Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5301 del 15/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 5301 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
COCUZZA ANTONINO N. IL 05/09/1974
avverso l’ordinanza n. 755/2011 TRIBUNALE di CATANIA, del
13/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 15/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 13 giugno 2012 il Tribunale di Catania, in funzione di
giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da Cocuzza Antonino,
volta al riconoscimento del vincolo della continuazione tra il delitto associativo e
la detenzione di arma, giudicati con le sentenze oggetto della richiesta, avuto
riguardo alla mancanza di elementi probativi della configurabilità della unicità del

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo
del suo difensore, il condannato, che ne ha chiesto l’annullamento sulla base di
unico motivo con il quale ha dedotto violazione dell’art. 81 cpv. cod. pen. e
mancanza e illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c)
ed e), cod. proc. pen., per avere il Tribunale ritenuto in modo illogico non
sufficientemente provata la programmazione unitaria dei delitti oggetto della
richiesta, avendo riguardo alla affermata sua partecipazione alla organizzazione
mafiosa c.d. clan Santapaola, alla omogeneità dei reati in ragione dell’accertata
natura armata di detta organizzazione, e alla non incidenza della differenza
temporale tra le date dei due reati, non implicando la indicazione formale della
data di accertamento della partecipazione al sodalizio (28 giugno 2003) la
cessazione di tale partecipazione e ricavandosi la prova della perpetuazione del
vincolo associativo dal rinvenimento dell’arma nella sua disponibilità (23
settembre 2009).
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. La nozione di continuazione delineata nell’art. 81, comma 2, cod. pen.,
richiede che i fatti siano riferibili a un “medesimo”, dunque originario, disegno
criminoso.
Detta unicità di disegno, necessaria per il riconoscimento della continuazione
in fase di cognizione e in fase esecutiva, non può identificarsi con la generale
tendenza a porre in essere determinati reati o comunque con una scelta di vita
che implica la reiterazione di determinate condotte criminose. Occorre invece che
si abbia una iniziale programmazione e deliberazione di compiere una pluralità di
reati, che possono essere anche non dettagliatamente ab origine progettati e
organizzati, purché siano almeno in linea generale previsti in funzione di
2

disegno criminoso.

”adattamento” alle eventualità del caso, come mezzo al conseguimento di un
unico fine, prefissato e sufficientemente specifico.
Deve, pertanto, escludersi che una tale programmazione possa essere
desunta sulla sola base dell’analogia dei singoli reati o del contesto in cui essi
sono maturati. Né l’inciso “anche in tempi diversi”, contenuto nell’art. 81,
comma 2, cod. pen., consente di escludere rilevanza all’aspetto del tempo di
commissione dei reati, non potendo ritenersi che la vicinanza temporale
costituisca di per sé “indizio necessario” dell’esistenza del medesimo disegno

1.2. Nella specie, il ricorrente, che ha insistito nell’affermare la sussistenza
di indici fattuali dimostrativi della effettiva unitarietà della sua condotta
delittuosa per la perpetuazione del vincolo associativo nel contesto di un
sodalizio di natura armata, ha trascurato le articolate ragioni, coerenti con i dati
obiettivi plausibilmente valutati, poste dal Giudice dell’esecuzione a fondamento
dell’affermazione, corretta in diritto, che i fatti dei quali si chiedeva l’unificazione
non potevano in alcun modo ritenersi il portato di un unico originario disegno
criminosoCnon identificabile con la dedotta perpetuazione del vincolo associativo) /
la prova della cui eventuale sussistenza, dopo l’accertamento della commissione
del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e la relativa condanna, sarebbe stata,
peraltro, dimostrativa di ulteriore violazione della stessa disposizione normativa.
La mancata correlazione con la ratio decidendi dell’ordinanza impugnata,
risolvendosi in deduzioni astratte dai riferimenti ai dati fattuali concreti in essa
indicati, rende generiche nella sostanza, oltre che manifestamente infondate, le
deduzioni svolte.
2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto
del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa d’inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2013
Il Consigliere estensore

Il Pre idente

criminoso.

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