Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53036 del 15/11/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 53036 Anno 2017
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli
nel procedimento nei confronti di:
Maurelli Giuseppe, nato a Pompei il 27/12/1973

avverso l’ordinanza del 19/05/2017 del Tribunale di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Pietro Molino, che ha concluso chiedendo la declaratoria di
inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Lucio Mariano Sena, che ha concluso chiedendo la
declaratoria di inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 15/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Napoli ha annullato
l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli che, in
data 3 aprile 2017, aveva adottato, ai sensi dell’art. 12-sexies del decreto-legge
8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992,
n. 356, il sequestro preventivo dei beni intestati a Giuseppe e Raffaele Maurelli
ed a Paolo Del Sole, sottoposti ad indagine nel medesimo procedimento ed attinti

congiunti dei medesimi.
In data 3 aprile 2017, infatti, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Napoli aveva adottato nei confronti di Paolo Del Sole, Giuseppe e
Raffaele Maurelli la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere perché
gravemente indiziati del delitto di cui all’art. 110, 81, comma secondo, cod. pen.,
73, 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 7 della legge 12 luglio 1991 n. 203,
art. 4 della legge n. 146 del 2006, commesso tra il febbraio ed il dicembre 2013
(capo A), e del delitto di cui all’art. 110, 81, comma secondo, cod. pen., 73, 80
d.P.R. n. 309 del 1990, art. 7 della legge n. 203 del 1991, art. 4 della legge n.
146 del 2006, accertato in Spagna in data 24 luglio 2014 (capo B).
Secondo la formulazione accusatoria, accolta nel titolo genetico, infatti, gli
indagati, dopo aver acquistato il natante “Scugnizza”, fittiziamente intestato a
Marco Molino, avevano organizzato e posto in essere, mediante l’ausilio di altri
concorrenti, in due distinte occasioni, la importazione dal Sudamerica di ingenti
quantitativi di cocaina, al fine di agevolare l’associazione camorristica
denominata “clan Cesarano”.

2.

Il Tribunale del riesame di Napoli, con l’ordinanza impugnata,

richiamandosi alla ordinanza con la quale in data 9 maggio 2017 aveva annullato
le misure coercitive personali nei confronti dei predetti indagati, ritenendo
insussistente il presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, ha caducato anche le
misure cautelari reali disposte dal Giudice per le indagini preliminari, “stante
l’assenza finanche di uno spunto di prova”.

3. Nel ritenere la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il Tribunale
del riesame di Napoli aveva, infatti, evidenziato che l’impianto accusatorio si
fondava essenzialmente sulle dichiarazioni rese in data 16 luglio 2016 da Marco
Molino, intestatario del natante “Scugnizza”, qualificate nell’ordinanza genetica
come spontanee, ma integranti un vero e proprio interrogatorio e, pertanto,
inutilizzabili, in quanto assunte al di fuori della ipotesi di cui all’art. 350, comma

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Q,97

dalla misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, e ad alcuni prossimi

7, cod. proc. pen. e, segnatamente, in assenza degli avvisi di cui all’art. 64 cod.
proc. pen. e dell’assistenza di un difensore.
Eliminando, inoltre, tali dichiarazioni, i residui elementi indiziari si rivelavano
inidonei a fondare l’applicazione delle predette misure coercitive ed, in particolar
modo, a dimostrare la effettiva riferibilità della imbarcazione agli indagati.

4. Ricorre per cassazione il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Napoli
avverso tale ordinanza e ne chiede l’annullamento, deducendo congiuntamente

manifesta illogicità della motivazione.
Secondo il Pubblico Ministero ricorrente, infatti, il Tribunale del riesame di
Napoli erroneamente aveva escluso la astratta configurabilità dei reati ascritti
agli imputati, in quanto le dichiarazioni rese dal Molino dovevano essere ritenute
spontanee e non già integranti un vero e proprio interrogatorio.
Spontanea era, infatti, la genesi di tali dichiarazioni, in quanto il Molino era
stato già in precedenza convocato dalla Polizia Giudiziaria, in data 8 ottobre
2015, ed in tale occasione aveva ritenuto di non fornire dichiarazioni utili; solo
successivamente, a distanza di mesi, si era ripresentato spontaneamente ed
aveva deciso di collaborare con gli inquirenti.
Nel testo della verbalizzazione, inoltre, le prime sei pagine erano costituite
da dichiarazioni del Molino non interrotte da domande degli inquirenti e non
poteva essere ritenuta rilevante in senso opposto la presenza di una unica
domanda iniziale, esclusivamente volta ad introdurre il tema dell’argomento.
Le successive domande, inoltre, erano esclusivamente intese ad ottenere
precisazioni sui fatti spontaneamente dichiarati.

5. Il Tribunale del riesame aveva, inoltre, integralmente omesso qualsiasi
valutazione degli ulteriori elementi probatori posti a fondamento dell’ordinanza
cautelare, al fine di verificare se gli stessi fossero in grado di superare la “prova
di resistenza”, resasi necessaria in seguito alla dichiarazione di inutilizzabilità
degli asserti accusatori del Molino.
Nella ordinanza impugnata infatti, nulla si diceva in ordine alle molteplici
attività investigative compiute e riportate nella ordinanza genetica (le risultanze
del sistema GPS montato sull’imbarcazione, gli esiti della attività di assistenza
giudiziaria internazionale, dell’attività di intercettazione, delle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia e delle sommarie informazioni rese dai soggetti, diversi
dal Molino, che avevano provveduto alla vendita dell’imbarcazione ed alla attività
di rimessaggio della stessa).

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la inosservanza e la erronea applicazione della legge penale e la mancanza e

Se tale esame puntuale fosse stato effettuato, l’esito non avrebbe potuto
essere che quello della adozione della misura cautelare reale, al pari di quanto
disposto dal Giudice per le indagini preliminari.
Le perquisizioni ed i sequestri posti in essere nei confronti degli indagati, in
occasione della esecuzione della ordinanza applicativa della misura della custodia
cautelare in carcere, avevano, inoltre, evidenziato una consistenza patrimoniale
degli indagati assolutamente incompatibile con le fonti di reddito dichiarate.

1.

Il ricorso formulato dal Pubblico Ministero deve essere dichiarato

inammissibile.

2.

Con il primo motivo, il Pubblico Ministero ricorrente si duole della

indebita commistione operata dal Tribunale del riesame di Napoli tra i
presupposti normativi per adottare la misura cautelare reale e quella personale,
violando la previsione di legge secondo la quale oggetto della valutazione non
sono gli indizi di colpevolezza ma soltanto l’astratta configurabilità del reato
ipotizzato, e della errata qualificazione delle dichiarazioni eteroaccusatorie rese,
nelle indagini preliminari, da Marco Molino.
3.

Tale censura si rivela manifestamente infondata.

4.

Secondo un consolidato ed incontrastato orientamento della

giurisprudenza di legittimità, le condizioni generali per l’applicabilità delle misure
cautelari personali, indicate nell’art. 273 cod. proc. pen., non sono estensibili,
per le loro peculiarità, alle misure cautelari reali; ne consegue che, ai fini della
doverosa verifica della legittimità del provvedimento con il quale sia stato
ordinato il sequestro preventivo di un bene pertinente ad uno o più reati, è
preclusa ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla
gravità degli stessi (Sez. U, n. 4 del 25/03/1993, Gifuni, Rv. 193117), in
correlazione alla diversità – peraltro di rango costituzionale – dei valori coinvolti
(Corte cost., sentenze n. 268 del 10/12/1986 e n. 48 del 9/02/1994; Corte
Cost., ordinanza n. 153 del 4/05/2007; Sez. U, n. 26268 del 28/03/2013,
Cavalli, non massimata sul punto).
In tema di sequestro preventivo, la valutazione di insussistenza del
presupposto del fumus commissi delicti può, tuttavia, legittimamente tener conto
del provvedimento di annullamento dell’ordinanza dispositiva della misura
cautelare personale, purché l’esclusione dei gravi indizi di colpevolezza sia
fondata su una motivazione incompatibile con la stessa astratta configurabilità

CONSIDERATO IN DIRITTO

della fattispecie criminosa che costituisce requisito essenziale per l’applicabilità
della misura cautelare reale (ex plurimis: Sez. 2, n. 22207, Ianì, Rv. 259758,
fattispecie in cui la Corte ha escluso che una sentenza di annullamento senza
rinvio, dalla cui motivazione non era possibile desumere un giudizio di assoluta
inesistenza della gravità indiziaria, fosse idonea a giustificare l’affermazione di
insussistenza del fumus commissi delicti; Sez. 6, n. 39249 del 25/10/2011,
Ciotola, Rv. 251085)
Nel procedimento incidentale concernente l’impugnazione di misure cautelari

valutazione non sono gli indizi di colpevolezza ma soltanto l’astratta
configurabilità del reato ipotizzato – il cosiddetto fumus delicti -, il giudice che
prenda in esame l’esito del parallelo procedimento incidentale relativo alle
misure cautelari personali, con affermazione della estraneità della condotta
addebitata alla fattispecie criminosa, dal momento che l’esclusione, con siffatta
motivazione, della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza fa venire meno
quella astratta configurabilità del reato, che è requisito essenziale per
l’applicabilità delle misure cautelari reali (Sez. 2, n. 19657 del 17/04/2007,
Grieco, Rv. 236590).
5.

Correttamente il Tribunale di Napoli ha, pertanto, ritenuto che la radicale

carenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti degli indagati sia
incompatibile con la stessa astratta configurabilità delle fattispecie criminose
contestate e, quindi, con la sussistenza dei gravi indizi di reato rilevanti ai sensi
dell’art. 321 cod. proc. pen.
6.

Già nella sentenza n. 49077 emessa da questa Sezione in data 11

settembre 2017, si è rilevato la assenza di vizi di legittimità nella pronuncia del
Tribunale di Napoli che ha caducato la misura coercitiva della custodia cautelare
in carcere applicata nei confronti di Paolo Del Sole, Giuseppe e Raffaele Maurelli.
7.

Come più volte affermato da questa Corte (ex plurimis:

Sez. 3, n. 2627

del 19/11/2013, 2014, PM in proc. Cuberi, Rv. 258368; Sez. 3, n. 36596 del
07/06/2012, Osmanovic, Rv. 253575), infatti, la norma posta dall’art. 350,
comma 7, cod. proc. pen. fa eccezione alle disposizioni più generali poste dai
commi precedenti – ed in particolare a quelle secondo cui le notizie assunte sul
luogo o nella immediatezza del fatto da persona nei cui confronti vengono svolte
indagini senza la presenza del difensore possono essere utilizzate solo ai fini
della immediata prosecuzione delle indagini, mentre ne è vietata ogni
documentazione e ogni altra utilizzazione (commi 5 e 6) — oltre che al principio

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reali, pertanto, non contravviene alla regola, secondo la quale oggetto della

generale posto dagli artt. 63 e 64 cod. proc. pen. (ed al principio generale del
nemo tenetur se detegere).
8.

La disposizione dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., in quanto norma

eccezionale, pertanto, non è suscettibile di applicazione analogica e deve essere,
comunque, soggetta ad una interpretazione restrittiva.
La deroga al sistema di garanzie previsto dai primi quattro commi all’art.
350 cod. proc. pen. induce, pertanto, a ricondurre all’ambito concettuale delle
dichiarazioni spontanee esclusivamente le dichiarazioni ricevute in assenza di

inquirenti.
Nel disegno sistematico del codice di procedura penale le dichiarazioni
spontanee non sono, infatti, “stimolate” dall’inquirente, ma frutto della esclusiva
iniziativa della persona sottoposta ad indagini ed esulano, in ragione della
propria spontaneità, dallo schema domanda-risposta.
Il ruolo meramente passivo assunto in tale fase dalla polizia giudiziaria trova
conferma nel dato semantico, atteso che la norma intenzionalmente fa
riferimento alla “ricezione” e non già alla “assunzione”, che figura negli ulteriori
commi della medesima disposizione.
Tale criterio discretivo è accolto dall’orientamento consolidato della
giurisprudenza di legittimità, che afferma che l’elemento decisivo per
l’applicabilità della norma speciale (o eccezionale) risiede esclusivamente nella
spontaneità delle dichiarazioni, che dunque non si risolvano sostanzialmente in
risposte a domande della polizia giudiziaria (Sez. 3, n. 2627 del 19/11/2013,
2014, PM in proc. Cuberi, Rv. 258368; Sez. 3, n. 36596 del 07/06/2012,
Osmanovic, Rv. 253575).
Nessun rilievo assume, invece, la circostanza che il dichiarante sia stato o
meno già iscritto nel registro degli indagati, in quanto anche un soggetto
sottoposto ad indagine conserva integra la facoltà di rendere spontanee
dichiarazioni (Sez. 1, n. 27678 del 17/05/2013, Sgobio).

9. Parimenti non può assumere valenza decisiva la qualificazione attribuita
dalla polizia giudiziaria alle dichiarazioni acquisite.
Spetta, infatti, al giudice il compito primario di garantire la genuinità e la
legalità delle prove poste a fondamento della propria decisione.
Ne consegue che il giudice non può limitarsi a ritenere spontanee le
dichiarazioni dell’indagato solo perché siano state così qualificate dalla polizia
giudiziaria che le ha ricevute, ma deve d’ufficio accertare, sulla base di tutti gli
elementi (anche di natura logica), a sua disposizione se nel caso concreto le

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6-)

qualsiasi sollecitazione, palese o surrettizia, diretta o indiretta, da parte degli

dichiarazioni rese dall’indagato avevano effettivamente natura libera e volontaria
(e, quindi, siano autonomamente promanate dall’indagato, senza alcuna
sollecitazione o domanda della PG); è, pertanto, onere del giudice dare atto di
tale valutazione con motivazione congrua ed adeguata (Sez. 3, n. 2627 del
19/11/2013, Cuberi, Rv. 258368; Sez. 3, n. 36596 del 07/06/2012, Osmanovic,
Rv. 253575).

10. Declinando tali consolidati principi nel caso di specie, deve rilevarsi che

spontanee, bensì sollecitate dagli inquirenti, devono essere ritenute inutilizzabili
in quanto assunte in assenza di difensore ed in assenza dei prescritti avvisi di cui
all’art. 64 cod. proc. pen.
Il “verbale di sommarie informazioni” rese da Marco Molino in tale data,
infatti, si apre con la precisazione che il medesimo “viene escusso nell’ambito del
procedimento penale nr. 28804/2014 della Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Napoli su fatti di sua conoscenza”.
Lo stesso Molino esordisce, precisando che “facendo seguito al verbale di s.i.
datato 08.10.2015, intendo fornire le informazioni richiestemi in quella data,
che, per timore di ritorsioni e minacce, non sono stato in grado di rendere in
quella circostanza”.
Il verbale, inoltre, significativamente si apre con una domanda (“Può chiarire
le modalità di compravendita della barca “Scugnizza”?) e, dopo una ampia
risposta, lunga oltre cinque pagine, si compone di una serie di domande degli
inquirenti e di risposte del Molino, provocate da tali interrogazioni.
L’esplicita finalizzazione delle dichiarazioni rese dal Molino in data 16 luglio
2016 al completamento di un precedente verbale di sommarie informazioni
testimoniali (e, quindi, ad un contenuto dichiarativo provocato), la scansione
dell’atto in domande e risposte e la direzione impressa all’atto istruttorio dagli
inquirenti impongono, pertanto, di considerare tali dichiarazioni come sollecitate
e non già spontanee.
Correttamente, inoltre, il Tribunale del riesame di Napoli ha rilevato come la
spontaneità della presentazione non possa essere confusa con la spontaneità
della dichiarazione.
Il carattere di spontaneità di una dichiarazione resa alla polizia giudiziaria da
persona nei cui confronti vengono svolte indagini non può, infatti, essere escluso
per il solo fatto che furono rese a seguito di invito a presentarsi (Sez. 1, n.
27678 del 17/05/2013, Sgobio, Rv. 256364, in motivazione la Corte ha
evidenziato che l’invito impone la presentazione ad un ufficio di P.G., ma non di
rendere dichiarazioni); correlativamente, pur in caso di presentazione spontanea,

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le dichiarazioni rese da Marco Molino in data 16 luglio 2016, non essendo

è ben possibile che le dichiarazioni rese siano, come peraltro è accaduto nella
specie, sollecitate e non già spontanee.

11. Il Pubblico Ministero ricorrente si duole, inoltre, che il Tribunale di Napoli
abbia omesso di operare la c.d. prova di resistenza e, pertanto, di verificare se,
una volta espunti gli asserti accusatori del Molino, il residuo compendio
probatorio posto a fondamento della richiesta di applicazione della misura
cautelare e del titolo genetico raggiungesse, comunque, la soglia della gravità

Nell’ultima pagina del ricorso il Pubblico Ministero presso il Tribunale di
Napoli censura, infatti, il carattere manifestamente lacunoso, illogico e
contraddittorio della motivazione della ordinanza impugnata in quanto il
Tribunale del riesame non aveva argomentato in ordine alle molteplici attività
investigative svolte (e, segnatamente, ai dati del sistema GPS montato
sull’imbarcazione, agli esiti dell’attività di assistenza giudiziaria internazionale,
alle attività captative, alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, alle
informazioni rese dai protagonisti, diversi dal Molino, alla vendita
dell’imbarcazione ed alle attività di rimessaggio della stessa), rimandando per la
loro valenza indiziaria alla richiesta di applicazione della misura cautelare.

12. Anche tale censura si rivela inammissibile in quanto esula dai motivi di
ricorso deducibili in sede di legittimità.
Il Pubblico Ministero ricorrente si duole nella specie non già del carattere
meramente apparente della motivazione risultante dal testo del provvedimento
impugnato, bensì della infedeltà dello stesso agli atti del processo e,
segnatamente, della pretermissione o della mancata adeguata valorizzazione da
parte del Tribunale del riesame di Napoli di un ampio compendio di elementi
indiziari.
Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro
preventivo o probatorio è, tuttavia, ammesso solo per violazione di legge, in tale
nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia
quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo
posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti
minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere
comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis: Sez. U, n. 25932
del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli,
Rv. 269656).

qc
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indiziaria nei confronti dei germani Maurelli e del Del Sole.

13. Alla stregua di tali rilievi il ricorso formulato dal Pubblico Ministero
presso il Tribunale di Napoli deve essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso il 15/11/2017.

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