Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53016 del 11/10/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 53016 Anno 2017
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da

Beye Mamadou, nato a Fort de France (Francia) il 06/06/1989

avverso la sentenza del 03/04/2017 del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale
Antonio Mura, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’avv. Debora Lazzaro, difensore di fiducia di Beye Mamaodu, ricorre per
cassazione avverso la sentenza di applicazione pena emessa in data 3 aprile
2017 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino nei confronti
dell’imputato per il delitto di cui all’art. 73, comma 1 ed 1 bis d.P.R. 9 ottobre

Data Udienza: 11/10/2017

1990, n. 309, commesso in Torino in data 18 ottobre 2016, nella parte in cui ha
disposto ai sensi dell’art.

12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306,

convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, la confisca della
somma di 1.873,00 euro, rinvenuta nella disponibilità del prevenuto.

2. Il ricorrente, con unico motivo, censura la mancanza di motivazione sul
punto e la violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 444,
445, comma 1, cod. proc. pen. e 240 cod. pen., deducendo che nel corso del

criminosa della somma confiscata.
3. L’imputato, al contrario, aveva fornito prova documentale della
provenienza lecita di tale denaro, in quanto dal 2014 aveva aperto una partita
IVA per svolgere l’attività di venditore ambulante di pellame e, comunque, la
moglie era titolare di una rosticceria dal 2012.
4. Non poteva, peraltro, considerarsi sproporzionata rispetto alle capacità
reddituali del coniuge dell’imputato il rinvenimento nella propria abitazione della
somma di euro 1.100,00 e nemmeno la somma di 773,00 euro in monete,
custodite all’interno di un salvadanaio predisposto dai coniugi per il figlio piccolo
nato da poco.

5. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino aveva,
pertanto, disposto la confisca sulla base di mere presunzioni, obliterando,
tuttavia, che l’abitazione nella quale era stato rinvenuto il danaro era coniugale e
non solo di spettanza dell’imputato.

6. Rilevava, inoltre, il ricorrente che, secondo il principio di diritto affermato
dalla sentenza n. 21709 emessa in data 3 aprile 2012 dalla Sezione Terza Penale
di questa Corte, con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R.
n. 309 del 1990, non è ammessa alcuna presunzione di collegamento tra il
danaro sequestrato e l’attività illecita e, pertanto, il giudice deve esporre le
motivazioni che fondano la conclusione secondo la quale sussiste un univoco
collegamento tra la somma sequestrato ed il reato connesso, non potendosi in
tale ambito fare ricorso alla presunzione posta dall’art.

12-sexies del decreto-

legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto
1992, n. 356.

7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto il motivo nello
stesso dedotto esula dal novero dei vizi di legittimità tassativamente delineati

2

procedimento non erano emersi elementi che indiziassero la provenienza

dall’art. 606 cod. proc. pen., in ragione del proprio contenuto volto a sindacare il
merito della decisione, e si rivela, comunque, manifestamente infondato.
8. Il ricorrente, infatti, pur formalmente censurando la motivazione della
confisca disposta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, si
è, invero, limitato a contestare in fatto l’apprezzamento espresso in ordine alla
provenienza delle somma di danaro sottoposte a sequestro.
9. Sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi

nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal
ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex multis: Sez. 6, n.
47204, del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).
10. Inconferente si rileva, inoltre, il richiamo operato dalla parte ricorrente
al principio di diritto enunciato dalla sentenza 21709 emessa in data 3 aprile
2012 dalla Sezione Terza Penale di questa Corte, in quanto la stessa ha ad
oggetto una ipotesi di applicazione della confisca diretta, non essendo
ammissibile, il ricorso alla confisca allargata o per sproporzione là dove sia
ravvisato il fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del
1990 (ex plurimis: Sez. 4, n. 40912 del 19/09/2016, Ka, Rv. 267900; Sez. 2, n.
41778 del 30/09/2015, Scivoli, Rv. 265247).
11. Tale norma, infatti, nel prevedere solo in relazione a determinati reati,
tassativamente previsti, una speciale ipotesi di confisca obbligatoria svincolata
dai presupposti fissati nell’art. 240 cod. pen., non contempla l’ipotesi autonoma
di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990.
12. Pertanto, in relazione al reato di cessione di sostanze stupefacenti,
quando venga ravvisata l’ipotesi del fatto di lieve entità, può procedersi alla
confisca del danaro trovato in possesso dell’imputato solo quando ricorrono le
condizioni generali previste dall’art. 240 cod. pen. per la confisca del profitto del
reato e non ai sensi dell’art. 12 sexies del D.L. n. 306 del 1992, convertito nella
legge n. 356 del 1992 (Sez. 4 n. 4199 del 11/12/2007, Perotto, Rv. 238432).

13. Il delitto di cui all’art. 73, comma 1 ed 1 bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309 contestato nel presente procedimento ammette, invece, il ricorso alla
confisca c.d. allargata o per sproporzione di cui all’art. 12 sexies del d.l. n. 306

3

Qi

di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di

del 1992 e la motivazione della sentenza impugnata sul punto congruamente si
fonda sulla verifica della sussistenza dei presupposti applicativi della stessa.
14. Tutt’altro che illogicamente, infatti, il Giudice per le indagini preliminari
nella motivazione della sentenza impugnata ha ritenuto che le somme di danaro
sottoposte a sequestro fossero di diretta spettanza dell’imputato, poiché erano
state rinvenute sulla sua persona (160 euro) o in zone della abitazione di sua
esclusiva pertinenza e, segnatamente, in una giacca da uomo in cui era custodita

l’imputato aveva riconosciuto la proprietà, pur avendo dichiarato che le somma
nello stesso presenti fossero destinate a pagare il canone di locazione.
15. Analogamente il Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto, non certo
incongruamente, sussistere una sproporzione tra l’entità di tale somma ed i
redditi del prevenuto, privo di documentata attività lavorativa lecita all’epoca dei
fatti.

16. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
siano stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di euro 2.000, in favore della cassa delle
ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso 1’11/10/2017.

anche parte della sostanza stupefacente in sequestro ed in un salvadanaio di cui

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