Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52973 del 19/10/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 52973 Anno 2017
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Serino Giovanni, nato il 27/11/1961;
2) D’Ella Vincenzo, nato il 05/04/1957;

Avverso la sentenza n. 1159/2013 emessa il 31/05/2016 dalla Corte di
appello di Salerno;

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Udito il Procuratore generale, in persona del dott. Roberto Aniello, che ha
concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;

Udito per i ricorrenti l’avv. Rodolfo D’Ascoli;

Data Udienza: 19/10/2017

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 20/06/2012 il Tribunale di Salerno, per quanto di
interesse, condannava Vincenzo D’Elia e Giovanni Serino alla pena di anni due di
reclusione e 8.000,00 euro di multa, giudicandoli colpevoli dei delitti di
detenzione e porto illegale di una pistola semiautomatica calibro 9 x 21 e della
ricettazione di un’autovettura Alfa 156; i fatti in contestazione si verificavano a

2. Con sentenza emessa il 31/05/2016 la Corte di appello di Salerno, per
quanto di interesse,

pronunciandosi sull’impugnazione degli imputati,

confermava la sentenza impugnata e condannava gli appellanti al pagamento
delle ulteriori spese processuali.

3.

Da entrambe le sentenze di merito emergeva che gli imputati

consegnavano a Gerardo Adinolfi e Pasquale Della Monica la pistola
semiautomatica e l’autovettura, compiutamente descritte in rubrica, con le quali,
su ordine di Mario Maglio, avrebbero dovuto eseguire un agguato in danno di
Pietro Malfeo.
La ricostruzione degli accadimenti criminosi traeva origine dall’apertura alla
collaborazione con la giustizia di Gerardo Adinolfi e Pasquale Della Monica, i quali
ammettevano le loro responsabilità in ordine ai reati oggetto di contestazione,
chiamando in correità gli imputati, dai quali avevano ricevuto la pistola e
l’autovettura in questione.
Secondo i Giudici di merito, i reati in contestazione si inserivano nel progetto
di attentato in danno di Pietro Malfeo – che avrebbe dovuto essere “gambizzato”
– per eseguire il quale era stata pattuita la somma di 20.000,00 euro, della
quale, al momento del conferimento del mandato criminoso, Giovanni Serino
aveva consegnato ai due collaboranti 5.000,00 euro a titolo di anticipo.

Giffoni Valle Piana tra l’agosto e il novembre del 2006.

I collaboranti, inoltre, riferivano che l’arma e l’autovettura gli erano state
consegnate da Serino la mattina in cui si sarebbe dovuto eseguire l’agguato,
precisando che il progetto criminoso in questione non si era concretizzato a
causa del fatto che non erano riusciti a identificare con certezza la vittima
predestinata, nonostante le indicazioni che gli erano state fornite da D’Elia, il
quale li aveva accompagnati nel luogo dove l’attentato in danno di Malfeo doveva
essere eseguito.
I propalanti, infine, precisavano che la richiesta di “gambizzare” Malfeo era
stata avanzata a Serino da Mario Maglio, che si era lamentato con l’imputato di
essere stato infastidito dalla vittima.
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Sulla scorta di tale ricostruzione degli accadimenti criminosi, fondata sulle
chiamate in correità di Adinolfi e Della Monica, ritenute attendibili e convergenti
dai Giudici di merito, gli imputati venivano condannati alle pene di cui in
premessa.

4. Avverso la sentenza di appello gli imputati Vincenzo D’Elia e Giovanni
Serino ricorrevano per cassazione, mediante atti di impugnazione separati.
4.1. L’imputato Vincenzo D’Elia ricorreva per cassazione, a mezzo dell’avv.

Con i primi tre motivi di ricorso l’imputato censurava la sentenza impugnata
sotto il profilo della congruità degli elementi probatori acquisiti nei confronti di
D’Elia.
In particolare, con il primo motivo, si deducevano violazione di legge e vizio
di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 533 cod.
proc. pen.; con il secondo motivo, si deducevano violazione di legge e vizio di
motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 81, 110 cod.
pen., 10, 12, 14 della legge 2 ottobre 1967, n. 895; con il terzo motivo si
deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento
impugnato, in riferimento all’art. 192 cod. proc. pen.
Attraverso tali doglianze la difesa di D’Elia deduceva che la decisione in
esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse
adeguatamente conto del compendio probatorio acquisito, incentrato sulle
chiamate in correità dei collaboratori di giustizia Gerardo Adinolfi e Pasquale
Della Monica, le cui dichiarazioni, relativamente alla posizione del ricorrente,
contrastavano nel loro nucleo essenziale e risultavano prive di riscontri probatori
estrinseci.
Con il quarto e il quinto motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e
vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la
decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse
adeguatamente conto degli elementi probatori acquisiti, necessari alla
configurazione dei delitti contestati a D’Elia – relativi alla detenzione e al porto
illegale di una pistola semiautomatica e alla ricettazione di un’autovettura – e
alla formulazione del giudizio di responsabilità del ricorrente.
Infine, con il sesto motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio
di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 99 cod. pen.,
conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso
argonnentativo che desse adeguatamente conto degli elementi costitutivi della
recidiva oggetto di contestazione, sulla cui ricorrenza la Corte territoriale
salernitana si era espressa in termini assertivi.
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Rodolfo Viserta, proponendo sei motivi di ricorso.

Queste ragioni imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
4.2. L’imputato Giovanni Serino ricorreva per cassazione, a mezzo dell’avv.
Rodolfo D’Ascoli, proponendo due motivi di ricorso.
Con il primo motivo di ricorso si deduceva il vizio di violazione di legge, in
riferimento all’art. 649 cod. proc. pen., conseguente al fatto che la decisione in
esame non aveva tenuto conto della sussistenza di un ne bis in idem tra i fatti in
esame e quelli giudicati dalla sentenza emessa dal G.U.P. del Tribunale di
Salerno il 17/11/2009, rispetto ai quali non erano intervenuti elementi idonei a

procedimenti.
Con il secondo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di
motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti al fatto che la decisione
in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse
adeguatamente conto del compendio probatorio acquisito, incentrato sulle
chiamate in correità dei collaboratori di giustizia Gerardo Adinolfi e Pasquale
Della Monica, le cui propalazioni risultavano tra loro contrastanti e prive di
riscontri probatori estrinseci.
Queste ragioni imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi proposti da Vincenzo D’Elia e Giovanni Serino sono inammissibili.

2. In via preliminare, prima di esaminare il merito dei ricorsi in esame,
occorre soffermarsi sulla giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte, con
particolare riferimento ai principi applicabili alle chiamate di correità, che appare
indispensabile richiamare per inquadrare le dichiarazioni rese nel presente
procedimento da Gerardo Adinolfi e Pasquale Della Monica, i quali accusavano gli
imputati dei fatti delittuosi in contestazione, consentendo di procedere nei loro
confronti.
In tale ambito, innanzitutto, è necessario richiamare il principio di diritto
affermato nell’ultimo arresto giurisprudenziale delle Sezioni unite, secondo il
quale: «Nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora
prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità
soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma
tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente
separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità
oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando
l’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza
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consentire una diversa qualificazione delle condotte illecite vagliate nei due

logico-temporale» (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv.
255145).
Questo orientamento, a sua volta, si inserisce in un filone giurisprudenziale
consolidato di questa Corte, che è possibile esplicitare richiamando il seguente
principio di diritto: «In tema di chiamata in reità, poiché la valutazione della
credibilità soggettiva del dichiarante e quella della attendibilità oggettiva delle
sue dichiarazioni non si muovono lungo linee separate, posto che l’uno aspetto
influenza necessariamente l’altro, al giudice è imposta una considerazione

elementi incerti in ordine all’attendibilità del racconto, egli non può esimersi dal
vagliarne la tenuta probatoria alla luce delle complessive emergenze processuali,
in quanto – salvo il caso estremo di una sicura inattendibilità del dichiarato – il
suo convincimento deve formarsi sulla base di un vaglio globale di tutti gli
elementi di informazione legittimamente raccolti nel processo» (Sez. 6, n. 11599
del 13/03/2007, Pelaggi, Rv. 236151).
Occorre, inoltre, precisare che, nella verifica della congruità dei rilievi critici
mossi dal ricorrente alla sentenza impugnata – in relazione al giudizio di
attendibilità espresso dalla Corte di appello di Salerno sulle chiamate in correità
di Gerardo Adinolfi e Pasquale Della Monica – tale decisione non può essere
valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta correlazione con la
sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Salerno il 20/06/2012.
Le sottostanti decisioni di merito, infatti, si sviluppano secondo linee logiche
e giuridiche omogenee e pienamente concordanti, con la conseguenza che sulla base di un consolidato indirizzo di questa Corte – deve ritenersi che la
motivazione della prima si saldi con quella della seconda, formando un corpo
argomentativo unitario e un inscindibile complesso processuale. Tenuto conto di
questi parametri interpretativi, la valutazione giurisdizionale compiuta nella
sentenza impugnata, con riferimento alle dichiarazioni rese dai propalanti
Adinolfi e Della Monica, risulta lineare ed esente da smagliature processuali,
idonee a inficiarne la coerenza argomentativa (Sez. 2, n. 21599 del 16/02/2009,
Emmanuello, Rv. 244541).
In questa cornice ermeneutica, occorre passare in rassegna le impugnazioni
proposte dai ricorrenti.

3. Passando a considerare le singole impugnazioni, innanzitutto, occorre
esaminare il ricorso proposto dall’imputato Vincenzo D’Elia, a mezzo dell’avv.
Rodolfo Viserta, che veniva articolato attraverso sei motivi.
3.1. Deve, innanzitutto, rilevarsi l’inammissibilità dei primi tre motivi del
ricorso in esame, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione
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unitaria dei due aspetti, pur logicamente scomponibili; sicché, in presenza di

della sentenza impugnata, in riferimento al giudizio di attendibilità formulato
dalla Corte di appello di Salerno in ordine alle chiamate in correità effettuate dai
collaboranti Gerardo Adinolfi e Pasquale Della Monica, riguardanti il concorso del
ricorrente nella detenzione e nel porto illegale di una pistola semiautomatica e
nella ricettazione di un’autovettura.
Tale censura, invero, risulta smentita dalle emergenze probatorie, che si
muovono in una direzione opposta a quella prospettata dalla difesa di D’Elia,
atteso che il coinvolgimento del ricorrente nelle vicende preparatorie

dichiarazioni confessorie dei collaboranti Adinolfi e Della Monica.
Sulla base delle chiamate in correità di Adinolfi e Della Monica, infatti, si
accertava che la decisione di uccidere Pietro Malfeo era riconducibile a Mario
Maglio, che aveva avanzato apposita richiesta a Giovanni Serino, il quale, a sua
volta, aveva contattato incaricato di eseguire l’attentato i due collaboranti,
avvalendosi della collaborazione di Vincenzo D’Elia. Ne consegue che, sui profili
deliberativi della vicenda criminosa in esame, il coinvolgimento di D’Elia nella
fase organizzativa dell’agguato risulta incontroverso e conforme alla
giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: «In tema di concorso di
persone nel reato, la circostanza che il contributo causale del concorrente morale
possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta
criminosa […] non esime il giudice di merito dall’obbligo di motivare sulla prova
dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del
reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di
causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non
potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur
prevista dall’art. 110 cod. pen., con l’indifferenza probatoria circa le forme
concrete del suo manifestarsi nella realtà» (Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep.
2015, Villacaro, Rv. 262310).
A tutto questo deve aggiungersi che sul ruolo organizzativo e sul
coinvolgimento del ricorrente nella fase preparatoria dell’attentato in danno di
Malfeo le propalazioni di Adinolfi e Della Monica convergevano, riferendo i due
propalanti che D’Elia era il soggetto che aveva fornito loro le indicazioni
indispensabili per l’individuazione della vittima e che li aveva accompagnati sul
luogo dove l’agguato doveva essere eseguito.
Ne discende che, sul coinvolgimento del ricorrente nella fase organizzativa
dell’attentato in danno di Pietro Malfeo, dal quale deriva la sua responsabilità per
le ipotesi delittuose ascrittegli ai capi A e B, le chiamate in correità dei due
collaboranti appaiono convergenti e non presentano contrasti dichiarativi

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dell’attentato in danno di Pietro Malfeo emerge in termini univoci sulla base delle

incidenti sulla ricostruzione eseguita dalla Corte territoriale salernitana (Sez. U,
n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, cit.).
Queste ragioni impongono di ritenere inammissibili i primi tre motivi del
ricorso in esame.
3.2. Dall’inammissibilità dei motivi di ricorso esaminati nel paragrafo
precedente discende l’inammissibilità del quarto e del quinto motivo di ricorso,
con cui si censurava il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale
salernitana ai fini del riconoscimento della responsabilità di D’Elia per i delitti che
gli venivano contestati, riguardanti la detenzione e il porto illegale di una pistola

semiautomatica e la ricettazione di un’autovettura.
Deve, invero, ribadirsi che il giudizio di responsabilità espresso dalla Corte di
appello di Salerno, in ordine alle ipotesi di reato contestate a D’Elia ai capi A e B,
si incentrava sulla corretta valutazione delle propalazioni dei collaboranti Adinolfi
e Della Monica, che riferivano del coinvolgimento del ricorrente nel progetto di
attentato in danno di Pietro Malfeo

nei termini esplicitati nel paragrafo

precedente, cui si rinvia.
Si consideri, in proposito, che le dichiarazioni del collaborante Gerardo
Adinolfi venivano esaminate, in termini esenti da discrasie motivazionali, nelle
pagine 10 e 11 della sentenza impugnata; mentre, le dichiarazioni del
collaborante Pasquale Della Monica venivano esaminate a pagina 11 del
medesimo provvedimento decisorio.
Le propalazioni di Adinolfi e Della Monica convergevano sulla posizione di
D’Elia ed erano ritenute attendibili sulla base dei parametri ermeneutici elaborati
da questa Corte (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, cit.),
che il Giudice di appello richiamava a pagina 12 della decisione impugnata,
evidenziando che tali dichiarazioni risultavano sovrapponibili, componendo un
quadro probatorio omogeneo, atteso che «entrambi i collaboranti erano presenti
ai fatti che hanno descritto ed hanno reso dichiarazioni relative a circostanze
cadute sotto la loro diretta percezione […]».
Queste ragioni impongono di ritenere inammissibili il quarto e il quinto
motivo del ricorso in esame.
3.3. Analogo giudizio di inammissibilità deve essere espresso con riferimento
al sesto motivo di ricorso, con cui si censurava il percorso argomentativo seguito
dalla Corte territoriale salernitana in ordine al riconoscimento degli elementi
costitutivi della recidiva specifica reiterata infraquinquennale oggetto di
contestazione, sulla cui ricorrenza la sentenza impugnata si era espressa in
termini assertivi e svincolati dalle risultanze processuali.
Osserva, innanzitutto, il Collegio che le censure formulate dal ricorrente in
ordine al riconoscimento della recidiva non si fondano sull’individuazione di
7

t

specifici profili valutativi del provvedimento impugnato, ma tendono a provocare
una nuova e non consentita valutazione del merito dei presupposti del
riconoscimento medesimo, che risulta effettuato dalla Corte di appello di Salerno
in conformità delle emergenze probatorie (Sez. 2, n. 9242 dell’08/02/2013,
Reggio, Rv. 254988).
La Corte territoriale salernitana, invero, evidenziava che, nel caso di specie,
era stata irrogata a D’Elia una pena adeguata al disvalore delle ipotesi di reato
oggetto di contestazione, sulla base di una ricostruzione ineccepibile degli

inserivano.
Sul punto, appaiono pienamente condivisibili le conclusioni esplicitate a
pagina 18 della sentenza impugnata, in cui si evidenziava che il riconoscimento
della recidiva nei confronti di D’Elia conseguiva all’inserimento dei fatti contestati
ai capi A e B in «una vicenda più ampia e preoccupante, involgendo la
programmazione di un attentato ai danni di una persona giovane, che avrebbe
potuto perdere la vita […]».
Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il sesto motivo del
ricorso in esame.
3.4. Le considerazioni che si sono esposte nei paragrafi 3.1, 3.2 e 3.3
impongono conclusivamente di ritenere inammissibile il ricorso proposto da
Vincenzo D’Elia.

4. Occorre, quindi, passare a considerare il ricorso proposto da Giovanni
Serino, a mezzo dell’avv. Rodolfo D’Ascoli, articolato in due motivi.
4.1. Con il primo motivo di ricorso si deduceva il vizio di violazione di legge,
in riferimento all’art. 649 cod. proc. pen., conseguente al fatto che la decisione
in esame non aveva tenuto conto dell’esistenza di un ne bis in idem tra i fatti in
esame e quelli giudicati dalla sentenza emessa dal G.U.P. del Tribunale di
Salerno il 17/11/2009.
Osserva, in proposito, il Collegio che tale doglianza non veniva eccepita nel
giudizio di appello proposto davanti alla Corte di appello di Salerno, ma soltanto
con il presente atto di impugnazione, com’è desumibile dall’atto di appello, cui ci
si riferisce nel passaggio motivazionale esplicitato nelle pagine 8-13 della
sentenza impugnata, dedicato ai due motivi di appello, riguardanti il compendio
probatorio acquisito nei confronti di Serino e il trattamento sanzionatorio
irrogato.
Tuttavia, tale doglianza non poteva essere dedotta, per la prima volta, nel
giudizio di legittimità, atteso che la violazione del divieto del ne bis in idem, così
come prefigurato dall’art. 649 cod. proc. pen., postulando un accertamento di
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accadimenti criminosi in esame e sulle dinamiche associative nelle quali si

fatto relativo all’identità dei reati giudicati nei diversi procedimenti, da intendersi
come coincidenza di tutte le componenti delle fattispecie presupposte, implica un
apprezzamento di merito, rispetto al quale non è consentito alle parti processuali
dedurre elementi fattuali. Sul punto, è sufficiente richiamare la giurisprudenza di
legittimità consolidata, secondo la quale: «Non è deducibile dinanzi alla Corte di
Cassazione la violazione del divieto del “ne bis in idem”, atteso che è escluso in
sede di legittimità l’accertamento del fatto necessario per verificare la
preclusione derivante dalla coesistenza di procedimenti iniziati per lo stesso fatto

concernenti elementi fattuali, la cui valutazione è rimessa esclusivamente al
giudice di merito» (Sez. 5, n. 34485 del 07/04/2014, Bandu, Rv. 260828; si
veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 4, n. 35831 del
27/06/2013, Maini, Rv. 256883).
Ne discende che, nel caso di specie, l’eccezione sollevata dalla difesa di
Serino, relativamente alla sussistenza di un’ipotesi di ne bis in idem tra i fatti
giudicati nel presente procedimento penale e quelli giudicati dalla sentenza
emessa dal G.U.P. del Tribunale di Salerno il 17/11/2009, non poteva essere
proposta, non essendo consentito a questo Collegio di verificare la fondatezza
della doglianza, tenuto conto dei limiti propri del giudizio di legittimità, rispetto ai
quali è precluso ogni accertamento di fatto sull’identità tra i giudizi presupposti.
Infatti, la valutazione dell’identità tra il presente procedimento e quello rispetto
al quale la difesa di Serino eccepiva l’esistenza di un giudicato postulava un
accesso ai fatti contestati all’imputato, precluso al Giudice di legittimità, ai fini
dell’accertamento della dedotta violazione del ne bis in idem (Sez. 5, n. 9825 del
10/01/2014, Di Martino, Rv. 255219; Sez. 4, n. 48575 del 03/12/2009, Bersani,
Rv. 245740).
Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo del
ricorso in esame.
4.2. Analogo giudizio di inammissibilità deve essere espresso con riferimento
al secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di
motivazione, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista
di un percorso argomentativo che legittimasse il giudizio di attendibilità espresso
in relazione alle chiamate in correità dei collaboranti Gerardo Adinolfi e Pasquale
Della Monica.
Non occorre, invero, soffermarsi ulteriormente sulla correttezza del giudizio
di attendibilità espresso dalla Corte di appello di Salerno sulle chiamate in
correità dei collaboratori di giustizia Adinolfi e Della Monica e sulla valenza
probatoria delle loro propalazioni, su cui ci si è soffermati nei paragrafi 2.1, 2.2 e

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e nei confronti della stessa persona, e non potendo la parte produrre documenti

2.3, cui si deve rinviare (cfr. Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013,
Aquilina, cit.).
Deve, in ogni caso, ribadirsi che il giudizio di attendibilità della Corte
territoriale salernitana si incentrava su una valutazione ineccepibile delle
chiamate in correità dei predetti collaboranti, che riferivano del coinvolgimento di
Serino nel progetto di attentato in danno di Pietro Malfeo, evidenziando che il
ricorrente li aveva contattati personalmente, consegnando loro, dopo averli
incaricati di uccidere Pietro Malfeo, 5.000,00 euro, quale anticipo della somma

I resoconti dichiarativi forniti dai due collaboranti venivano ritenuti
pienamente attendibili, sulla base dei parametri ermeneutici enunciati nel
paragrafo 1.1, cui si rinvia, che la Corte territoriale salernitana applicava
correttamente, evidenziando che tali propalazioni risultavano tra loro coincidenti,
risultando intrinsecamente attendibili ed estrinsecamente riscontrate e
consentendo di ritenere Serino coinvolto, quale concorrente, nei reati ascrittigli
ai capi A e B.
Queste ragioni impongono di ribadire l’inammissibilità del secondo motivo
del ricorso in esame.

5. Per queste ragioni processuali, i ricorsi proposti nell’interesse di Vincenzo
D’Elia e Giovanni Serino devono essere dichiarati inammissibili, con la
conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno al versamento della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro duemila in
favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/10/2017.

complessiva di 20.000,00 euro.

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