Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5309 del 15/05/2013


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 5309 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RUGGIERO PASQUALE, nato il 14/12/1966
avverso l’ordinanza n. 105/2012 TRIBUNALE di TORRE
ANNUNZIATA, del 21/06/2012;
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

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4

Data Udienza: 15/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 21 giugno 2012 il Tribunale di Torre Annunziata, in
funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da Ruggiero
Pasquale, volta alla rideterminazione della pena complessiva inflitta con la
sentenza n. 4128/2008 della Corte d’appello di Napoli, alla luce della sentenza n.
20798/2011 delle sezioni unite di questa Corte, rilevando che l’omesso erroneo

legge n. 203 del 1991, alla disciplina sul concorso di circostanze a effetto
speciale, dettata dall’art. 63, comma 4, cod. pen., non ha reso illegale la pena
finale comminata con la indicata sentenza e corrispondente a quella irrogabile
secondo i nuovi canoni ermeneutici.
2.

Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione

personalmente il condannato, che ha insistito nella richiesta di rideterminazione
della pena alla luce dei principi fissati in tema di calcolo della recidiva dalla
richiamata sentenza delle sezioni unite di questa Corte.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in conseguenza della inammissibilità della stessa
richiesta originaria sottoposta dal ricorrente all’esame del Giudice della
esecuzione.
2. L’ordinanza impugnata, nell’affermare l’ammissibilità della richiesta di
rideterminazione della pena inflitta con la sentenza di condanna, ha, invero, fatto
inesatta interpretazione e conseguente non corretta applicazione del principio di
diritto fissato da questa Corte con la sentenza a sezioni unite n. 18288 del
21/01/2010 (P.G. in proc. Beschi, Rv. 246651).
2.1. Con detta sentenza, fissandosi il principio, alla cui stregua il mutamento
di giurisprudenza, intervenuto con decisione delle sezioni unite di questa Corte,
integrando un nuovo elemento di diritto, rende ammissibile la riproposizione, in
sede esecutiva, della richiesta di applicazione dell’indulto in precedenza rigettata,
si è fatto esclusivo riferimento alla fase esecutiva della condanna, in relazione
alla quale si è evocata la nozione di “giudicato esecutivo”, utilizzata in senso
convenzionale, per certificare il limitato effetto “autoconservativo” di un
accertamento rebus sic stantibus.

2

assoggettamento della recidiva, concorrente con l’aggravante di, cui all’art. 7

Rimarcandosi, infatti, che, in sede esecutiva, le richieste del soggetto
interessato sono – di norma – suscettibili di essere riproposte in qualsiasi
momento, con il solo limite, previsto dall’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., che
la nuova istanza non costituisca mera riproposizione di altra già rigettata, basata
sui “medesimi elementi”, e procedendosi a una interpretazione sistematica di
detta norma alla luce del principio di legalità penale di cui all’art. 7 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretato dalla
giurisprudenza comunitaria, si è ritenuto che il mutamento di giurisprudenza,

carattere di stabilità e integra il “diritto vivente”, può costituire quell’elemento di
novità idoneo a superare la preclusione del c.d. “giudicato esecutivo”.
2.2. Tali considerazioni non valgono, invece, per il giudizio di cognizione, il
cui divario strutturale rispetto al giudizio di esecuzione è stato ribadito dalla
indicata decisione e la cui pronuncia conclusiva, connotata dal carattere della
definitività, è soggetta al principio della intangibilità conseguente al suo
passaggio in giudicato, che la rende insensibile ai “nuovi elementi” sopravvenuti.
3. Consegue a tali rilievi che l’ordinanza del Giudice dell’esecuzione deve
essere annullata senza rinvio per la, inammissibilità della richiesta del condannato cle,QA,
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*M dichiarazione di inammissibilità del ricorso etz~grre’ ela condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a
escludere la colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità, al
versamento – in favore della Cassa delle ammende – di sanzione pecuniaria, che
appare congruo determinare in euro 1.000,00, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata perché la richiesta del
condannato è inammissibile.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2013

Il Consigliere estensore

DEPOSITAT

Il Presi ente

che assume, specie a seguito di un intervento delle sezioni unite di questa Corte,

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