Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53063 del 27/10/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 53063 Anno 2017
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PAPPADA’ MARILENA nato il 30/03/1967 a CURSI

avverso la sentenza del 03/02/2017 del TRIBUNALE di LECCE
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO MENGONI;

Data Udienza: 27/10/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3/2/2017, il Tribunale di Lecce dichiarava Marilena
Pappadà colpevole della contravvenzione di cui all’art. 727 cod. pen. e la
condannava alla pena di cinquemila euro di ammenda; alla stessa era contestato
di aver detenuto 36 cani in condizioni lesive del loro benessere fisico, come
compiutamente descritto nel capo di imputazione.
2. Propone appello la Pappadà, chiedendo l’assoluzione. La condanna si

che la ricorrente è una privata cittadina che si occupa di cani randagi, offrendo
loro cibo ed adeguato alloggio; nessuno degli animali, infatti, sarebbe risultato
malnutrito o collocato in cucce non decorose. Da ultimo, il fatto che la ricorrente
sostenga da sé tutte le spese si porrebbe, ex se, in assoluto contrasto con
l’ipotesi accusatoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Occorre premettere che, ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen.,
sono inappellabili le sentenze di condanna con le quali è stata applicata la sola
pena dell’ammenda, come nel caso di specie; ne consegue che – qualora tale
impugnazione sia invece proposta – deve verificarsi l’effettiva possibilità di
convertire l’atto di appello in ricorso per cassazione, analizzando il concreto
contenuto dello stesso e la natura delle doglianze ivi sollevate. In particolare, la
Corte di appello – prescindendo da qualsiasi analisi valutativa in ordine alla
indicazione di parte, se frutto cioè di errore ostativo o di scelta deliberata – deve
limitarsi a prendere atto della voluntas impugnationis (elemento minimo che dà
esistenza giuridica all’atto proposto) e trasmettere gli atti al Giudice competente
(in tal senso, Sez. U, n. 45371 del 31/10/2011, Bonaventura, Rv. 220221; tra le
altre, successivamente, Sez. 5, n. 7403 del 26/9/2013, Bergantini, Rv. 259532;
Sez. 1, n. 33782 dell’8/4/2013, Arena, Rv. 257117); questa Corte di legittimità,
di seguito, deve invece verificare se le doglianze proposte con il gravame siano
comunque inquadrabili nella cornice di cui all’art. 606, comma 1, cod. proc. pen.,
avendo riguardo – al di là dell’apparente nomen iuris – alle reali intenzioni
dell’impugnante ed all’effettivo contenuto dell’atto di gravame, con la
conseguenza che, ove dall’esame di tale atto si tragga la conclusione che
l’impugnante abbia effettivamente voluto ed esattamente denominato il mezzo di
impugnazione non consentito dalla legge, l’appello deve essere dichiarato
inammissibile (Sez. U, n. 16 del 26/11/1997, n. Nexhi, Rv. 209336; Sez. 2, n.
47051 del 25/9/2013, Ercolano, Rv. 257481; Sez. 5, n. 35442 del 3/7/2009,
Mazzola, Rv. 245150).

fonderebbe sulle affermazioni apodittiche di un teste, che non considererebbero

4. Orbene, proprio questo esito si impone nel caso di specie, atteso che la
ricorrente – pur con doglianza apparentemente riconducibile all’art. 606 cod.
proc. pen. – di fatto invoca una nuova e diversa valutazione delle medesime
emergenze istruttorie già esaminate dal Giudice del merito (soprattutto
testimoniali), invocandone una lettura alternativa e più favorevole, specie con
riguardo alle condizioni in cui i cani erano tenuti; il che, tuttavia, non è
consentito in questa sede. Deve esser ribadito, infatti, il costante principio
secondo cui il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene

profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204
del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009,
Campanella, n. 12110, Rv. 243247). La doglianza, inoltre, oblitera che il
Tribunale ha affermato la responsabilità della Pappadà con un congruo percorso
argomentativo, fondato su oggettive risultanze dibattimentali (la deposizione del
Baldassarre, dipendente del servizio veterinario ASL, tale da individuare con
chiarezza i termini di cui all’art. 727 cod. pen.) e privo di illogicità manifesta;
come tale, dunque, non censurabile.
5. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2017

sigliere estensore

Il Presidente

alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il

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