Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52810 del 04/04/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 52810 Anno 2017
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: GALTERIO DONATELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
ESPOSITO GENNARO, nato a Napoli 1’11.1.1950

avverso la sentenza in data 18.2.2015 della Corte di Appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Giulio Romano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv.to Donato Mondelli, sostituto processuale dell’avv.to
Gian Antonio Maggio, che si è riportato ai motivi del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza in data 18.2.2015 la Corte di Appello di Milano ha
integralmen’e confermato la pronuncia resa in primo grado che aveva
condannato Gennaro Esposito alla pena di un anno, un mese e 10 giorni di
reclusione, ritenendolo responsabile del reato di cui all’art. 6 1.401/1989 per aver
contravvenuto al divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono le partite di calcio
disputate dalle squadre del Milan e dell’Inter, impartitogli per la durata di due
anni con un DASPO notificatogli in data 12.8.2009, essendo stato fermato il

Data Udienza: 04/04/2017

6.11.2010 nei pressi dello stadio di San Siro in occasione della partita di
campionato Inter-Brescia.
Avverso la suddetta sentenza l’imputato ha presentato, per il tramite del
difensore, ricorso per Cassazione articolando cinque motivi di ricorso.
Con il primo motivo propone l’eccezione di illegittimità costituzionale
dell’art.6, comma 6 d. Igs. 401/1989 per contrasto con gli artt.2,13, 25 e 27
della Costituzione, sostenendo che la pena minima attualmente prevista, pari ad
un anno di reclusione secondo la modifica apportata dalla novella del 2007, che

al più mite trattamento sanzionatorio antecedente che prevedeva quale minimo
edittale 3 mesi di arresto, sia contraria al principio di ragionevolezza j essendo
sproporzionata rispetto al disvalore del fatto: assume, a fondamento
dell’eccezione, che la natura di pericolo presunto del reato, la modesta portata
offensiva della condotta incriminata, consistente in una mera omissione, e
l’insussistenza di mutamenti del fenomeno sociale sottostante non giustificano
l’inasprimento del mutato trattamento sanzionatorio. Ulteriore indice di
irragionevolezza è costituita dal raffronto con fattispecie di analoga rilevanza,
ovvero concernenti condotte di inottemperanza a provvedimenti dell’autorità
amministrativa, e dunque omogenee, quali i reati di cui agli artt. 650 c.p., artt.2
e 9 L. 1423/1956, art.157 R.D 773/1931 con minimi edittali di gran lunga
inferiori e con i reati societari che, quantunque non omogenei, prevedono
anch’essi sanzioni ben inferiori, senza che la motivazione resa dalla Corte di
Appello per rigettare l’eccezione già svolta in sede di nneritmisulti adeguata non
avendo affrontato i temi del principio di offensività e di rieducazione della pena.
2.

Con il secondo motivo deduce, in relazione alla illogicità della

motivazione, che la condotta incriminata difetta dell’elemento del dolo atteso che
l’imputato si era recato davanti allo stadio di San Siro, distante poche centinaia
di metri dalla propria abitazione, soltanto per avvertire le Forze dell’Ordine che
era impossibilitato a recarsi in Commissariato a causa delle sue precarie
condizioni di salute e che i giudici di appello non hanno indicato quali fossero le
argomentazioni logiche idonee a superare la tesi difensiva, limitalea definirfantasiosa.
3.

Con il terzo motivo sostiene l’insussistenza dei presupposti per

l’applicazione della recidiva ex art.99, comma 4 c.p. non essendo stata formulata
in dibattimento alcuna istanza al riguardo dal PM al momento della precisazione
delle conclusioni, dove aveva richiesto invece l’assoluzione dell’imputato;
sostiene pertanto il ricorrente che attesa la natura circostanziale della recidiva
che, come tale, ne impone la formale contestazione, al giudice di merito era
inibita l’applicazione automatica della suddetta aggravante.

aveva peraltro mutato la natura del reato da contravvenzione a delitto, rispetto

4. Con il quarto motivo deduce che la sussistenza di numerosi precedenti
penali in capo all’imputato non autorizzava l’applicazione della recidiva dovendosi
invece accertare, senza che ciò fosse stato fatto dai giudici di merito, se„stg il
nuovo episodio delittuoso fosse realmente significativo di una spiccata attitudine
a delinquere e, dunque di una maggiore pericolosità sociale dell’imputato.
5.

Con il quinto motivo contesta il diniego delle attenuanti generiche

motivato in forza dell’elemento meramente cartolare dei precedenti penali a
carico dell’imputato omettendo di considerare che nessuna progressione

condannato solo per fatti identici a quelli oggetto del presente procedimento.
Con successiva memoria la difesa ha ulteriormente illustrato la già
sollevata questione di illegittimità costituzionale, sottolineando come la sua
fondatezza debba ritenersi avvalorata dalla recente pronuncia della Consulta
n.236 del 2016 che ha dichiarato incostituzionale l’art.567 c.p. in ragione della
duplice violazione dei principi di offensività e di rieducazione della pena in
relazione al correlato principio di proporzionalità tra la sanzione e l’offesa

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi in esame, costituenti la pedissequa riproduzione delle stesse
doglianze già sollevate con il ricorso in appello e motivatamente rigettate,
devono ritenersi tutti aspecifici posto che né si confrontano con la puntuale
ricostruzione della vicenda effettuata dalla Corte territoriale, né svolgono una
critica argomentata nei confronti delle ragioni di fatto e di diritto esposte nel
provvedimento, omettendo di denunciare un errore logico o giuridico
determinato. Al riguardo occorre invero ribadire che l’impugnazione è
inammissibile per genericità dei motivi se manca ogni indicazione della
correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste
a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del
provvedimento censurato e risolversi in contestazioni del tutto indeterminate,
altrimenti dovendosi considerare le censure svolte, in quanto omettono di
assolvere la tipica funzione di una critica ragionata della sentenza oggetto di
ricorso, soltanto apparenti e perciò conducenti, attesa la manifesta carenza di
una censura di legittimità in relazione al disposto dell’art.581 lett.c) cod. proc.
pen., all’inammissibilità secondo quanto previsto dall’art.591, comma 1, lett.c)
cod. proc. pen (ex multis Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007 – dep. 10/09/2007,
Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 4, n.18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012 -,
Pezzo Rv. 253849).
In ordine alla preliminare eccezione di incostituzionalità dell’art.6 d. 1gs.
401/1989, così come modificato dalla 1.41/2007 con riferimento agli artt. 3, 13,

3

criminosa era ascrivibile all’imputato che negli ultimi cinque anni era stato

25 e 27 Cost. per irragionevolezza dell’inasprimento del trattamento
sanzionatorio rispetto al testo previgente, corretta deve ritenersi la censura di
manifesta infondatezza cui è pervenuta la Corte distrettuale. Al riguardo occorre
rilevare che in tanto è profilabile una violazione da parte del legislatore del
principio di ragionevolezza nella determinazione della cornice edittale di un
illecito penale – violazione dalla quale soltanto può discendere, presupponendosi
in tal caso un mancato adeguamento della pena alle effettive responsabilità
personali ed al contempo il mancato assolvimento da parte del sistema

Stato, un conseguente vulnus al principio di offensività e di rieducazione della
pena – in quanto si prospetti un’irragionevolezza cd. intrinseca della norma
censurata, ovvero un’incoerenza normativa rispetto al trattamento riservato
dall’ordinamento a condotte simili o identiche, anch’esse penalmente sanzionate.
Mentre le disposizioni indicate dal ricorrente come

tertia comparationis

ovverosia il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità ex art.650 c.p.,
norma in ogni caso di carattere espressamente residuale, il rimpatrio con foglio
di via obbligatorio ex art.157 RD 773/1931, norma non più in vigore in quanto
abrogata dall’art. 2 della legge 27 dicembre 1956 n. 1423 e questa, a sua volta
disciplinata ex novo dall’art.75 d. lgs. 159/2011, ed i reati societari, aventi
natura plurioffensiva, venendo comunque con essi tutelati sia gli interessi
patrimoniali interni dei soggetti coinvolti nella compagine societaria, sia il
regolare funzionamento del mercato – sono prive del necessario requisito di
omogeneità afferendo comunque a disposizioni aventi ad oggetto la tutela di beni
giuridici del tutto differenti da quello del corretto svolgimento di manifestazioni
sportive che l’art.6 d. Igs. 401/1989 è volto a presidiare, come già diffusamente
argomentato dalla Corte territoriale, per contro la eccepita sproporzione tra
sanzione ed offesa in relazione all’irragionevolezza intrinseca della norma può
essere prospettata all’esclusiva condizione che la cornice edittale si ponga in
stridente contrasto con la mutata rilevanza o percezione dei valori sociali,
culturali, ambientali che la norma penale è diretta a tutelare, pur sempre
nell’ambito di precisi punti di riferimento, già rinvenibili nel sistema legislativo,
giacché obiettivo del controllo sulla manifesta irragionevolezza delle scelte
sanzionatorie non è alterare le opzioni discrezionali del legislatore, ma ricondurre
a coerenza le scelte già delineate a tutela di un determinato bene giuridico,
procedendo puntualmente, ove possibile, all’eliminazione di ingiustificabili
incongruenze. E’ evidente che sotto tale profilo non possa costituire punto di
riferimento – stante il carattere imprescindibilmente relazionale che deve
rivestire il sindacato costituzionale, che assuma a parametro il criterio della
ragionevolezza, rispetto ad un determinato standard di misura – una norma non
più vigente, qual è il testo dell’art.6 antecedente alle modiche legislative
4

sanzionatorio alla funzione di giustizia e di limite alla potestà punitiva dello

introdotte con la novella del 2007, su cui il ricorrente fonda la violazione del
principio di proporzionalità della pena e di offensività del reato, occorrendo per
contro l’individuazione, ai fini della valutazione della coerenza complessiva
dell’ordinamento, di un termine di raffronto ricavato dalla normativa in vigore,
essendo, come reiteratamente chiarito dalla Consulta e ribadito nella stessa
pronuncia n. 236/2016 indicata nella memoria difensiva, consentito emendare le
scelte del legislatore solo «in riferimento a grandezze già rinvenibili
nell’ordinamento» (sentenze n. 148 del 2016 e n. 22 del 2007).

come prospettata, in un inammissibile sindacato nel merito dell’opportunità o
dell’utilità della scelta lato sensu politica del legislatore, debba ribadirsene la
manifesta infondatezza, come correttamente affermato da parte dei giudici di
merito.
2. Il secondo motivo si sostanzia in censure in ordine alla colpevolezza del
sottoposto del tutto generiche, venendo con esse tralasciato qualsivoglia
confronto argomentativo con le puntuali motivazioni resa dalla Corte milanese
che ha ritenuto, con logica stridente e coerenza di ragionamento, la !abilità
dell’argomento difensivo, rimasto comunque indimostrato, opposto alla
violazione del divieto di frequentazione degli stadi imposto all’imputato dal
DASPO nei giorni in cui venivano disputate le partite dell’Inter e del Milan, tale
comunque da non superare la violazione del correlato obbligo di presentazione
presso il Commissariato di residenza: i motivi di salute addotti dall’imputato non
sono stati infatti ritenuti, non avendogli impedito di recarsi allo stadio, ove
peraltro era stato sorpreso ad infastidire il pubblico, con reazioni scomposte
all’intervento delle forze dell’ordine, atti ad integrare alcuna impossibilità
oggettiva ad adempiere all’obbligo di firma.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato. Ciò che conta ai fini della
necessaria correlazione tra la contestazione e la decisione resa sono i fatti
indicati nell’imputazione, la quale segnando i limiti del devolutum, resta
immodificata rispetto alle conclusioni eventualmente difformi rassegnate all’esito
del dibattimento dal legale rappresentante della pubblica accusa: ne consegue
che nessuna violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e fatto
ritenuto in sentenza, di cui all’art. 521 cod. proc. pen., possa essere determinata
dalla richiesta, al momento dello svolgimento della discussione finale ex art.523
cod. proc. pen., di assoluzione dell’imputato formulata da parte del PM, la quale,
non essendo vincolante per il giudice, non implica alcuna rinuncia alla
contestazione originariamente formulata per rispondere della quale l’imputato è
stato tratto a giudizio.
4. La stessa sorte segue anche il quarto motivo. Le deduzioni di natura
meramente fattuale opposte dalla difesa in punto di applicazione della recidiva

5

Ne consegue che risolvendosi la questione di legittimità costituzionale, per

non scalfiscono la valutazione, compiutamente e logicamente argomentata da
parte della Corte distrettuale, relativamente alla pericolosità dell’imputato: il
riferimento ai plurimi precedenti penali, di cui ben sei specifici trattandosi di
condanne per reati identici a quello per cui si procede, quali indici della negativa
personalità dell’imputato e tali da escludere la pretesa occasionalità della
ricaduta devono ritenersi pienamente idonei, unitamente alla rilevata assenza di
segni di resipiscenza, a giustificare il riconoscimento dell’aumento operato ex
art.99 cod.pen., e a reputare perciò adeguatamente assolto l’onere

Corte Costituzionale n.185/2015.
5. Inammissibile, alla luce delle motivazioni rese dalla Corte di merito in
ordine al diniego delle attenuanti ex art.62-bis cod. pen., è anche il quinto
motivo. Sul punto è appena il caso di evidenziare che trattasi di valutazione di
merito che non può essere rimessa in discussione in questa sede di legittimità,
avendo trovato compiuta motivazione, priva di evidenti vizi logici, in sentenza.
Vale al riguardo rammentare che la concessione delle attenuanti generiche, la cui
finalità è quella di consentire un trattamento di speciale benevolenza in favore
dell’imputato in presenza di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del
fatto quanto della persona che di esso si è reso responsabile, non si configurano
come un diritto automatico dell’imputato (che si può escludere in caso di
elementi negativi di valutazione), ma al contrario presuppongono il
riconoscimento, in positivo, di elementi tali da giustificare la diminuzione della
pena. Avendo i giudici di merito escluso la configurabilità della pretesa
occasionalità della ricaduta nel reato in ragione dei numerosi precedenti penali
specifici dell’imputato, in sé valevoli anche come elementi negativi ostativi al
riconoscimento del beneficio, così come la rilevanza delle eccepite condizioni di
salute posto che le stesse non gli avevano precluso di porre in essere la condotta
criminosa ascrittagli essendosi recato allo stadio in violazione dello specifico
obbligo di frequentazione impostogli dal DASPO, deve ritenersi che la mancanza
di ragioni emergenti dagli atti processuali, atte a giustificarne la concessione,
integri di per sé l’onere motivazionale richiesto ai fini del diniego (Sez. 3, n. 9836
del 17/11/2015 – dep. 09/03/2016, Piliero, Rv. 266460).
Non sussistendo pertanto i presupposti per invocare l’intervento di questa
Corte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna
del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e
di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

6

motivazionale in ragione del mutato panorama conseguente alla pronuncia della

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende

Così deciso il 4.4.2017

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