Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53034 del 15/11/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 53034 Anno 2017
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: VIGNA MARIA SABINA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LAVECCHIA CONCETTA

nata il 30/09/1964 a BARLETTA

avverso l’ordinanza del 21/04/2017 del TRIB. LIBERTA’ di BARI
sentita la relazione svolta dal Consigliere MARIA SABINA VIGNA;
sentite le conclusioni del PG PIETRO MOLINO, il quale ha concluso chiedendo il
rigetto del ricorso.
Udito il difensore, AvvocatoIOLE MIELE del foro di ROMA, quale sostituto
processuale dell’avvocato DI PAOLA CARMINE del foro di TRANI in difesa di
LAVECCHIA CONCETTA che insiste per l’accoglimento del ricorso.

Poi

Data Udienza: 15/11/2017

RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale del riesame di Bari ha
rigettato la richiesta di riesame proposta nell’interesse di Concetta Lavecchia
avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Bari in data 22.03.2017, in relazione al

– con il ruolo di promozione, costituzione, dirigenza, organizzazione e
finanziamento di un’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di
sostanza stupefacente operante in Trani, unitamente agli indagati Angelo
Aruanno e Antonio Peschechera (capo A dell’incolpazione provvisoria);
– con il ruolo di partecipazione ad altra analoga associazione operante a
Cerignola, facente capo agli indagati Gerardo Fucci, Matteo Cannpierchio,
Giovanni Cutolo e Alessandro Amato (capo B dell’incolpazione provvisoria).

2. Ricorre Concetta Lavecchia, a mezzo del difensore avv. Carmine Di Paola,
che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata, rassegnando un unico
motivo di ricorso, denunciando la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.
proc. pen., per la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione con
riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i reati contestati
all’imputata.
2.1. Il Tribunale del riesame ha ritenuto sussistenti tali indizi unicamente
sulla base delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia senza evidenziare
altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità.
2.2. Il contenuto di messaggi SMS non consente di ritenere riferibili gli stessi
all’incontro del 13 gennaio 2015 presso la pizzeria ove lavorava l’indagata.
L’unico dato certo è il programmato incontro fra Aruanno e Amato, mentre non
emerge che l’iniziativa dell’incontro con i cerignolani sia partita dall’indagata.
Non risulta riscontrato il fatto che, con il termine «zia», si volesse fare
riferimento proprio alla Lavecchia.
2.3. Quest’ultima ha prospettato in sede di interrogatorio una versione
alternativa degli incontri effettivamente verificatisi, e cioè che i cerignolani si
recarono da lei per pretendere il pagamento della cocaina il cui carico — nella
disponibilità del genero Antonio Peschechera — era andato perduto in
conseguenza del sequestro della polizia giudiziaria. Alla deduzione del Tribunale
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delitto di cui all’art. 74 T.U. Stup. commesso:

del riesame, secondo la quale non appartiene alla logica delle organizzazioni
criminali che i creditori si rechino dai debitori a chiedere di pagare, può ribattersi
che il debitore non era un acquirente qualunque ma, secondo l’impostazione
accusatoria, il capo di un altro sodalizio gemellato a quello cerignolano. Essendo
il Peschechera detenuto, era solo l’indagata in grado di intendere il motivo della

2.4. Tutti i soggetti coinvolti nel procedimento in questione sono stati
monitorati dal marzo 2014 al marzo 2015; nell’arco di un anno non è emerso un
solo contatto tra l’indagata e tutti i soggetti ricompresi nel sodalizio tranese.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare infondato.
1.1. È anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte della
Corte di cassazione dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame in tema di
libertà personale. Secondo l’orientamento di legittimità, che il Collegio
condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di cassazione alcun potere di
revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso
lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e
delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel
compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione
della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il controllo di
legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto
impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti,
uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto
incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti,
risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia la
congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento
(Sez. 6 n. 2146 del 25.05.1995, Tontoli, Rv. 201840; Sez. 2 n. 56 del
7/12/2011, Rv. 251760).
Inoltre, il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di
riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare,
da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo
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richiesta di pagamento.

che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza
dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo,
stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del
fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la
rilevanza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia

mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza
dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di
legittimità, quando non risulti

prima facie

dal testo del provvedimento

impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della
razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Sez. 1 n. 1700 del
20.03.1998, Barbaro, Rv. 210566). Non possono essere dedotte come motivo di
ricorso per cassazione avverso il provvedimento adottato dal tribunale del
riesame pretese manchevolezze o illogicità motivazionali di detto
provvedimento, rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui
non risulti in alcun modo dimostrata l’avvenuta rappresentazione al suddetto
tribunale, come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo
dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale
quale, ad esempio, quella costituita da eventuali motivi scritti a sostegno della
richiesta di riesame, ovvero da memorie scritte, ovvero ancora dalla
verbalizzazione, quanto meno nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno
delle conclusioni formulate nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309, comma 8,
cod. proc. pen. (Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003, Marchese, Rv 227110).

2. Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi quanto segue.
2.1 II provvedimento impugnato non presenta i vizi denunciati con il ricorso.
Specificamente, nell’ordinanza si dà atto adeguatamente della sussistenza del
presupposto cautelare di cui all’art. 273 cod. proc. pen., sul quale
essenzialmente si concentra il ricorso, rilevandosi come il fatto enunciato nella
provvisoria imputazione (e, in particolare, i reati associativi) emerga da una serie
di elementi probatori analiticamente descritti nel provvedimento impugnato.
2.2. Il Tribunale di Bari ha, infatti, preliminarmente rimarcato che, alla luce
delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Luigi Colangelo, riscontrate
da captazioni telefoniche ed ambientali, era stato possibile ricostruire
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adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di

l’organizzazione delle due associazioni a delinquere finalizzate al traffico di
stupefacenti operanti a Trani e a Cerignola.
Grazie, poi, alle dichiarazioni di altro collaboratore di giustizia, Nicola Moretti
– autista di Giovanni Cutolo, promotore della associazione a delinquere di cui al
capo B) – era emerso il ruolo apicale rivestito dall’indagata all’interno

all’interno dell’associazione operante a Cerignola.
Il Tribunale del riesame di Bari ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di
colpevolezza a carico dell’indagata, valorizzando le dichiarazioni auto ed etero
accusatorie rese dal predetto collaboratore di giustizia, il quale ha riferito che il
gruppo tranese, di cui la Lavecchia era a capo, era solito rifornirsi di droga da
quello con sede in Cerignola, per lo più tramite Antonio Peschechera – che
riceveva almeno 200 grammi di cocaina una o due volte a settimana da Giovanni
Cutolo, spesso accompagnato da lui.
Moretti ha, poi, precisato che l’indagata, in virtù della autorevolezza
criminale discendente dal matrimonio con Angelo Lombardi, rivestiva un ruolo
assolutamente apicale all’interno del sodalizio tranese, tanto da essere in grado
di impartire ordini anche ad Aruanno e al genero Peschechera.
Successivamente all’arresto di quest’ultimo, l’indagata aveva preteso
l’incontro con i referenti di Cerignola poiché era convinta che fossero stati i
predetti – e più precisamente Alessandro Amato – a tradire genero, il quale era
stato arrestato perché trovato in possesso di droga occultata all’interno della
propria autovettura con modalità ideate dai cerignolani. Nel corso dei due
incontri – tenutisi il 13/01/2015 e il 16/01/2015 presso la pizzeria ove lavorava
– la donna era stata particolarmente aggressiva sia nei suoi confronti sia nei
confronti di Amato della cui lealtà dubitava. All’esito degli incontri la Lavecchia,
ritenendo i cerignolani colpevoli dell’accaduto, si era rifiutata di pagare la
fornitura di droga pari a euro 15.000,00 e tale debito era poi rimasto insoluto.
2.3. Tanto premesso, rileva il Collegio che, secondo la condivisa
giurisprudenza di legittimità, nella fase delle indagini preliminari, i gravi indizi di
colpevolezza richiesti per l’applicazione di una misura cautelare, che devono
essere tali da lasciar desumere la qualificata probabilità di attribuzione
all’indagato del reato per cui si procede, possono fondarsi sulla dichiarazione di
un collaborante, se precisa, coerente e circostanziata, che abbia trovato riscontro
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dell’associazione operante in Trani, nonché il ruolo di partecipe della stessa

in elementi esterni, anche di natura logica, tali da rendere verosimile il contenuto
della dichiarazione (Sez. 2, Sentenza n. 16183 del 01/02/2017, Rv. 269987;
Sez. 1, n. Sentenza n. 16792 del 09/04/2010, Rv. 246948).
Nella specie, con evidenza, sussistono dunque convergenti e circostanziati
riscontri alla chiamata di correo di un collaboratore. Sulla sufficienza, a fini

opportunamente riscontrato, si veda anche Sez. 1, n.40523 del 10/10/2001, Rv.
220241.
2.4. Il Tribunale del riesame di Bari ha, dapprima, evidenziato il compendio
probatorio risultante dalle dichiarazioni di Moretti e ha, poi, valutato in maniera
immune da vizi gli elementi di riscontro costituiti dai servizi di osservazione della
P.G. effettuati, a seguito dell’ascolto di captazioni telefoniche, in occasione dei
due incontri in pizzeria, nonché lo scambio di messaggi SMS fra Amato e
Aruanno in prossimità degli incontri. Si veda, fra tutti, quello in cui i due indagati
fissano l’appuntamento chiarendo che all’incontro sarebbero stati presenti anche
lo «zio» — con ciò riferendosi a Cutolo — e la «zia» — con ciò riferendosi
all’indagata.
Il Tribunale del riesame osserva correttamente che nel contesto criminale
de quo il termine «zia» e «zio» vengono naturalmente usati, con il rispetto
tipico degli ambienti malavitosi, per indicare le persone al vertice
dell’organizzazione. E tale era, appunto, la Lavecchia.
Il fatto che la «zia» sia l’odierna indagata è desunto, peraltro, da altre
captazioni telefoniche indicate puntualmente a pagina nove dell’ordinanza
impugnata.
Logica appare, poi, la valutazione operata dal Tribunale del riesame di Bari
in ordine al fatto che la corretta interpretazione dei messaggi SMS fra Aruanno e
Amato si desume con tutta evidenza dal fatto che effettivamente gli incontri si
sono verificati e che la Lavecchia e Cutolo erano presenti.
Un ulteriore riscontro correttamente evidenziato dal Tribunale del riesame è
costituito proprio dalle ammissioni della indagata rispetto al contenuto degli
incontri. La donna ha riconosciuto che nei dialoghi con i cerignolani si parlò
dell’apparecchiatura montata sull’autovettura sulla quale il Peschechera
trasportavano stupefacente (e cioè del dispositivo che consentiva, azionando il
pulsante dello sbrinamento, di aprire il vano nel quale occultare la droga). Ciò
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indiziari, della chiamata in correità da parte di un solo collaboratore,

ovviamente conferma le dichiarazioni del Moretti in merito al fatto che l’indagata
si lamentò dell’uso di tale dispositivo. La Lavecchia ha, poi, ammesso di essersi
alterata a seguito della richiesta di denaro; tale parziale ammissione riscontra,
come correttamente evidenziato dal Tribunale del riesame la circostanza narrata
da Moretti del rifiuto da parte della donna di pagare il valore della merce

In conclusione, il Tribunale del riesame ha ritenuto – con coerente e logica
motivazione – che il ruolo apicale rivestito dalla Lavecchia sia desumibile dal
fatto che la predetta, nel contestare le modalità di trasporto dello stupefacente
nella circostanza in cui era stato arrestato il genero, dimostrò chiaramente di
partecipare in prima persona alla attività illecita del sodalizio tranese, laddove infuriata – rilevò come «nelle altre occasioni», nessun problema fosse mai
emerso.
È, quindi, corretta la deduzione logica tratta dal tribunale del riesame
secondo la quale l’indagata era perfettamente a conoscenza delle modalità di
trasporto e della provenienza dello stupefacente.
Il ruolo di dirigente dell’indagata è stato logicamente desunto dal tribunale
del riesame dalla condotta della Lavecchia allorché si rifiutò di pagare la fornitura
di droga.
2.5 La ricorrente, sostenendo che l’iniziativa dell’incontro non era nata
dall’indagata, ma dai vertici dell’organizzazione di Cerignola, prospetta una
ricostruzione alternativa dei fatti inammissibile, in considerazione della
ricostruzione immune da vizi logici prospettata dal Tribunale del riesame.
2.6. Risultano infondate le considerazioni svolte dalla ricorrente in ordine al
fatto che i riscontri esterni alle dichiarazioni di Moretti appaiono insufficienti.
Deve osservarsi che, in ordine al riscontro esterno, gli elementi di prova
utilizzati possono essere di qualsiasi tipo e natura, sia rappresentativi che logici,
purché idonei a quella funzione, e non è necessario che concernano in modo
diretto il thema probandum, e tanto meno che consistono in prove autonome
della colpevolezza (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255245).
Il Tribunale del riesame di Bari ha fatto buon uso di tale principio nella parte
in cui ha ricavato dalle dichiarazioni rese dall’indagata in sede di interrogatorio di
c)…..e.
,
garanzia – in ordine al fatto – i cerignolani si recarono due volte a Trani per
discutere di quanto accaduto con la Lavecchia e che quest’ultima si arrabbiò
7

sequestrata.

rifiutandosi di pagare la fornitura – un riscontro alle dichiarazioni di Moretti sul
ruolo apicale rivestito dalla stessa all’interno dell’organizzazione.
Immune da vizi è, infine, la considerazione svolta dal Tribunale del riesame
a proposito del fatto che, non avendo la Lavecchia preso parte alla commissione
di reati fine, è del tutto naturale che la stessa non compaia nelle intercettazioni

massima di esperienza, si limitano alla gestione del sodalizio senza apparire
all’esterno.

3. Ritiene, in conclusione il Collegio che il Tribunale del riesame di Bari abbia
adeguatamente fondato la propria valutazione e che, conseguentemente il
ricorso debba essere rigettato in quanto infondato.

4. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta
il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento.
4.1. Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in
libertà della ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter,
delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della
stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagata si
trova ristretta perché provveda a quanto stabilito dal citato articolo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter,
disp. att. cod. proc. pen..

telefoniche. Ciò in considerazione del fatto che i capi, sulla base di una comune

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