Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5310 del 16/09/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 5310 Anno 2015
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da

PEDALINO Daniele Pio, nato a Catania il 29/09/1984

avverso la sentenza del Tribunale di Milano del 15 maggio 2013;

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Gabriele
Mazzotta, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Milano confermava la
sentenza del 12 giugno 2012 con la quale il Giudice di pace di quella stessa città
aveva dichiarato Daniele Pio Pedalino colpevole del reato di lesione personale in
danno di Marco Boni, che aveva colpito con un pugno ad un occhio, e di Matteo
Bernieri, che aveva morso alla mano sinistra; e di minacce nei confronti dello stesso

Data Udienza: 16/09/2014

Bernieri e, riuniti gli stessi con il vincolo della continuazione e concesse le
attenuanti generiche, l’aveva condannato alla pena di € 1200,00 di multa.
Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore dell’imputato, avv. Enzo Merlino,
ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura di seguito
indicate.
Con il primo motivo d’impugnazione si denuncia violazione dell’art. 606 lett.

b) per erronea applicazione dell’art. 612 cod. pen., sul rilievo che, infondatamente,
nonostante la mancata riconoscibilità del male ingiusto da parte della persona
offesa e l’inidoneità della stessa di impressionare la sensibilità dell’uomo medio.
Con il secondo motivo si denuncia difetto di motivazione o mancanza o
manifesta illogicità della stessa, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen.
Con il terzo motivo si denuncia insufficienza di motivazione in ordine al
mancato riconoscimento della richiesto beneficio della non menzione, considerato
che nessun elemento ostativo, di fatto o di diritto, risultava dal testo motivazionale
della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La prima censura è palesemente infondata, essendo ineccepibile il
convincimento dei giudici di merito, espresso con conforme valutazione nei due
gradi di giurisdizione, in ordine alla sussistenza dei presupposti del reato di
minacce, avendo condivisibilmente riconosciuto che la frase profferita dall’imputato
(“se vieni fuori spacco la faccia”) presentasse i connotati la prospettazione di un
male ingiusto, tale da integrare gli estremi del reato di cui all’art. 612 cod. pen.,
anche indipendentemente dal fatto che la persona offesa fosse rimasta realmente
intimorito.
La seconda censura è inammissibile perché afferente a questioni
squisitamente di merito, notoriamente sottratta al sindacato di legittimità ove
assistita da congrua motivazione. Tale deve ritenersi quella che sorregge il
provvedimento impugnato, che – sulla base di logica e plausibile ricostruzione della
vicenda di fatto – ha dato ampio conto del ribadito giudizio di colpevolezza a carico
dell’imputato. Nell’esprimere siffatta valutazione il giudice a quo ha mostrato di
aver fatto buon governo delle regole di giudizio che presiedono al relativo
apprezzamento, segnatamente del principio secondo cui le dichiarazioni di

accusa della persona offesa possono anche da sole sostenere un giudizio di
colpevolezza ove adeguatamente valutate nella loro attendibilità (Sez.0 n.
41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214, secondo cui le regole dettate
dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle
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era stata attribuita valenza intimidatoria alle frasi profferite dall’imputato,

dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente
poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità
dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della
credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo
racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso
rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi

Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto di dover ricercare
elementi di riscontro, ravvisandoli nell’acquisita documentazione sanitaria,
attestante lesioni compatibili con la dinamica dei fatti denunciata dalla
persona offesa.

2. Per quanto precede il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,

con le consequenziali statuizioni dettate in dispositivo.

P.Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di € 1000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

Così deciso il 16/09/2014

testimone).

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