Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52956 del 08/11/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 52956 Anno 2017
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Barbieri Pamela, nato a San Pietro Vernotico il 07/04/1981,
2) Solazzo Carlo, nato a San Pietro Vernotico il 04/11/1976,
avverso la sentenza del 15/02/2016 della Corte di Appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Perla
Lori, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Lecce confermava la
sentenza del Tribunale di Brindisi del 9 novembre 2007 che aveva condannato i
ricorrenti alle pene di giustizia in relazione al reato di ricettazione continuata in
concorso.
2. La Corte riteneva provato che i coniugi odierni imputati, i quali conducevano
un’azienda agricola, avessero posseduto senza giustificazione 28 capre prive di
1

Data Udienza: 08/11/2017

matricola auricolare e per questo considerate di provenienza delittuosa, anche
tenuto conto dello stato di alcuni animali, che portavano i segni di precedenti
immatricolazioni delle quali erano stati privati.
3. Ricorrono per cassazione Pamela Barbieri e Carlo Solazzo, a mezzo del loro
comune difensore e con unico atto, deducendo:
1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità
degli imputati, che la Corte di Appello avrebbe fatto discendere esclusivamente

fossero prive di matricola auricolare (cosiddetto “bottone”), senza alcun
accertamento del reato presupposto, solo ipoteticamente ritenuto sussistente
alla luce anche del verbale di ispezione delle dichiarazioni del teste di polizia
giudiziaria e di quelle di alcuni testimoni a difesa (Greco Antonio, Fortunato
Francesco, Sicilia Vito), ingiustamente pretermesse dalla Corte, violando il
principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio e finendo per non valorizzare lo stato
di buona fede dei ricorrenti e l’eventuale configurabilità, in subordine, del reato
di cui all’art. 712 cod.pen. o 349 cod.pen.;
2) violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della
recidiva per il Solazzo e del diniego al medesimo delle circostanze attenuanti
generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1 ricorrenti deducono argomenti di puro merito con i quali, peraltro, neanche si
confrontano adeguatamente con la motivazione delle due conformi sentenze di
merito – il cui corpo argomentativo si fonde stante l’uniformità del giudizio nella parte in cui, sia la Corte di Appello che il Tribunale hanno messo in luce che
sicuramente alcune capre nel possesso dei ricorrenti, presentavano i segni della
privazione dei “bottoni auricolari”, mentre altre ne erano prive, senza che si
fosse potuto risalire alla loro provenienza, non attestata da nessun documento e
neanche dai testi difensivi, non ritenuti attendibili dai giudici di merito, con
insindacabile giudizio perché incentrato sulla valorizzazione di prove contrarie e
delle stesse dichiarazioni degli imputati (come l’accertamento del veterinario
sull’azienda agricola del Greco o la mancata indicazione della Barbieri sulla
provenienza di alcune di esse, in numero di sei, da Fortunato e Sicilia).
Non vi è dubbio, quindi, che, almeno con riguardo ai capi di bestiame ai quali era
stato tolto il contrassegno identificativo, secondo la ricostruzione della Corte
intesa a validare quanto accertato alle indagini, il reato presupposto poteva
ritenersi sussistente e, con esso, la consapevolezza, anche a titolo di dolo
2

dalla constatazione che alcune capre dell’azienda agricola gestita dai ricorrenti

eventuale (secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte non contestata dai
ricorrenti, Sez. U, n. 12433 del 2010, Nocera) degli imputati, che non hanno
fornito alcuna giustificazione del possesso, esibito alcun documento dal quale
poteva risalirsi al proprietario delle capre o affermato di avere personalmente
tolto i “bottoni” agli animali, così da scongiurare la sussistenza di ipotesi di reato
meno gravi, come quella di cui all’art. 712 cod.pen., o quella di cui all’art. 349
cod.pen. da loro personalmente commessa.
Infatti, è incontroversa l’affermazione di questa Corte secondo cui integra il reato

colui che, in qualità di titolare di un’azienda agricola, manometta alcuni
contrassegni auricolari di bovini, in quanto le marche auricolari – che
costituiscono il modo esclusivo ed ufficiale, mediante il quale le autorità sanitarie
certificano l’identità di un bovino e possono, per esigenze di tutela alimentare,
seguirne le vicende dalla nascita alla macellazione – rientrano a pieno titolo nel
novero dei sigilli di cui all’art. 349 cod.pen. preordinati ad assicurare l’identità di
un bene, posto che la ratio cui risponde l’apposizione delle marche auricolari agli
animali da consumo alimentare (come le capre del caso di specie), è conforme
alla ratio della norma incriminatrice che è quella di consentire un’attività
amministrativa preordinata al pubblico interesse e non altrimenti praticabile se
non attraverso il mantenimento dell’integrità dei contrassegni e sigilli
identificativi (Sez. 3, n. 2636 del 05/12/2003, dep. 2004, Terziano, Rv. 227592).
2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Non risulta, dalla lettura della sentenza di primo grado, che il Tribunale avesse
applicato al Solazzo alcun aumento per la recidiva, in ordine alla cui sussistenza,
infatti, non si era fatta alcuna questione con l’atto di appello, con il quale non si
era neanche invocata l’attenuante di cui all’art. 648, comma 2 cod.pen., che il
Tribunale aveva escluso con congrua motivazione avuto riguardo al valore ed al
numero dei capi di bestiame ricettati.
Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche al Solazzo, la Corte lo
ha ancorato ai precedenti penali del medesimo.
Con espresso riferimento, quindi, ad uno dei parametri di cui all’art. 133 cod.
pen., dovendosi rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle
circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in
esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene
prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche
un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato
ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o
concedere le attenuanti medesime. (Cass. Sez. 2^ sent. n. 4790 del 16.1.1996
dep. 10.5.1996 rv 204768).
3

di cui all’art. 349 cod.pen. – che qui funge da reato presupposto – la condotta di

Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno alla
Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa degli stessi
ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle
Ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 08 novembre 2017
Il Consigliere estensore
Giuseppe Sgadari

cri(Aq’rki~

Il Presidente
pier llo avigo

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese

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