Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53050 del 27/10/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 53050 Anno 2017
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MARLETTA ELISABETTA nato il 25/11/1957 a CATANIA

avverso la sentenza del 11/11/2016 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO MENGONI;

Data Udienza: 27/10/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’11/11/2016, la Corte di appello di Catania confermava
la pronuncia emessa il 15/9/2015 dal locale Tribunale, con la quale Elisabetta
Marletta era stata giudicata colpevole del delitto di cui all’art. 10-bis, d. Igs. 10
marzo 2000, n. 74 e condannata alla pena di tre mesi di reclusione; alla stessa quale legale rappresentante della “Siciliana Alimentari s.r.l.” – era contestato
l’omesso versamento delle ritenute effettuate sulle retribuzioni dei sostituiti per

2. Propone ricorso per cassazione la Marletta, chiedendo l’annullamento
della pronuncia. La Corte di appello avrebbe preso in considerazione la sola
omissione tributaria contestata, non anche le cause che l’avevano provocata, da
individuare in una gravissima crisi di liquidità che aveva colpito l’azienda dal
2009, invero poi dichiarata fallita di lì a poco tempo; difetterebbe, pertanto,
l’elemento soggettivo del reato. Ancora, si contesta la mancata applicazione
dell’art. 131-bis cod. pen.: la sentenza non avrebbe valutato la crisi strutturale
che aveva caratterizzato la società nel periodo di interesse, né il modesto
“scollamento” dell’omissione rispetto alla soglia di punibilità, fissata dal
legislatore in 150.000 euro. Quanto, poi, all’abitualità della condotta, questa
sarebbe stata affermata in termini apodittici, ossia senza esaminare l’oggetto del
predente penale menzionato. Carente, ancora, risulterebbe la motivazione in
punto di non menzione della condanna. Da ultimo, si eccepisce la prescrizione
del reato, avvenuta il 27/3/2017.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di
legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della
decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo,
restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv.
265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).
In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte,
osserva allora il Collegio che le censure mosse dalla ricorrente al provvedimento
impugnato si evidenziano come inammissibili; ed invero, dietro la parvenza di
una violazione di legge o di un vizio motivazionale, la stessa di fatto tende ad
ottenere in questa sede una nuova ed alternativa lettura delle medesime

168.274,60 euro.

emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una
valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
4. La doglianza, inoltre, oblitera che la Corte di appello – pronunciandosi
proprio sulla questione qui riprodotta – ha steso una motivazione del tutto
congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente
illogica; come tale, quindi, non censurabile. In particolare, ha sottolineato che 1)
l’omissione contestata aveva ad oggetto somme che la ricorrente avrebbe dovuto

successivo pagamento all’Erario; 2) l’impossibilità di procedere a quest’ultimo
passaggio avrebbe dovuto esser dimostrata dalla stessa Marletta, non risultando
a ciò sufficiente l’allegazione del proprio stato di indigenza. In tal modo, dunque,
la sentenza ha fatto buon governo del principio – di costante affermazione in
questa sede – in forza del quale l’imputato può invocare la assoluta impossibilità
di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità
penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione
concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi
economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di
fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in
concreto (Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190); occorre, cioè, la
prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse
necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni
tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli
per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza
di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il
debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e
ad egli non imputabili (Sez. 3, n. 8352 del 24/6/2014, Schirosi, Rv. 263128;
Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 5467 del
5/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).
Prova evidentemente non fornita in sede di merito, e solo genericamente
dedotta innanzi a questa Corte.
5. Manifestamente infondata, di seguito, risulta anche la seconda doglianza.
La causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., infatti, è stata negata
– con argomento congruo e qui non censurabile – sul presupposto dell’entità
della somma omessa e della sussistenza di un precedente specifico (elemento
che il ricorso non considera), sì da integrare quell’abitualità che la norma citata
pone come condizione ostativa all’applicazione dell’istituto.
6. Quanto, poi, alla non menzione della condanna nel casellario giudiziale, la
stessa risulta negata ancora con motivazione adeguata, ossia richiamando il

2

accantonare al momento del versamento delle retribuzioni, proprio in vista del

carattere generico della relativa istanza, in uno con l’assenza di elementi idonei
in tal senso, poiché non indicati dalla ricorrente.
7. Il gravame, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile; con
conseguente irrilevanza della prescrizione nelle more maturata. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a

quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2017

Il Presidente

norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché

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