Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52971 del 30/03/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 52971 Anno 2017
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
D’Angelo Marco Vito, nato a Rapolla il 19/04/1951

avverso la sentenza del 18/12/2015 della Corte di appello di Potenza

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Antonio
Balsamo, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. Maria Assunta Laviensi, in sostituzione dell’avv.
Giorgio Cassotta, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Potenza, con sentenza del 18 dicembre 2015, ha
confermato la sentenza del 5 luglio 2013 del Tribunale di Melfi, che aveva
dichiarato Marco Vito D’Angelo colpevole dei reato di cui agli artt. 81, secondo
comma, cod. pen. e 9, secondo comma, iegge n. 1423 del 1956, per avere
violato ripetutamente gli obblighi imposti con I decreto di sottoposizione alla

Data Udienza: 30/03/2017

misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno
per la durata di anni tre, emesso dal Tribunale di Potenza il 29 gennaio 2007,
nella parte concernente il punto 5 (relativo al divieto di associarsi a persone che
avessero subito condanne o fossero sottoposte a misure di prevenzione o di
sicurezza), essendosi accompagnato il 12 settembre 2009 ai condannati Michele
Asquino, Mario Massari e Domenico Costantino, il 24 ottobre 2009 a Pasquale
Ruta sottoposto alla misura di prevenzione speciale con obbligo di soggiorno in
Rapolla, e il 19 dicembre 2009 ai condannati Sergio Piazzolla e Roberto Fano, e

2. La Corte, rilevando che il divieto di associarsi abitualmente alle persone
condannate e sottoposte a misure di prevenzione o sicurezza costituiva
prescrizione accessoria al provvedimento impositivo della misura di prevenzione,
prevista dall’art. 5 legge n. 1423 del 1956 e soggetta, in caso di inosservanza,
alla sanzione di cui al successivo art. 9, rilevava che:
– potevano integrare il reato, oltre alle relazioni aventi carattere di stabilità e
ai comportamenti connotati da abitualità, gli incontri con pregiudicati ripetitivi e
tali da cagionare allarme nell’Autorità di P.S., con esclusione delle condotte
isolate e dipendenti da normali e non programmate vicende della vita di
relazione;

l’imputato, pluripregiudicato con ruolo di spicco nella criminalità del

Vulture-Melfese, condannato anche per reati associativi ex art. 416-bis cod. pen.
e 74 d.P.R. n. 309 del 1990, e conoscitore del contesto criminale locale, era
stato notato nell’arco temporale di poco superiore a tre mesi in compagnia delle
persone indicate nel capo di imputazione;
– il numero degli incontri in relazione al lasso temporale di riferimento, la
qualità di pregiudicati dei soggetti, residenti in Rapolla, con i quali gli incontri
erano avvenuti e le loro altre peculiarità erano elementi sintomatici di
frequentazione e di rapporti intersoggettivi caratterizzati da solida conoscenza,
accentuata dall’appartenenza a una piccola comunità, da ritenersi estesa alla loro
anamnesi criminologica, oltre che dalle ripercorse modalità esecutive degli
incontri;
– l’imputato, che si era imitato a richiedere il controesanne dei testi del
Pubblico Ministero e aveva omesso di rendere dichiarazioni auto difensive, non
aveva offerto elementi contrari;
– la pena era prossima al minimo edittale e non vi erano ragioni valide per la
concessione delle attenuanti generiche.

2

l’aveva condannato alla pena di anni uno e mesi due di reclusione.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del
suo difensore avv. Giorgio Cassotta, l’imputato, che ne chiede l’annullamento
sulla base di unico motivo, con il quale denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. b) , cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione di legge con
riferimento ai tratti distintivi della fattispecie di cui all’art. 9, secondo comma,
legge n. 1423 del 1956, e, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen., illogicità, mancanza o carenza della motivazione in relazione alla
valutazione di specifici motivi di gravame.

sono sostanziate in incontri occasionali, avvenuti in pieno giorno e all’aperto
nell’ambito sociale di un piccolo centro con popolazione di cinquemila abitanti, in
tre occasioni nel 2009 rispetto alla esecuzione di una misura in corso dal 2007 e
prossima alla sua conclusione.
La Corte, inoltre, enfatizzando l’incontro con il pregiudicato Ruta, suo
cugino, non ha considerato quanto rappresentato in appello circa la qualità dei
suoi occasionali interlocutori, nei cui confronti sono risultate condanne per reati
depenalizzati ovvero coperte dai benefici di legge o assolutamente datate e
marginali per rilevanza e conseguenze.
Tali emergenze sono dimostrative della mancanza di un’aggregazione e di
un collegamento, cui rinvia la nozione di associazione a pregiudicati, e, dal punto
di vista soggettivo, della mancanza della sua consapevolezza della esistenza dei
precedenti penali dei soggetti indicati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Si rileva in diritto che è consolidato nella giurisprudenza di legittimità (tra
le altre, Sez. 1, n. 5978 del 13/03/2000, Sgobba, Rv. 216015) il principio che, in
tema di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza, la prescrizione di non associarsi abitualmente alle persone che hanno
subito condanne o sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza non va
intesa nel senso letterale che l’espressione ha nella legislazione penale, con il
richiamo a profili di comunanza di vita e di interessi, idonei a integrare specifiche
ipotesi di reato, ma deve essere riferita alla nozione di pericolosità sociale che
qualifica la materia delle misure di prevenzione.
A ciò consegue che, ai fini della configurabilità della citata violazione, non è
richiesta la costante e assidua relazione interpersonale, ben potendo la reiterata
frequentazione, caratterizzata dal ripetersi di una pluralità di condotte identiche

3

Secondo il ricorrente, le ascritte frequentazioni con soggetti pregiudicati si

e omogenee, essere assunta a sintomo univoco dell’abitualità dell’indicato
comportamento (tra le altre, Sez. 1, n. 16789 del 08/04/2008, P.G. in proc.
Danisi, Rv. 240121; Sez. 1, n. 47109 del 26/11/2009, Caputo, Rv. 245882;
Sez. 6, n. 28985 del 26/06/2014, Mancuso, Rv. 2621539), anche quando il
comportamento vietato abbia riguardato soggetti pregiudicati diversi tra loro (tra
le altre, Sez. 1, n. 26785 del 17/06/2009, P.G. in proc. Manzari, Rv. 244791),
mentre non è sufficiente un singolo episodio a integrare il reato (tra le altre, Sez.
1, n. 41712 del 19/10/2005, P.G. in proc. La Neve, Rv. 232875; Sez. 1, n.

Valentino, Rv. 257806).
2.1. La Corte di appello, facendo corretta applicazione di detti condivisi
principi, ha logicamente confermato l’apprezzamento del Tribunale circa la
sussistenza di elementi di natura oggettiva, provati in atti e corrispondenti alla
imputazione ascritta, e, rimarcando l’assenza di alcun “elemento discriminatorio
[…] dotato di idonea efficacia di contrasto rispetto al coacervo accusatorio,
nell’ambito del meccanismo di verificazione-falsificazione”,

ha cong rua mente

valorizzato, quanto al profilo soggettivo -da ricondursi all’atteggiamento
soggettivo del dolo generico (Sez. 1, n. 3303 del 23/10/1987, dep. 1988, Di
Lauro, Rv. 177860)-, le peculiari modalità esecutive degli incontri, unitamente
alla rappresentata e argomentata conoscenza da parte dell’imputato, atteso il
suo ruolo, del contesto criminale locale, inferendone logicamente quella della
“anamnesi criminogena” dei soggetti “frequentati”.
2.2. La valutazione della condotta illecita dell’imputato fatta dalla Corte e la
conclusione cui essa è pervenuta nel ritenere integrata la fattispecie delittuosa di
cui all’art. 9 legge n. 1423 del 1956, resiste ai rilievi difensivi.
Tali rilievi, infatti, mentre introducono censure infondate con riferimento alla
rilevanza penale delle frequentazioni ascritte, senza neppure opporre alcuna
apprezzabile diversa interpretazione della normativa di riferimento,
corrispondono ad alternativa lettura di merito delle circostanze fattuali, tratte
dalla Corte del gravame da specifici atti processuali (relazione di servizio,
apporto dichiarativo del teste Fanelli, esiti di controlli), con motivazione né
carente né illogica, a ragione della ravvisata sussistenza degli elementi del reato,
e ne contrappongono una diversa e generica alla luce di differenti parametri,
ritenuti dotati di migliore capacità esplicativa a favore della tesi difensiva, e
invece invasivi di ambito fattuale e valutativo estraneo al sindacato di legittimità.

3. Il ricorso, alla luce delle svolte considerazioni, deve essere rigettato, con
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

4

25708 del 16/04/2009, Chirico, Rv. 243798; Sez. 1, n. 43858 del 01/10/2013,

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 30/03/2017

Il Consigliere estensore

Angela Tardio

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