

A) ai sensi degli artt. 110, 48 e 479 cod. pen. poiché, in concorso tra loro,
predisponendo un falso contratto di concessione per uso venatorio – datato 10
gennaio 2006 – del terreno di proprietà della p. o. La Spina Santa sito in Mussumeli
(con specifica previsione all’art. 6 della facoltà del concessionario di avanzare
istanze volte alla realizzazione di immobili da adibire ad attività agricole o
zootecniche) depositato da Mistretta Salvatore presso il Comune di Mussumeli a
corredo dell’istanza presentata per il rilascio di concessione gratuita per opere ivi

edilizio da destinare all’imbottigliamento di olio e miele all’interno del predetto
terreno – inducevano in errore il responsabile dell’area lavori pubblici-urbanistica del
Comune di Mussomeli, ingegnere Alba Carmelo, che, in qualità di pubblico ufficiale,
rilasciava in data 28 dicembre 2007 la concessione richiesta attestando nell’atto,
contrariamente al vero, la sussistenza del predetto contratto quale presupposto del
provvedimento abilitativo.
B)

ai sensi degli artt. 110, 48, 479 cod. pen.

poiché, in concorso tra loro,

predisponendo un falso contratto di concessione per uso venatorio – datato 10
gennaio 2006 – del terreno di proprietà della p. o. La Spina Santaq sito in Mussmeli
(con una specifica previsione all’art. 6 della facoltà del concessionario di avanzare
istanze volte alla realizzazione di immobili adibiti ad attività agricole o zoo tecniche)
depositato da Mistretta Salvatore presso il Comune di Mussumeli a corredo
dell’istanza presentata per il rilascio di autorizzazioni al cambio di destinazione d’uso
da deposito a civile abitazione del piano terra di un fabbricato sito all’interno del
predetto terreno, inducevano in errore il responsabile dell’area lavori pubbliciurbanistica del Comune di Mussumeli, ingegnere Alba Carmelo, che, in qualità di
pubblico ufficiale, rilasciava in data 14 novembre 2006 l’autorizzazione richiesta
attestando nell’atto pubblico, contrariamente al vero, la sussistenza del predetto
contratto quale presupposto del provvedimento amministrativo.
C) ai sensi degli artt. 110, 81, 477, 482 cod. pen. poiché, in concorso tra loro ed in
esecuzione di un medesimo disegno criminoso, predisponevano due false
autocertificazioni a firma, rispettivamente, di Amore/li Onofrio e La Spina Santa,
datate 14 luglio 2009 ed aventi ad oggetto l’attestazione del “conferimento” ciascuno per la sua parte del terreno sito in Mussumeli di proprietà degli stessi alla
“costituenda Azienda faunistica Venatoria Mappa/Ponti d’Oro per il solo uso
venatorio fino al 2013” e le allegavano alla domanda – datata 16/6/2009 – di
riperimetrazione del predetto terreno presentata da Mistretta Salvatore presso
l’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione;
e, per l’effetto, riconosciuta la continuazione, li aveva condannati alla pena di mesi
otto e giorni venti di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale.

2

indicate – e segnatamente per l’esecuzione di lavori di costruzione di un manufatto

Avverso l’anzidetta pronuncia i difensori degli imputati, avv. Salvatore
Vizzini e Nino Zanghì, hanno proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di
censura di seguito indicate.
Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 606 lett. b), c)
ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 178, 180, 516, 521 e 604 del codice di
rito. Si eccepisce, in particolare, la nullità della sentenza impugnata nella parte in
cui era stato confermato il giudizio di condanna di primo grado nonostante in

ricorrenti. Ed invero, contestato il concorso materiale nella commissione del reato di
falso con riferimento al contratto di concessione per uso venatorio, il giudice di
appello, nel confermare la pronuncia di condanna, aveva nondimeno ascritto il fatto
“quantomeno a titolo di concorso morale”, ipotesi quest’ultima mai contestata e la
diversa qualificazione giuridica aveva comportato violazione dei diritti di difesa.
Con il secondo motivo si denuncia identico vizio di legittimità con riferimento
agli artt. 110, 479, 482 cod. pen. e 125, 192 e 546 comma 1 lett. e) cod. proc. pen.
Si contesta, in particolare, l’affermazione di colpevolezza, nonostante la mancanza
di prove oltre il limite del ragionevole dubbio, essendo il processo fondato solo su
labili indizi.
Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 606
lett. b) in relazione agli artt. 48 e 478 cod. pen.. Si contesta, in particolare, la
ritenuta attribuzione della natura di atto pubblico al provvedimento in questione,
che consisteva, invece, in mera autorizzazione amministrativa, ex artt. 477 e 480
cod. pen. In particolare, si sostiene che la concessione edilizia avrebbe natura di
atto non discrezionale, ma dovuto, con conseguente attribuzione alla stessa della
natura di autorizzazione amministrativa. Pertanto, era errata la qualificazione
giuridica dei reati contestati, nella parte in cui si configurava il comportamento degli
imputati come sussumibile all’interno delle fattispecie di cui agli artt. 48 e 479 cod.
pen. e non già degli artt. 48 e 480 cod. pen.
Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod proc.
pen. in relazione agli artt. 62 bis e 133 cod. pen. e 125 e 546 comma 1 lett. e) del
codice di rito con riferimento al diniego, ritenuto ingiusto, delle attenuanti generiche
ed alla determinazione della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Le prime tre censure si collocano in area assai prossima

all’inammissibilità, in quanto reiterative di questioni già sollevate in sede di appello,
in ordine alle quali la risposta motivazionale della Corte distrettuale appare esente
da censure o rilievi di sorta.

3

motivazione fosse stata riconosciuta la diversità del fatto addebitato agli odierni

In particolare, la questione di rito riguardante la pretesa violazione del principio
della contestazione è stata definita in senso negativo con pertinente richiamo ad
indiscusso insegnamento di questo Giudice di legittimità secondo cui non sussiste la
violazione del principio di correlazione tra accusa e difesa (art. 521 cod. proc. pen.),
qualora l’imputato, cui sia stato contestato di essere l’autore materiale del fatto, sia
riconosciuto responsabile a titolo di concorso morale, considerato che tale modifica
non comporta una trasformazione essenziale del fatto addebitato, né può provocare

eterogeneità rispetto alla originaria contestazione (cfr. , tra le altre, Sez.. 5, n.
15556, Rv. 250180.
Non merita censura neppure la ribadita statuizione di colpevolezza a carico
degli imputati, che non risulta affidata al labili indizi, così come infondatamente
sostenuto in ricorso, ma ad elementi probatori ritenuti di sufficiente pregnanza
dimostrativa, quali le risultanze dell’accertamento grafico – sul contratto di
concessione per uso venatorio e sugli allegati documenti, tra cui le autocertificazioni
recanti sottoscrizioni apocrife – e le acquisite dichiarazioni testimoniali.
Non ha pregio, da ultimo, la ribadita contestazione in merito alla corretta
qualificazione giuridica della fattispecie, sull’assunto che l’atto concessorio in
questione avrebbe carattere dovuto e non già meramente discrezionale. Risulta
invece giuridicamente corretto l’inquadramento giuridico della fattispecie che fondata sull’accertamento della falsità di un atto negoziale, confezionato con il
corredo di documentazione pur essa contraffatta, al fine di ottenere il mutamento di
destinazione di un immobile nonché la concessione per la realizzazione di un
fabbricato, in forza di titoli falsificati, anche in vista del conseguimento di contributi
pubblici – è stata, esattamente, ricondotta all’ipotesi delittuosa in contestazione,
stante l’incontrovertibile natura di atto pubblico del conseguito titolo concessorio
(cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 40827 del 21/09/2004, Rv. 230114).
La terza censura è, infine, decisamente inammissibile attenendo all’assetto
sanzionatorio, che, notoriamente, costituisce oggetto di questione di merito
insindacabile in questa sede di legittimità, ove corredata di idonea motivazione.
Tale deve intendersi quella in esame, che ha dato anche conto delle ragioni del
diniego delle richieste attenuanti generiche, in considerazione dell’obiettiva entità
dei fatti in contestazione, della loro reiterazione e del comportamento processuale
di un imputato.

2. Per quanto precede, i ricorsi – globalmente considerati – devono essere
rigettati, con le consequenziali statuizioni dettate in dispositivo.

P.Q.M.

4

menomazioni del diritto di difesa, ponendosi in rapporto di continenza e non di

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, singolarmente, al pagamento delle
spese processuali.

Così deciso il 16/09/2014

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