Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52974 del 19/10/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 52974 Anno 2017
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1)Caggiano Mario, nato il 10/11/1959;

Avverso la sentenza n. 1671/2016 emessa il 21/06/2016 dalla Corte di
appello di Bologna;

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Udito il Procuratore generale, in persona del dott. Roberto Aniello, che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 19/10/2017

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 07/10/2015 il Tribunale di Rimini condannava
Mario Caggiano alla pena di dieci anni di reclusione – concesse le attenuanti
generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti e alla recidiva giudicandolo colpevole del tentato omicidio di Domenico Di Carlo e di Angela La
Barbera e dei connessi reati, ascrittigli ai capi A, B, C, D, E, unificati dal vincolo
della continuazione.

temporale compreso tra il 05/11/2014 e il 19/01/2015.

2. Con sentenza emessa il 21/06/2016 la Corte di appello di Bologna,
pronunciandosi sull’impugnazione del Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Rimini e dell’imputato, in parziale riforma della sentenza impugnata,
assolveva Caggiano dai delitti di ingiuria sub D prima parte e sub E, perché il
fatto non è previsto dalla legge come reato; veniva conseguentemente
rideterminata la pena irrogata dal Giudice di primo grado in anni nove, mesi
undici e giorni sedici di reclusione.
La sentenza emessa dal Tribunale di Rimini il 07/10/2015, nel resto, veniva
confermata.

3. Da entrambe le sentenze di merito – pienamente convergenti sotto il
profilo della ricostruzione degli accadimenti criminosi – emergeva che l’imputato,
dopo la separazione dalla moglie Angela La Barbera, che aveva lasciato la dimora
coniugale, ubicata a Torino, per trasferirsi a Rimini in un luogo inizialmente
sconosciuto dal ricorrente, aveva assunto atteggiamenti persecutori nei confronti
della consorte.
L’imputato, in particolare, dopo l’allontanamento dall’abitazione coniugale
della moglie, dalla quale non risultava divorziato, aveva iniziato a molestarla
telefonicamente; tali molestie si concretizzavano anche attraverso l’invio di
messaggi telefonici di contenuto intimidatorio, attraverso i quali il ricorrente era
arrivato a minacciare di morte la consorte, laddove non avesse ripreso la
relazione coniugale che la stessa aveva interrotto sulla base di una decisione
unilaterale.
Il ricorrente, nel frattempo, aveva scoperto la città dove la consorte si era
trasferita e il luogo dove lavorava, presso il quale, una prima volta, nel luglio del
2014, l’aveva raggiunta, senza preavvisarla del suo arrivo, per incontrarla; in
quella occasione, però, il datore di lavoro della persona offesa, preoccupato per
l’arrivo inaspettato dell’imputato e per la situazione di tensione venutasi a
2

I fatti delittuosi in contestazione si verificavano a Rimini in un arco

creare, aveva allertato i carabinieri, il cui intervento impediva il verificarsi di
ulteriori conseguenze; pertanto, le minacce che Caggiano aveva esternato alla
moglie, grazie all’intervento delle forze dell’ordine, non avevano avuto alcun
seguito.
Dopo questo primo episodio, l’imputato continuava a molestare la consorte,
fino a quando, la mattina del 05/11/2015, partendo da Torino, dove continuava
a risiedere, era nuovamente ritornato a Rimini, allo scopo di incontrare
l’inconsapevole moglie.

cittadina romagnola, Caggiano riusciva a localizzare l’autovettura di Domenico Di
Carlo – che conosceva come il nuovo compagno della moglie – e aveva tagliato
le gomme del veicolo, parcheggiato nei pressi della sua abitazione, ubicata a
Rimini in Via Manzoni n. 19; in sostanziale concomitanza con l’attività di
danneggiamento del mezzo in questione, sopraggiungevano Di Carlo e la moglie,
che, alla sua vista, impauriti, si davano repentinamente alla fuga.
A questo punto, l’imputato si metteva all’inseguimento dei due soggetti, li
raggiungeva e li aggrediva con un coltello che si era portato appresso; in un
primo momento, pertanto, il ricorrente accoltellava Di Carlo, al quale provocava
varie ferite al cuoio capelluto, all’area toracica e alle braccia; quindi, lasciato
tramortito a terra Di Carlo, Caggiano si rivolgeva alla propria consorte,
accoltellando anch’essa e ferendola nella zona toracica e all’addome; infine, dopo
avere colpito la moglie, Caggiano tornava a infierire su Di Carlo che si trovava,
ferito, a terra.
Dopo l’aggressione, venivano allertate telefonicamente le forze dell’ordine,
che provvedevano a soccorrere i due feriti e a traportarli presso il nosocomio
cittadino; gli agenti operanti, quindi, si mettevano alla ricerca dell’autore del
duplice accoltellamento, che veniva immediatamente individuato nel ricorrente
grazie alle dichiarazioni rese dalle persone offese dal reato che indicavano
Caggiano come l’autore del loro ferimento; infine, l’imputato veniva individuato
grazie alla telefonata effettuata dal gestore di una tabaccheria, ubicata nello
stesso centro romagnolo, dove Caggiano si era recato dopo l’aggressione della
moglie e del compagno, al quale il ricorrente aveva chiesto di allertare
telefonicamente le forze dell’ordine, dicendo «chiami la polizia perché ho
accoltellato due persone».
A seguito del suo arresto, l’imputato ammetteva le sue responsabilità,
precisando di essere giunto a Rimini la mattina del 05/11/2015 provenendo da
Torino; precisava, inoltre, di avere accoltellato la moglie e il suo nuovo
compagno con un coltello a serramanico che, dopo avere attentato alla loro vita,

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Giunto a Rimini e messosi alla ricerca della consorte per le strade della

aveva buttato ad alcune centinaia di metri dal luogo in cui aveva aggredito le
vittime.
Dopo la confessione dell’imputato, venivano riesaminati Angela La Barbera e
Domenico Di Carlo, i quali ribadivano le dichiarazioni rese nell’immediatezza
degli accadimenti criminosi oggetto di vaglio e confermavano la ricostruzione dei
fatti delittuosi fornita dall’imputato.
Il compendio probatorio veniva ulteriormente corroborato dalle deposizioni
rese dai testimoni oculari Giuseppe Gregorini, Andrea Gregorini, Alina Maria

sovrapponibili alle dichiarazioni rese dall’imputato e dalle persone offese dal
reato.
Sulla scorta di tale ricostruzione degli accadimenti criminosi – e con le
precisazioni di cui si è detto in ordine alla rideterminazione del trattamento
sanzionatorio effettuato dalla Corte di appello di Bologna – l’imputato veniva
condannato alla pena di cui in premessa.

4. Avverso tale sentenza l’imputato ricorreva per cassazione, a mezzo
dell’avv. Luca Donelli, deducendo due motivi di ricorso.
Con il primo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione
della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame
risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse adeguatamente
conto degli elementi probatori acquisiti nei confronti di Caggiano, in relazione al
tentato omicidio aggravato in contestazione, sui quali la Corte di appello di
Bologna si era espressa si esprimeva in termini assertivi e svincolati dalle
risultanze processuali.
Si deduceva, in proposito, l’incongruità del giudizio espresso dalla Corte di
appello di Bologna, con cui si era ritenuto dimostrato il tentato omicidio
premeditato contestato al ricorrente, che risultava smentito dalle acquisizioni
probatorie e contraddetto dalla ricostruzione della dinamica dell’accoltellamento
di Domenico Di Carlo e Angela La Barbera, così come recepita nelle decisioni di
merito, che non consentivano di ritenere l’azione armata dell’imputato né
premeditata né finalizzata a uccidere le vittime. Secondo la difesa di Caggiano, le
emergenze probatorie imponevano di escludere l’esistenza di una preordinazione
omicida nell’azione criminosa dell’imputato, il cui intento era unicamente quello
di sorprendere la moglie in compagnia dell’amante e non certamente quello affermato in termini assertivi nella decisione in esame – di attentare alla vita dei
due compagni.
A supporto di tali affermazioni, si evidenziava che le circostanze di tempo e
di luogo nella quali si concretizzava l’aggressione della coppia e la dinamica delle
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Buburuz, Diana Lanzillotti e Gaetano Mangano, che risultavano perfettamente

coltellate inferte alle persone offese dal reato, sferrate senza mirare a un preciso
obiettivo vitale – come attestava la stessa consulenza tecnica del pubblico
ministero, svolta nel corso delle indagini preliminari e richiamata nella sentenza
di primo grado – non consentivano di ricondurre la condotta dell’imputato
all’ipotesi del tentato omicidio premeditato, così come ascrittagli, dovendosi
escludere nell’atteggiamento del ricorrente l’animus necandi indispensabile per la
configurazione di tale fattispecie. L’aggressione delle vittime, al contrario,
costituiva l’espressione di un’azione estemporanea e non predeterminata nel suo

compagno, non preordinato e privo di alcun intento omicida, che doveva ritenersi
smentito dalle emergenze probatorie.
Peraltro, anche il comportamento disordinato e confuso assunto
dall’imputato dopo l’accoltellamento della moglie e del compagno, conclusosi con
l’ingresso in un esercizio pubblico, lasciava propendere per un’azione criminosa
estemporanea e priva di preordinazione; connotazioni, queste, rese evidenti dal
fatto che, all’arrivo delle forze dell’ordine, Caggiano si mostrava in uno stato
confusionale scarsamente partecipativo rispetto all’accertamento dei fatti illeciti,
rendendo poco plausibile l’ipotesi accusatoria secondo cui aveva preordinato un
piano criminoso finalizzato a uccidere le vittime.
Si riproponevano, in tal modo, le censure espresse nei giudizi di merito dalla
difesa di Caggiano, secondo le quali le coltellate sferrate all’indirizzo delle
persone offese erano il frutto della concitazione degli accadimenti criminosi e
che, in ogni caso, i fendenti erano stati inferti dal ricorrente senza alcuna volontà
di ledere organi vitali delle vittime, con modalità talmente superficiali – come
attestato dalle stesse sentenze di merito – e repentine che non era possibile
ipotizzare alcun intento omicida nell’azione posta in essere in danno della moglie
e del suo compagno.
Con il secondo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di
motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all’art. 99 cod. pen.,
conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso
argomentativo che desse adeguatamente conto della sussistenza degli elementi
costitutivi della recidiva oggetto di contestazione, sulla cui ricorrenza la Corte
territoriale bolognese si era espressa in termini assertivi e svincolati dalle
emergenze probatorie.
Si evidenziava, in proposito, che il riconoscimento della recidiva si fondava
su due precedenti penali notevolmente risalenti nel tempo, commessi da
Caggiano nel 1980 e nel 1991, rispetto ai quali nessun collegamento poteva
essere affermato con la vicenda criminosa oggetto di vaglio, anche in

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sviluppo criminoso, finalizzata ad aggredire indistintamente la consorte e il

considerazione della natura estemporanea dell’azione armata posta in essere
dall’imputato in danno delle persone offese.
Queste considerazioni

imponevano

l’annullamento della sentenza

impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Con il primo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di
motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in
esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse
adeguatamente conto degli elementi probatori acquisiti nei confronti di Caggiano,
indispensabili alla formulazione di un giudizio di responsabilità in relazione al
tentato omicidio premeditato oggetto di contestazione, che risultava smentito
dalle risultanze processuali, univocamente orientate in senso favorevole
all’imputato.
Secondo la difesa del ricorrente, l’incongruità del giudizio espresso dalla
Corte territoriale bolognese rispetto alla configurazione del tentato omicidio
premeditato contestato a Caggiano era resa evidente dalle acquisizioni
probatorie e risultava contraddetta dalla ricostruzione della dinamica
dell’accoltellamento di Domenico Di Carlo e Angela La Barbera, così come
recepita nelle decisioni di merito, che non consentiva di ritenere l’azione armata
dell’imputato né premeditata né finalizzata a uccidere la consorte e il suo
compagno.
Osserva, innanzitutto, il Collegio che il presupposto sul quale il ricorrente
fonda il suo assunto difensivo, secondo cui l’aggressione armata dell’imputato in
danno delle persone offese era inidonea a provocarne la morte, risulta smentito
dalla sequenza dell’azione delittuosa – correttamente ricostruita nel
provvedimento decisorio in esame – caratterizzata dall’uso di un coltello a
serramanico con cui venivano provocate alle vittime numerose ferite, in
conseguenza delle quali entrambe venivano ricoverate d’urgenza presso
l’Ospedale civico di Rimini.
Sui profili valutativi censurati dalla difesa di Caggiano, invero, la sentenza di
appello si soffermava con un percorso motivazionale immune da censure,
evidenziando – sulla base di un vaglio ineccepibile della documentazione
sanitaria rilasciata dal Pronto Soccorso dell’Ospedale civico di Rimini – che
l’azione delittuosa dell’imputato era certamente idonea a determinare la morte di
Domenico Di Carlo e Angela La Barbera, avendo provocato i numerosi colpi di

1. Il ricorso proposto da Mario Caggiano è inammissibile.

coltello inferti dal ricorrente alle vittime la penetrazione dell’arma da taglio in
aree corporee nelle quali si trovano numerosi organi vitali.
Si consideri, in proposito, il passaggio motivazionale esplicitato nelle pagine
11 e 12 della sentenza di primo grado, espressamente richiamato sul punto dal
provvedimento impugnato, nel quale il Tribunale di Rimini evidenziava come
costituisse un elemento probatorio incontroverso quello secondo cui il ricorrente
avesse accoltellato la moglie e Di Carlo nel corso di un’articolata sequenza
omicida, sviluppatasi in fasi distinte. Dalla ricostruzione di tale sequenza omicida

contestato a Caggiano al capo A, desumibile dal fatto che le coltellate sferrate
dall’imputato «erano potenzialmente idonee a cagionare la morte» delle persone
offese, in ragione del fatto che attingevano «sedi nelle quali si trovano organi
che presiedono a funzioni vitali […]».
Sulla scorta di tale ricostruzione dell’aggressione attuata dal ricorrente nei
confronti della moglie e del compagno, che deve essere necessariamente
correlata alle circostanze di tempo e di luogo nelle quali maturava la sua
determinazione omicida, il Giudice di appello bolognese formulava un giudizio
affermativo sull’idoneità degli atti posti in essere dall’imputato a provocare la
morte delle vittime, nel valutare la quale è necessario richiamare la
giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo la quale: «L’idoneità degli
atti, richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con
giudizio “ex ante”, tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle
modalità dell’azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e
l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del
bene protetto» (Sez. 1, n. 27918 del 04/03/2010, Resa, Rv. 248305; si veda, in
senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 23706 del 17/02/2004,
Fasano, Rv. 229135).
2.1. La difesa del ricorrente censurava ulteriormente la sentenza di appello
impugnata sotto il profilo dell’assenza di prova dell’univocità degli atti offensivi
attraverso i quali si concretizzava l’ipotesi delittuosa contestata a Caggiano al
capo A, a sua volta incidente sull’assenza di prova della volontà omicida del
ricorrente.
Osserva, in proposito, il Collegio che l’univocità degli atti costituisce il
presupposto indispensabile per ritenere una condotta delittuosa riconducibile
all’alveo applicativo dell’art. 56 cod. pen. Tutto questo risponde all’esigenza di
ricostruire la volontà dell’agente rispetto all’aggressione del bene giuridico
protetto della norma, conformemente a quanto statuito da questa Corte,
secondo cui: «In tema di tentativo, il requisito dell’univocità degli atti va
accertato ricostruendo, sulla base delle prove disponibili, la dir ione teleologica
7

discende la correttezza dell’inquadramento del tentato omicidio aggravato

della volontà dell’agente quale emerge dalle modalità di estrinsecazione concreta
della sua azione, allo scopo di accertare quale sia stato il risultato da lui avuto di
mira, sì da pervenire con il massimo grado di precisione possibile alla
individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e concretamente posto in
pericolo» (Sez. 4, n. 7702 del 29/01/2007, Alasia, Rv. 236110; si veda, in senso
sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 7938 del 03/02/1992, Lamari, Rv.
191241).
Ne discende che il requisito dell’univocità degli atti, così come prefigurato

soggettivo del reato di volta in volta contestato, deve essere accertato sulla base
delle connotazioni materiali della condotta illecita, con la conseguenza che gli atti
posti in essere da Caggiano devono possedere, tenuto conto del contesto in cui
sono inseriti, l’attitudine a rendere manifesto il proposito criminoso perseguito,
desumibile sia dagli atti esecutivi sia da quelli preparatori dell’azione (Sez. 2, n.
46776 del 20/11/2012, D’Angelo, Rv. 254106; Sez. 2, n. 40912 del 24/09/2015,
Amatista, Rv. 264589).
In questa cornice, non può non rilevarsi che la dinamica dell’aggressione di
Di Carlo e La Barbera deve ritenersi dimostrativa del fatto che l’azione armata di
Caggiano conseguisse a una volontà omicida persistente e univocamente
orientata nella direzione prefigurata dalla sentenza impugnata, consentendo di
affermare che il ricorrente avesse voluto colpire le persone offesa noncurante del
rischio di causarne la morte. Esemplare, da questo punto di vista, è il passaggio
motivazionale della sentenza impugnata, esplicitato a pagina 12, in cui si
evidenziava correttamente che «nella condotta di sferrare ripetuti fendenti
all’altezza del torace ricorrano tutti quegli elementi, oggettivi e soggettivi, della
fattispecie delittuosa in questione […]».
2.2. Quanto alla residua doglianza, relativa all’insussistenza della
premeditazione, deve rilevarsi che la ricostruzione degli accadimenti criminosi
compiuta dalla Corte di appello di Bologna, sotto il profilo della valutazione degli
elementi costitutivi dell’aggravante della premeditazione, risulta congrua e
conforme alle emergenze processuali.
La Corte territoriale, infatti, si soffermava in termini ineccepibili sulla fase
genetica dell’aggressione armata posta in essere in danno della moglie
dell’imputato e del suo compagno, inserendo tale episodio in un più ampio
contesto persecutorio, conseguente all’allontanamento della consorte del
ricorrente dalla dimora coniugale torinese, protrattosi per diversi mesi e
conclusosi con l’epilogo criminoso di cui ci si sta occupando.
Secondo la ricostruzione del Giudice di appello, il risentimento di Caggiano
nei confronti della moglie era risalente nel tempo e si era acuito dopo che aveva
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dall’art. 56, comma primo, cod. pen., incidendo sulla valutazione dell’elemento

scoperto che la consorte, nel frattempo trasferitasi a Rimini, aveva trovato
un’occupazione lavorativa e aveva intrapreso una relazione sentimentale con
Domenico Di Carlo. L’esistenza di una situazione di tensione personale tra i due
coniugi e le ragioni sentimentali che l’avevano determinata, dunque, possono
ritenersi incontroverse e risultano decisive ai fini della valutazione degli elementi
costitutivi dell’aggravante della premeditazione contestata in relazione al reato di
cui al capo A.
L’atteggiamento di risentimento di Caggiano, del resto, risulta confermato

recatosi sul luogo di lavoro riminese della moglie, aveva iniziato a minacciarla,
imponendo, in quella occasione, l’intervento delle forze dell’ordine, accorse su
segnalazione del datore di lavoro di Angela La Barbera. Tale episodio rende
evidente che l’intenzione di vendicarsi del coniuge traeva origine dalle risalenti
tensioni esistenti tra l’imputato e la consorte e, prima di concretizzarsi, si era
sedimentata per diversi mesi, mantenendosi costante fino alla mattina del
05/11/2015.
La ricostruzione degli accadimenti criminosi posta a fondamento della
sentenza impugnata consente di affermare in capo all’imputato l’esistenza di un
processo di sedimentazione psicologica del progetto vendicativo, imponendo di
escludere la natura estemporanea della sua azione omicida e consentendo, al
contempo, di ritenere premeditata la condotta del ricorrente, conformemente a
quanto stabilito per la configurazione di tale circostanza da questa Corte,
secondo cui: «Elementi costitutivi della circostanza aggravante della
premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del
proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata
riflessione circa l’opportunità del recesso (elemento di natura cronologica) e la
ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell’animo
dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica)»
(Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, Antonucci, Rv. 241575).
Né rileva, in senso contrario, la circostanza che il sopraggiungere
inaspettato della moglie e del compagno avesse colto di sorpresa Caggiano la
mattina del 05/11/2015, dovendosi evidenziare che il processo di
sedimentazione psicologica del progetto criminoso dell’imputato deve essere
valutato in termini flessibili, adeguati alle emergenze del caso concreto e alle
circostanze di tempo e di luogo attraverso le quali l’azione si concretizza. Basti,
in proposito, considerare che la giurisprudenza di legittimità riconosce la
possibilità di una premeditazione condizionata (Sez. 1, n. 1079 del 27/11/2008,
Lancia, Rv. 242485; Sez. 1, n. 19974 del 12/02/2013, Zuica, Rv. 256180), in
tutte quelle ipotesi in cui, accertata l’esistenza delle sue connotazioni
9

dall’episodio avvenuto nel luglio del 2014, che si verificava quando l’imputato,

cronologiche e volitive, la determinazione soggettiva si concretizzi in una
risoluzione precisa e ferma in tutte le sue componenti psicologiche, rispetto alle
quali la condizione prefigurata – riconducibile a un determinato comportamento
della vittima, semplicemente ipotizzato, ma non certo nel suo accadimento – si
pone come un evento previsto, idoneo a sospendere o ad annullare la decisione
adottata.
Sulla base di tali connotazioni comportamentali non può che ribadirsi la
natura premeditata del progetto criminoso di Caggiano, il cui riconoscimento

prova del consistente lasso temporale intercorso tra l’insorgenza della
determinazione criminosa dell’imputato e la sua esecuzione. L’esistenza di
elementi probatori idonei ad affermare la ricorrenza di tale indispensabile lasso
temporale, dunque, consente di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi
dell’aggravante della premeditazione, rispetto alla quale sono state acquisiti
elementi probatori idonei a individuare l’intervallo cronologico esistente tra
l’insorgenza del proposito criminoso finalizzato all’uccisione della consorte e del
compagno e la sua concretizzazione.
Questo passaggio probatorio, del resto, è imprescindibile per la valutazione
dei presupposti legittimanti l’applicazione dell’aggravante della premeditazione,
conformemente a quanto stabilito da questa Corte che, quanto agli elementi
costitutivi dell’aggravante in esame, afferma: «Elementi costitutivi della
circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo
temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da
consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso (elemento di
natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni
di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento
di natura ideologica), dovendosi escludere la suddetta aggravante solo quando
l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante,
tale cioè da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo,
del luogo e dei mezzi di esecuzione del reato» (Sez. 5, n. 42576 del 03/06/2015,
Procacci, Rv. 265149; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5,
n. 34016 del 09/04/2013, F., Rv. 256528).
2.3. Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo del
ricorso in esame.
3. Analogo giudizio di inammissibilità deve essere espresso con riferimento
alla residua doglianza, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di
motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 99 cod. pen.,
conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso
argomentativo che desse adeguatamente conto della sussisteh ria, degli elementi
10

risulta corredato da un adeguato supporto probatorio, essendosi acquisita la

costitutivi della recidiva, così come contestata a Caggiano, sulla cui ricorrenza la
Corte di appello di Bologna si era espressa in termini assertivi e svincolati dalle
emergenze probatorie.
Osserva, in proposito, il Collegio che le censure formulate dalla difesa di
Caggiano in ordine al riconoscimento della recidiva non si fondano
sull’individuazione di singoli profili valutativi del provvedimento impugnato da
sottoporre a censura, ma tendono a provocare una nuova e non consentita
valutazione del merito dei presupposti di merito per il riconoscimento

Bologna nel rispetto delle emergenze processuali.
La Corte territoriale bolognese, invero, evidenziava che, nel caso di specie,
era stata irrogata a Caggiano una pena adeguata al disvalore delle ipotesi di
reato oggetto di contestazione, sulla base di un giudizio dosimetrico ineccepibile,
fondato sulla gravità e sulla reiterazione nel tempo dei comportamenti delittuosi
in esame, vagliati per il loro disvalore e per la loro consistenza fattuale, rispetto
ai quali la risalente datazione dei precedenti penali del ricorrente non assume un
valore decisivo, dovendo il dato cronologico essere correlato all’elevata
pericolosità sociale dell’imputato, così come concretizzatasi nella vicenda
criminosa oggetto di vaglio (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv.,
247838).
Sul punto, appaiono pienamente condivisibili le conclusioni esplicitate a
pagina 3 della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale bolognese
evidenziava che il riconoscimento della recidiva «prescinde dalla distanza
temporale del nuovo reato dalla precedente condanna […] in quanto i delitti di
tentato omicidio oggetto di questo processo sono indice di una pericolosità
estremamente accresciuta rispetto a quella espressa con la commissione dei
precedenti reati»; considerazioni, queste, che appaiono assolutamente
armoniche rispetto alla giurisprudenza di legittimità che si è richiamata (Sez. U,
n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, cit.).
Tali considerazioni impongono di ribadire l’inammissibilità del secondo
motivo del ricorso in esame.

5. Per queste ragioni, il ricorso proposto da Mario Caggiano deve essere
dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al
versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, determinabile
in euro duemila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.
11

dell’aggravante in questione, che risulta effettuato dalla Corte di appello di

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 19/10/2017.

Il Consigliere estensore
Al7n ro Centonze

no

wv.)

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