Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52951 del 13/10/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 52951 Anno 2017
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da DA LODI ALESSANDRO (n. il 09/09/1982),
avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano, III Sezione penale, in data
19/10/2016.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere Adriano
Iasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottoressa Delia Cardia,
che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Udito l’Avvocato Vincenzo Cotroneo – difensore del ricorrente – che ha concluso
chiedendo l’annullamento dell’impugnata sentenza.

OSSERVA:

Con sentenza del 28/04/2016, il Tribunale di Milano dichiarò Da Lodi
Alessandro responsabile del reato di tentata rapina impropria e -applicata la

Data Udienza: 13/10/2017

recidiva- lo condannò alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione ed Euro 600,00
di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose impugnazione, ma la Corte di
appello di Milano, con sentenza del 19/10/2016, confermò la sentenza di primo
grado.
Ricorre per cassazione l’imputato Da Lodi Alessandro, difeso dall’Avvocato
Vincenzo Cotroneo, che deduce: 1) violazione dell’art. 521 c.p. per mancata
correlazione tra imputazione contestata e sentenza; 2) erronea valutazione delle

prove; 3) vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di cui agli
artt. 56 e 628 del c.p. e non già di solo tentato furto; 4) vizi motivazionali in
ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 del c.p.;
5) vizi motivazionali in ordine al mancato recupero della diminuente per la scelta
del rito abbreviato condizionato, richiesta rigettata erroneamente dal Giudice di
primo grado visto l’esito dell’istruzione dibattimentale.
Il difensore dell’imputato conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.

motivi della decisione

1.

Il ricorso è inammissibile.

1,1. Infatti, per quanto riguarda la denunciata violazione dell’art. 521
c.p.p. per mancata correlazione tra imputazione contestata e sentenza, si deve
in primo luogo rilevare che nel capo di imputazione viene descritta la condotta
violenta dell’imputato svoltasi in due diversi momenti. Condotta delineata sulla
base di tutti gli elementi probatori raccolti. Sia il Tribunale, sia la Corte di Appello
proprio in forza di quanto emerge dalle prove raccolte (dichiarazioni testimoniali
e filmato ripreso dall’impianto di videosorveglianza situato all’interno
dell’esercizio commerciale) ritengono sussistente la penale responsabilità del Da
Lodi. Imputato che è stato condannato per il reato di tentata rapina impropria
come unico autore (non lo si è condannato per tale delitto in concorso con la
compagna come si sostiene nel ricorso). I giudici di merito per spiegare quanto
contenuto nel capo di imputazione e cioè: “…. ed immediatamente dopo il Da
Lodi tornava nel negozio dove colpiva con una testata nuovamente l’addetto alla
sicurezza all’altezza del sopracciglio sinistro”, evidenziano ciò che è stato posto

in essere dal ricorrente quando si è accorto che era stata fermata anche la sua
compagna (che dalla visione del filmato appariva svolgere il ruolo di palo). Il
ricorrente non ha, quindi, subito alcuna lesione del suo diritto di difesa avendo
ricevuto contestazione dell’addebito formulato nei suoi confronti e avendo
esercitato con pienezza, con riferimento allo stesso, i suoi diritti difensivi fin

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dall’inizio e cioè dalla lettura degli atti che lo hanno portato a chiedere di
procedere con il giudizio abbreviato condizionato. Orbene quello che rileva per
escludere la violazione dell’art. 521 c.p.p. è che il fatto contestato rimanga lo
stesso e che l’imputato abbia avuto la concreta possibilità di difendersi. Limite
perfettamente osservato nel caso di specie. Dunque la violazione dell’art. 521
c.p.p. è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo,
si sia trovato nella condizione concreta di difendersi in ordine al fatto ritenuto in
sentenza (si vedano: Sez. U, Sentenza n. 16 del 19/06/1996 Cc. – dep.

22/10/1996 Rv. 205619; Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. – dep.
13/10/2010 – Rv. 248051; Sez. 2, Sentenza n. 5329 del 15/03/2000 Ud. – dep.
05/05/2000 – Rv. 215903; si vedano anche Sez. 6, Sentenza n. 33077 del
11/06/2003 Ud. – dep. 05/08/2003 – Rv. 226532; Sez. 6, Sentenza n. 20118 del
26/02/2010 Ud. – dep. 26/05/2010 – Rv. 247330; Sez. 5, Sentenza n. 3161 del
13/12/2007 Ud. – dep. 21/01/2008 – Rv. 238345; Sez. 2, Sentenza n. 38889 del
16/09/2008 Ud. – dep. 15/10/2008 – Rv. 241446; Sez. 5, Sentenza n. 674 del
21/11/2013 Ud. – dep. 10/01/2014 – Rv. 257964). Inoltre, quando nel capo di
imputazione originario siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre
l’imputato in condizione di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza, non
sussiste violazione del principio di doverosa correlazione tra accusa e sentenza
(Sez. 2, Sentenza n. 18729 del 14/04/2016 Ud. – dep. 05/05/2016 – Rv.
266758).
1,2. Si deve, poi, rilevare che già il Tribunale alle pagine 3-4 e 5-6 della
sua sentenza ricostruisce l’accaduto nello stesso modo della Corte di appello (si
vedano le pagine 2 e 3 dell’impugnata sentenza) e proprio sulla base di questa
ricostruzione del fatto il Giudice di primo grado (ma anche quello di secondo
grado) ritiene sussistente la penale responsabilità dell’imputato. Ebbene nei
motivi di appello il Da Lodi in relazione a quanto sopra, si difende affermando
apoditticamente che il primo atto di violenza posto in essere nei confronti della
P.O. non era un vero e proprio atto di violenza e, poi, che il successivo atto di
violenza era stato posto in essere dal ricorrente “solo perché infastidito che degli
uomini, senza la presenza e l’assistenza di altre donne, si fossero chiusi e
intrattenuti da soli con la propria fidanzata”.

Quindi il Da Lodi si limita a

contestare la ricostruzione del Tribunale affermando che non è vero che il
secondo atto di violenza sia stato posto in essere “dall’imputato per assicurare
l’impunità dal reato, propria e della propria fidanzata” (si veda pagina 5 dell’atto
di appello). Dunque non solo l’imputato, come già detto, si è difeso pienamente
sul fatto poi ritenuto in sentenza, ma non ha neppure dedotto la violazione del
principio di correlazione tra accusa e sentenza, violazione che, quindi, viene
dedotta per la prima volta con il ricorso per Cassazione. Orbene questa Corte ha

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affermato che la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza
integra una nullità a regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo
grado, può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado
successivo; ne consegue che detta violazione non può essere dedotta per la
prima volta in sede di legittimità (Sez. 4, Sentenza n. 19043 del 29/03/2017 Ud.
– dep. 20/04/2017 – Rv. 269886).
2.

Per quanto riguarda i motivi di ricorso n. 2 e 3 si deve rilevare che

fornito un esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione sul perché
ritengono pienamente provata la penale responsabilità del ricorrente per il reato
di tentata rapina impropria (si vedano le pagine da 3 a 6 della sentenza di primo
grado e le pagine da 1 a 3 della sentenza di appello). A fronte di ciò l’imputato si
limita a contestare genericamente le conformi decisioni dei giudici di merito
senza neppure evidenziare eventuali vizi di travisamento delle prove. Tra l’altro
nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova,
per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per
omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per
cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen. solo nel
caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato
probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come
oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.
(Sez. 2, Sentenza n. 7986 del 18/11/2016 Ud. – dep. 20/02/2017 – Rv. 269217;
Sez. 5, Sentenza n. 18975 del 13/02/2017 Ud. – dep. 20/04/2017 – Rv.
269906).
3 Infine, è incensurabile la motivazione dei Giudici di merito per quanto
riguarda il trattamento sanzionatorio e il mancato recupero della diminuente per
il giudizio abbreviato.
3,1. In particolare per quanto riguarda il diniego di riconoscere l’attenuante
di cui all’art. 62 n. 4 del c.p. si deve rilevare che entrambi i giudici di merito
hanno correttamente effettuato una valutazione complessiva del pregiudizio
arrecato alla P.O. ed hanno escluso in modo incensurabile che tale pregiudizio
potesse essere considerato di speciale tenuità (si veda pagina 6 della sentenza di
primo grado e pagina 3 della sentenza di secondo grado). La decisione dei giudici
di merito è in perfetta linea con quanto affermato più volte da questa Corte di
legittimità e cioè che ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di
speciale tenuità con riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene
mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare
anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è
stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del

entrambi i giudici di merito hanno correttamente valutato le prove acquisite e

delitto “de quo”, il quale lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà e
l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto.
Ne consegue che, solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di
speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione dell’attenuante, sulla base di un
apprezzamento riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di
legittimità, se immune da vizi logico-giuridici (Sez. 2, Sentenza n. 50987 del
17/12/2015 Ud. – dep. 29/12/2015 – Rv. 265685).
3,2. Per quanto riguarda, poi, la doglianza a pagina 9 del ricorso, relativa

al fatto che i giudici di merito abbiano tenuto conto dei precedenti penali per il
diniego delle attenuanti generiche e anche per l’applicazione della recidiva si
deve sottolineare che ai fini della determinazione della pena, il giudice può
tenere conto di uno stesso elemento che abbia attitudine a influire su diversi
aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più
volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comporti lesione del
principio del “ne bis in idem” (fattispecie in cui, mediante il riferimento ai
precedenti penali, era stato negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche ed applicata la recidiva Sez. 6, Sentenza n. 45623 del 23/10/2013 Ud.
– dep. 13/11/2013 – Rv. 257425; conforme Sez. 2, Sentenza n. 24995 del
14/05/2015 Ud. – dep. 16/06/2015 – Rv. 264378).
3,3. Infine, correttamente i giudici di merito hanno escluso la diminuente
per il rito abbreviato condizionato all’escussione di due testi. Infatti, alle pagine 6
della sentenza di primo grado e 3 della sentenza oggi impugnata viene
giustamente sottolineata la fondatezza del rigetto della richiesta di procedere al
giudizio abbreviato condizionato sia perché non era stata fornita alcuna
indicazione “su quali fossero gli eventuali profili di contraddizione e gli elementi
carenti delle sommarie informazioni già rese”

dai testi, sia per l’esito

dell’istruttoria dibattimentale che ha confermato come non fosse necessaria
alcuna integrazione probatoria (quanto dichiarato dai testi nella fase delle
indagini è stato confermato appieno nel corso dell’istruzione dibattimentale). In
proposito questa Suprema Corte ha affermato che in tema di giudizio abbreviato
condizionato, il giudice di appello deve valutare la legittimità del rigetto della
richiesta presentata in primo grado dall’imputato, verificando, alla luce della
prospettazione operata dal richiedente, la ricorrenza dei requisiti di novità e
decisività della prova richiesta, secondo una valutazione “ex ante”, in
considerazione della situazione esistente al momento della valutazione negativa,
provvedendo ad applicare la diminuente prevista per il rito solo se tale rigetto
non risulti fondato (fattispecie in cui il ricorrente si era limitato a richiedere
l’applicazione del rito abbreviato condizionato all’escussione della persona offesa,
omettendo di indicare che la richiesta era diretta ad acquisire ulteriori elementi

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rispetto a quelli presenti in atti dai quali poter inferire una diversa qualificazione
giuridica del fatto contestato Sez. 4, Sentenza n. 3624 del 14/01/2016 Ud. dep. 27/01/2016 – Rv. 265801). Né incide negativamente su quanto sopra
esposto il fatto che il giudice di primo grado abbia ritenuto la rapina tentata
anziché consumata. Infatti gli elementi sulla base dei quali il Tribunale ha
ritenuto sussistente il tentativo sono gli stessi elementi già contenuti nelle
dichiarazioni rese dai testi nella fase delle indagini preliminari; né, comunque, il

era diretta ad acquisire ulteriori elementi rispetto a quelli presenti in atti dai quali
poter inferire il tentativo di rapina (si veda, in proposito, quanto affermato nella
massima che precede per un caso simile a quello di cui oggi ci si occupa).
4. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di 1.500,00 euro,
così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 a favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 13/10/2017.

ricorrente aveva specificato che la richiesta di giudizio abbreviato condizionato

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