Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52980 del 16/03/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 52980 Anno 2017
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
nei confronti di:
AUDINO DOMENICO N. IL 27/09/1979
avverso l’ordinanza n. 5144/2015 TRIB. SORVEGLIANZA di
TORINO, del 09/11/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE
SANDRINI;
lette/tseniitet le conclusioni del PG Dott. m\ (n o ch
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Data Udienza: 16/03/2017

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in rubrica il Tribunale di sorveglianza di Torino ha
dichiarato inammissibile il reclamo-impugnazione, proposto dal direttore
generale del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nei confronti del
provvedimento con cui il magistrato di sorveglianza di Novara aveva accolto il
reclamo-istanza del detenuto Audino Domenico in materia di spedizione di plichi
contenenti più missive.
Il Tribunale di sorveglianza riteneva che il reclamo fosse stato proposto in

all’Avvocatura dello Stato il patrocinio in giudizio delle amministrazioni statali.
2. Il Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura
distrettuale dello Stato, ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta
ordinanza, lamentando violazione di legge, in relazione agli artt. 35-bis ord.pen.,
666 e 678 cod.proc.pen., nonché vizio di motivazione, per due ordini di motivi.
Col primo motivo, il ricorrente censura l’illegittima esclusione della difesa diretta
dell’amministrazione penitenziaria in entrambe le fasi del procedimento di
sorveglianza di cui all’art. 35-bis ord.pen., la cui possibilità è invece riconosciuta
dalle relative norme regolatrici; lamenta la violazione, altrimenti, del principio del
contraddittorio e della parità delle armi processuali tra l’amministrazione e il
soggetto detenuto, pacificamente legittimato a difendersi personalmente,
rilevando la necessità di consentire anche al funzionario che rappresenti
l’amministrazione in giudizio di munirsi di difensore tecnico, al pari di quanto
assicurato alla parte privata mediante la nomina del difensore d’ufficio; prospetta
la difficoltà, altrimenti, di assicurare alla parte pubblica un’efficace difesa,
rispetto ad atti non portati a tempestiva conoscenza dell’Avvocatura dello Stato,
destinataria soltanto della notificazione dell’avviso dell’udienza fissata davanti
agli organi della magistratura di sorveglianza, e non del contenuto degli atti
introduttivi del giudizio di primo e secondo grado.
Col secondo motivo, il ricorrente censura il mancato riconoscimento del carattere
endoprocessuale del reclamo al tribunale di sorveglianza, non avente natura di
impugnazione funzionale a dare ingresso a una nuova fase dell’unico giudizio
articolato in due sottofasi, e inidoneo perciò a radicare l’esigenza di una difesa
tecnica dell’amministrazione interessata; evoca un parallelismo, sul punto, con la
procedura di reclamo dei provvedimenti cautelari nel processo civile, ex art. 669
terdecies cod.proc.civ., ed invoca, in via subordinata, la sanatoria del reclamo
proposto personalmente dall’amministrazione penitenziaria, in ossequio al
principio di utile conservazione dell’atto.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha rassegnato conclusioni scritte, ‘(Ì)
chiedendo il rigetto del ricorso.
1

violazione delle norme che riservano, in via obbligatoria ed esclusiva,

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Occorre anzitutto rilevare l’inammissibilità delle censure del ricorrente nella
parte in cui deducono la contraddittorietà e la manifesta illogicità della
motivazione dell’ordinanza impugnata ai sensi dell’art. 606 comma

1 lett. e)

cod.proc.pen., in quanto il provvedimento emesso dal Tribunale di sorveglianza
in sede di reclamo giurisdizionale ex art. 35-bis ord.pen. è ricorribile per
cassazione solo per violazione di legge, ai sensi del comma 4-bis della norma.
2. Nel resto, il ricorso è infondato in ogni deduzione, per le ragioni che seguono.

dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, stanno in giudizio
con la rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza dell’Avvocatura dello Stato.
L’art. 100 cod.proc.pen. prevede a sua volta, con norma di portata generale
applicabile a tutti i procedimenti disciplinati dal codice di rito penale (tra i quali
deve annoverarsi anche il procedimento di sorveglianza, disciplinato dagli artt.
678 e seguenti) che le parti lato sensu private – diverse dall’imputato e dalla
persona detenuta o internata – devono stare in giudizio, in via di principio, col
ministero di un difensore, munito di procura speciale.
Con specifico riguardo alla materia delle impugnazioni, l’art. 571 cod.proc.pen.
riconosce la legittimazione generale a proporle, personalmente o a mezzo di
procuratore speciale, all’imputato, mentre il difensore di quest’ultimo è titolare di
un’autonoma, e concorrente, legittimazione ad impugnare, allorchè si tratti del
difensore che assisteva l’imputato al momento del deposito del provvedimento
suscettibile di impugnazione o che sia stato nominato a tal fine, e sempre che
l’imputato non ritenga (insindacabilmente) di togliere efficacia all’impugnazione
proposta dal suo difensore.
Dal sistema è dunque ricavabile il principio per cui, con la sola eccezione
dell’imputato (oltre che, ovviamente, del pubblico ministero), le altre parti
interessate, coinvolte nel processo o nel procedimento, possono impugnare i
provvedimenti che le riguardano – nei limiti, naturalmente, in cui il diritto di
impugnazione sia loro riconosciuto dalla legge – soltanto col ministero della
difesa tecnica, essendo il difensore l’unico soggetto legittimato a esercitare lo ius
impugnandi per conto e nell’interesse della parte da lui rappresentata, rispetto
alla quale non è configurabile quello “sdoppiamento” di legittimazione che
l’ordinamento riconosce eccezionalmente soltanto all’imputato e al suo difensore.
Il diritto di impugnazione personale dell’imputato costituisce un’espressione della
componente di autodifesa riconosciuta alla persona accusata, nonché – in virtù
del rinvio generale alla disciplina delle impugnazioni operato dall’art. 666 comma
6 cod.proc.pen. con riferimento al procedimento di esecuzione, ed ulteriormente
esteso, in forza del rinvio per relationem contenuto nell’art. 678, al procedimento

2

3. L’art. 1 del Regio Decreto n. 1611 del 1933 stabilisce che le Amministrazioni

di sorveglianza – alla persona condannata o in espiazione pena; si tratta di una
legittimazione di natura eccezionale, che non può essere estesa, salva l’esistenza
di una norma speciale che espressamente lo preveda, alle altre parti del
processo (diverse dal pubblico ministero), nei confronti delle quali l’esigenza di
autodifesa dalla comminazione, dall’esecuzione o dall’espiazione di una sanzione
di natura penale neppure si pone.
Una norma analoga a quella dell’art. 571 cod.proc.pen., che attribuisca alle
Amministrazioni dello Stato un’autonoma facoltà di impugnare direttamente i

ex art. 35-bis ord.pen., non è rinvenibile nell’ordinamento, con la conseguenza
che deve trovare inderogabile applicazione nei loro confronti la norma generale
di cui all’art. 1 Regio Decreto n. 1611 del 1933, che stabilisce l’obbligo di
avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato.
4. In particolare, per quanto qui interessa, la facoltà di impugnazione autonoma
e personale dell’amministrazione penitenziaria, senza necessità del patrocinio
dell’Avvocatura dello Stato, non può trovare fondamento normativo, in materia
di procedimento di sorveglianza, nel diritto riconosciuto “all’amministrazione
interessata” dall’art. 35-bis comma

1 ord.pen. di partecipare e contraddire

direttamente in persona dei propri funzionari, comparendo ovvero facendo
pervenire osservazioni e richieste in forma cartolare, all’udienza fissata dal
magistrato di sorveglianza per la trattazione del reclamo giurisdizionale proposto
dalla persona detenuta o internata che lamenti, nei confronti
dell’amministrazione, la lesione di una posizione di diritto soggettivo.
La ratio sottesa alla previsione di tale intervento personale (che peraltro non
preclude la facoltà generale dell’amministrazione di avvalersi

ab initio della

rappresentanza istituzionale dell’Avvocatura dello Stato) nel procedimento di
reclamo di prima istanza – che è ragionevolmente individuabile nella veste di
contraddittore prioritario e diretto della pretesa fatta valere dal soggetto al cui
trattamento l’amministrazione penitenziaria è preposta, in grado perciò non solo
di fornire in tempi celeri, e senza intermediazioni, al magistrato di sorveglianza
informazioni utili alla delibazione della domanda dell’interessato, ma anche di
intervenire immediatamente e direttamente a far cessare o rimuovere il
pregiudizio lamentato, ove sussistente, nell’ambito di un procedimento che deve
ritenersi scevro da particolari formalità e connotato da obiettive finalità di
urgenza, effettività e adeguatezza della tutela che deve essere assicurata, in
caso di accertata violazione dei diritti della persona detenuta – non trova, invero,
(più) ragion d’essere nel procedimento d’impugnazione avverso il provvedimento
che abbia accordato la tutela richiesta, e che deve seguire perciò le regole
ordinarie per quanto concerne l’osservanza del modello legale di azione e

3

provvedimenti giudiziali, in specie quelli emessi in sede di reclamo giurisdizionale

rappresentanza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato.
Un preciso dato testuale a supporto della conclusione così raggiunta è, del resto,
rinvenibile nel rinvio normativo operato dal comma 1 dell’art. 35-bis ord.pen.,
per tutto quanto in esso non diversamente disposto, alla disciplina generale degli
artt. 666 e 678 cod.proc.pen., che include, dunque, anche il richiamo, contenuto
nel comma 6 dell’art. 666, delle “disposizioni sulle impugnazioni”: disposizioni
che non prevedono, per le ragioni sopra indicate, alcuna deroga – per le parti del
procedimento diverse dall’imputato e dal condannato (e dal pubblico ministero) all’obbligo di proporre impugnazione col patrocinio di un difensore tecnico.

reclamo giurisdizionale disciplinato dall’art.

35-bis ord.pen.

5. Questa Corte ha affermato che il modello procedimentale rappresentato dal
(introdotto

nell’ordinamento dal D.L. n. 146 del 2013, convertito con modificazioni nella
legge n. 10 del 2014) è strutturato su un doppio grado di giurisdizione di merito
(Sez. 1 n. 34256 del 12/06/2015, Rv. 264237, e Sez. 1 n. 315 del 17/12/2014,
depositata 1’8/01/2015, Rv. 261706, che su tale presupposto hanno ritenuto
applicabile il principio di conservazione sancito dall’art. 568 comma 5
cod.proc.pen. nel caso di erroneità del mezzo di impugnazione proposto).
Il reclamo al tribunale, che la parte soccombente nei confronti del provvedimento
emesso in prima istanza dal magistrato di sorveglianza è legittimata a proporre
ai sensi del comma 4 della norma, configura, dunque, un’impugnazione in senso
proprio, soggetta alle norme generali in materia, e non una mera ripartizione di
competenze interne tra organo monocratico e organo collegiale nell’ambito di un
unico procedimento di sorveglianza, come prospettato dal ricorrente.
Anche sotto questo profilo, pertanto, la legittimazione a partecipare e difendersi
personalmente nel procedimento di prima istanza, attribuita all’amministrazione
penitenziaria dal primo comma dell’art. 35-bis ord.pen., non può trovare alcuna
ragione sistemica che ne giustifichi l’estensione ai gradi successivi del giudizio,
che restano disciplinati dalle norme generali in materia di impugnazioni, le quali
non prevedono (salvo quanto eccezionalmente stabilito per la persona imputata
o condannata) alcuna deroga alla regola generale sul patrocinio necessario del
difensore tecnico, rappresentato – per quanto riguarda le amministrazioni
pubbliche – dall’Avvocatura dello Stato.
6.

Il Ministero della Giustizia, e in sua rappresentanza il Dipartimento

dell’amministrazione penitenziaria, non era dunque legittimato a impugnare
autonomamente, senza il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, il provvedimento
con cui il magistrato di sorveglianza di Novara aveva accolto il reclamo-istanza
dell’Audino, così che correttamente il Tribunale di sorveglianza di Torino ha
dichiarato inammissibile il reclamo-impugnazione proposto ex art. 35-bis comma
4 ord.pen., senza che la difesa dell’amministrazione possa invocare eventuali
(.

4

situazioni di fatto tali da ostacolare o rendere difficoltoso il tempestivo intervento
in giudizio dell’Avvocatura dello Stato.
Né infine l’inammissibilità dell’impugnazione, discendente dalla sua proposizione
da parte di un soggetto non legittimato ex art. 591 comma 1 lett. a) del codice di
rito, poteva – o può – essere sanata mediante un intervento giudiziale volto a
consentire all’amministrazione penitenziaria di munirsi, in corso di procedimento,
della difesa tecnica prevista dalla legge (così come argomentato dal ricorrente),
in quanto il vizio originario dell’atto lo rende inidoneo ab initio alla finalità

impugnazione, che non è suscettibile di sanatoria una volta scaduto il termine
stabilito a pena di decadenza per la sua rituale proposizione.
7. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, senza che a ciò consegua, tuttavia,
la condanna dell’amministrazione pubblica ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento, non ricorrendo in capo alla stessa la qualità di “parte privata”
richiesta dall’art. 616 del codice di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 16/03/2017

processuale perseguita, ostando alla valida instaurazione del giudizio di

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