Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52999 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 52999 Anno 2017
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: VIGNA MARIA SABINA

SENTENZA
sul ricorso proposto da

BORSCI LUIGI, nato il 11/01/1980 a Sava
avverso la sentenza del 21/09/2016 della Corte d’appello di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Maria Sabina Vigna;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Simone
Perelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata, limitatamente alla omessa pronuncia sulla richiesta di concessione
delle attenuanti generiche e del beneficio della non menzione della condanna;

dato atto dell’assenza del difensore nominato di ufficio, Avv. Rossella Mihaela
Micalizzi.

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Data Udienza: 07/11/2017

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro, a seguito di
gravame interposto dall’imputato BORSCI Luigi avverso la sentenza emessa il
15/12/2011 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Catanzaro, in riforma della decisione ha riqualificato i fatti nell’ipotesi colposa di
cui all’art. 326 comma 2 cod. pen., rideterminando la pena inflitta all’imputato,
in mesi quattro di reclusione.

inerenti alle funzioni e al servizio di carabiniere rivelando la notizia dell’avvenuta
emissione di ordinanza di custodia cautelare a carico di Lentini Paolo e Morelli
Antonio.
Incaricato per l’esecuzione della predetta ordinanza, intrapresa nella notte
tra il 20 e il 21 aprile 2009, di rintracciare la casa di abitazione di Morelli, in Isola
Capo Rizzuto, BORSCI decideva di contattare l’avv. Magnolia, suo amico, per
ricevere informazioni sul luogo di dimora di Morelli, così lasciando intendere allo
stesso, parente e frequentatore del Morelli, l’esistenza dell’ordinanza e
l’imminente incursione da parte delle forze dell’ordine, tanto che Morelli e Lentini
si sottraevano all’esecuzione dell’ordinanza, grazie al tempestivo intervento del
legale.

1.2. La Corte di appello di Catanzaro ha ritenuto che, dalla ricostruzione
della fattispecie, non emergeva una condotta dolosa da parte del BORSCI,
essendosi lo stesso limitato a commettere una palese ingenuità e cioè pensare di
potere ottenere da Magnolia determinate informazioni sulla luogo di abitazione di
Morelli, mascherando la richiesta con altri nominativi di residenti nella medesima
contrada.
La Corte territoriale, conseguentemente, ha riqualificato i fatti nell’ipotesi
colposa di cui all’art. 326 comma 2 cod. pen..

2.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato

personalmente che ha dichiarato di rinunciare alla prescrizione del reato maturata successivamente all’emissione della sentenza di secondo grado – e che
ha dedotto:

2.1. Violazione di legge e nullità della sentenza per mancata contestazione
di fatto diverso da quello contenuto nel capo di imputazione.
Il fatto come rideterminato dal Giudice di appello è diverso da quello
originariamente contestato, non solo dal punto di vista della qualificazione

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1.1. BORSCI è stato condannato in primo grado per avere violato i doveri

giuridica, ma anche dal punto di vista materiale, posto che una cosa è contestare
di avere rivelato intenzionalmente un’informazione specifica e altra cosa è
contestare di avere rivelato senza volontà un’informazione generica.
La sentenza è, quindi, affetta da nullità a regime intermedio per violazione
del diritto di difesa.
La sentenza di appello ha, altresì, omesso totalmente di valutare i motivi di
impugnazione relativi alle ragioni per le quali l’imputato andava assolto.

Non si può dare certezza al nesso causale fra la condotta contestata al
BORSCI, nei termini accertati dalla Corte d’appello, e la fuga di Morelli e Lentini
se si ritiene che il Magnolia ha solo intuito che le informazioni richieste da
BORSCI erano finalizzate all’esecuzione di una ordinanza cautelare, senza alcuna
specificazione dei soggetti interessati.

2.3. Errata applicazione della legge penale e carenza di motivazione circa il
profilo della colpa.
La Corte di appello di Catanzaro ha ravvisato l’esistenza del profilo della
colpa, non indicando però quale condotta alternativa lecita avrebbe dovuto
tenere l’imputato per adempiere al proprio incarico.

2.4. Mancata valutazione del motivi di appello in punto di mancata
concessione delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della non
menzione.
Il giudice di primo grado aveva escluso la concessione delle circostanze
attenuanti generiche, tale decisione era oggetto di esplicito motivo di gravame al
quale la Corte d’appello di Catanzaro nulla ha risposto.
Privo di motivazione è rimasto anche il motivo di appello relativo alla
mancata concessione del beneficio della non menzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, limitatamente al quarto motivo di ricorso.
Saranno, innanzitutto, esaminati i motivi di ricorso che attengono alla
dichiarazione di responsabilità e alla violazione dell’art. 521 cod. proc. pen..

2. Esaminando il primo motivo di ricorso, conviene distinguere le due
doglianze in esso contenute.

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2.2. Illogicità, contraddittorietà e carenza di motivazione.

2.1. La seconda doglianza, che concerne la mancata assoluzione del
ricorrente, deve essere trattata unitariamente con il secondo e il terzo motivo di
ricorso.
Con riguardo alla ricostruzione del fatto, il provvedimento impugnato
riporta, senza contraddizione alcuna, gli elementi emersi a carico del ricorrente
costituiti dai tabulati telefonici, che provano i contatti tra BORSCI e Magnolia nel
pomeriggio del 19.04.2009 e tra quest’ultimo e Morelli nella serata dello stesso
giorno ed il giorno successivo, dalla telefonata del 20 aprile 2009 nel corso della

trovino ancora ad Isola Capo Rizzuto, dalla telefonata del 20 aprile 2009 nel
corso della quale Lentini avvisa la moglie che lui e Morelli si erano allontanati,
dalla nota della sezione anticrimine del ROS, che attesta che Morelli e Lentini non
erano rintracciati al momento dell’esecuzione della ordinanza cautelare, dai
contatti telefonici fra l’imputato e Magnolia nel corso dell’esecuzione della misura
cautelare a casa di Morelli, dalle dichiarazioni dell’imputato, il quale non nega di
avere contattato Magnolia, da lui definito «fraterno amico» per avere
informazioni sulla casa di abitazione di Morelli.
Tali elementi sono valutati adeguatamente e puntualmente dalla Corte
territoriale, che motiva, appunto, sulla convergenza del materiale probatorio
anche in considerazione del contributo conoscitivo portato, sul fatto materiale,
dallo stesso imputato.
Nel

provvedimento impugnato si sottolinea coerentemente che

l’allontanamento di Morelli e Lentini da Isola Capo Rizzuto nelle ore precedenti
l’avvio delle catture ordinate nell’ambito della «operazione Ghibli» deve
considerarsi causalmente ricollegato alle informazioni fatte avere ai predetti
dall’avvocato Magnolia – il quale risulta, peraltro, condannato, in ordine a questi
fatti, per il delitto di favoreggiamento con sentenza irrevocabile (Sez. 2, n.
14091 del 18.03.2015) – proprio a seguito dei contatti improvvidi e
indirettamente rivelatori avuti con BORSCI.
E’, quindi, pacifica la violazione del segreto di ufficio da parte dell’imputato e
la Corte ha motivato, sul punto, senza cadere in contraddizione alcuna.
La fonte del segreto di ufficio sanzionato dall’art. 326 cod. pen deve essere,
inoltre, rinvenuta, nel caso di specie, nell’art. 329 cod. proc. pen. comma 1, il
quale dispone che gli atti di indagine compiuti dal Pubblico ministero e dalla
Polizia Giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa
avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari
(Sez. 6, sentenza n. 25167 del 2008).

quale Magnolia esprime a Morelli e Lentini sorpresa per il fatto che gli stessi si

Appare, altresì, corretta la qualificazione della fattispecie come colposa, non
rinvenendosi nel provvedimento impugnato alcuna violazione di legge o omessa
motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato.
La Corte di appello di Catanzaro ha ravvisato l’esistenza del profilo della
colpa nell’ingenuità del BORSCI, il quale ha deciso di ricercare informazioni su
una persona colpita da ordinanza di custodia cautelare in carcere presso un caro
amico avvocato che sapeva essere cugino di uno dei ricercandi.
E’ di tutta evidenza – quanto alla

condotta alternativa lecita che

poteva rivolgersi i giorni precedenti l’esecuzione di una importante misura
cautelare ad un avvocato legato a doppio filo con la persona da ricercare
pensando di ottenere dallo stesso informazioni sul luogo di abitazione del Morelli
senza che lo stesso intuisse che tra l’elenco delle persone da lui indicate vi fosse
anche il predetto. Così facendo, l’imputato ha chiaramente «messo sull’avviso»
il legale, il quale, in tempo reale, ha informato il parente.
La Corte d’appello è chiarissima allorchè sostiene che BORSCI doveva
evitare anche il semplice contatto con un esponente della categoria forense in
rapporti di parentela con uno dei catturandi.

Pertanto, l’indicata doglianza, contenuta nel primo motivo di ricorso, il
secondo e il terzo motivo di ricorso devono ritenersi infondati.

2.2. Infondata è anche la seconda doglianza del primo motivo di ricorso in
ordine alla nullità della sentenza per mancata contestazione di fatto diverso da
quello contenuto nel capo di imputazione.
In merito è ampiamente consolidata la giurisprudenza, condivisa da questo
Collegio, secondo cui l’osservanza del diritto al contraddittorio in ordine alla
natura e alla qualificazione giuridica dei fatti di cui l’imputato è chiamato a
rispondere, sancito dall’art. 6 CEDU, commi 1 e 3, lett. a) e b), e dall’art. 111
Cost., comma 3, è assicurata anche quando il giudice d’appello provveda alla
riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva
interlocuzione sul punto, in quanto l’imputato può comunque pienamente
esercitare il diritto di difesa proponendo ricorso per cassazione ai sensi dell’art.
606 c.p.p., lett. b), trattandosi di questione di diritto la cui trattazione non
incontra limiti nel giudizio di legittimità (Sez. 2, Sentenza n. 32840 del
09/05/2012, Damjanovic, Rv. 253267; sent. n. 46401 del 09.10.2014 – Rv.
261047); e che tale circostanza non determini alcuna compressione o limitazione
del diritto al contraddittorio, trova riscontro anche nella regola di sistema
espressa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU Provvedimento n.
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erroneamente l’imputato sostiene non essergli stata indicata – che BORSCI non

25575/04 del 11.12.2007, Drassich c. Italia), perché consente all’imputato di
contestarla nel merito con il ricorso per cassazione (Sez. 2, Sentenza n. 17782
del 11/04/2014 Rv. 259564, Imputato: Salsi).
La violazione del contraddittorio e del principio di correlazione tra accusa e
sentenza non può ritenersi sussistente nel caso di specie. La giurisprudenza è
ormai consolidata nel ritenere che in tema di correlazione tra imputazione
contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una
trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta

configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale
pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare
la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero
confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in
materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando
l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione
concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione. (Sez. U, Sentenza n.
36551 del 15.07.2010 – Rv.248051). È stato inoltre affermato che in tema di
correlazione tra accusa e sentenza, secondo quanto stabilito dall’art. 521 cod.
proc. pen., il giudice ben può attribuire una definizione giuridica diversa senza
incorrere nella violazione dell’obbligo della correlazione, a meno che il fatto
accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di
incompatibilità sostanziale. (Sez. U, Sentenza n. 31617 del 26/06/2015 Rv.
264438, Sez. 6; Sentenza n. 81 del 06/11/2008 dep. 07/01/2009 Rv. 242368
Rv).
Uniformandosi a questo orientamento giurisprudenziale, la Corte territoriale
ha provveduto a riqualificare l’imputazione senza alcun reale ed effettivo
pregiudizio del diritto di difesa dell’imputato alla luce del fatto che l’ipotesi di
reato per la quale è stata pronunciata la condanna è meno grave di quella
originariamente contestata, le due fattispecie delittuose non possono certo
essere considerate sostanzialmente incompatibili e, soprattutto, vi è
un’innegabile identità nel fatto storico.
Sicché, l’imputato ha potuto utilizzare tutti gli strumenti difensivi che
l’ordinamento gli garantisce sin dal momento iniziale del processo.

3. Il ricorso merita, invece, accoglimento nella parte in cui lamenta la
omessa valutazione del motivo di appello in punto di mancata concessione delle
circostanze attenuanti generiche e del beneficio della non menzione.
Il giudice di primo grado ha escluso in sentenza la concessione delle
circostanze attenuanti generiche e tale decisione è stata oggetto di esplicito
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nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si

motivo di gravame al quale la Corte d’appello di Catanzaro nulla ha risposto.
Privo di motivazione è rimasto anche il motivo di appello relativo alla mancata
concessione del beneficio della non menzione.
La sentenza impugnata va, dunque, annullata limitatamente alla omessa
pronuncia sulla richiesta di concessione delle attenuanti generiche e del beneficio
della non menzione della condanna con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad
altra Sezione della Corte d’appello di Catanzaro.
Il ricorso deve essere, nel resto, rigettato e deve essere dichiarata definitiva

cod. pen..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla omessa pronuncia sulla
richiesta di concessione delle attenuanti generiche e del beneficio della non
menzione della condanna e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione
della Corte d’appello di Catanzaro.
Rigetta nel resto il ricorso del BORSCI, dichiarandone definitiva la
responsabilità per l’ascritto reato di cui all’art. 326, comma 2, cod. pen..
Così deciso il 7 novembre 2017

la responsabilità dell’imputato per l’ascritto reato di cui all’art. 326, comma 2,

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