Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52807 del 10/11/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 52807 Anno 2017
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LO MOUSTAPHA nato il 03/01/1977

avverso l’ordinanza del 30/03/2017 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA
VETERE
sentita la relazione svolta dal Consigliere ADET TONI NOVIK;
lette/sere le conclusioni del PG Lt1,1
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Data Udienza: 10/11/2017

RILEVATO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con ordinanza del 30 marzo 2017, il Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere, in funzione di giudice dell’esecuzione – adito da Lo Moustapha ex art. 673
cod. proc. pen.- ha rigettato la richiesta di revoca delle sentenze di condanna
emesse dal Tribunale di Napoli in data 27 settembre 2007 e dal Tribunale di
Santa Maria Capua Vetere il 18/9/2007 per i reati di cui agli artt. 171 ter lett. c)
Legge n. 633/1941 e 648 cod. pen., in conseguenza della pronuncia della Corte

della decisione, richiamati i contenuti di quella pronuncia, il giudice riteneva che
l’esclusione della punibilità era prevista solo per l’ipotesi di cui all’art. 171 ter
lett. d) legge n. 633/1941, laddove il richiedente, come si desumeva dalle
sentenze di merito era stato condannato non per la vendita di materiale sonoro e
visivo privo del contrassegno SIAE, ma per la riproduzione abusiva o illecita degli
audiovisivi. Ciò comportava il rigetto della richiesta di revoca anche in relazione
al delitto di ricettazione, sia perché la modifica della norma esterna alla
fattispecie incriminatrice non toglieva rilevanza al fatto che andava valutato al
momento in cui era stata posta in essere la condotta tipica, sia perché il reato
presupposto era l’illecita riproduzione di supporti magnetici.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto personalmente ricorso per cassazione
Lo, deducendo violazione di legge e mancanza, contraddittorietà, illogicità della
motivazione. Afferma il ricorrente che le sentenze dovevano essere revocate in
quanto egli era stato condannato per detenzione di supporti CD e DVD privi del
contrassegno SIAE; conseguentemente, essendo venuto meno il reato
presupposto, non era più configurabile il reato di ricettazione. Il giudice
dell’esecuzione aveva proceduto ad una interpretazione in mala parte delle
sentenze di condanna.

3. Il Procuratore generale presso questa Corte nella sua requisitoria scritta ha
chiesto il rigetto del ricorso.

4. Il ricorso è manifestamente infondato sulla base delle argomentazioni che
seguono.
Va osservato che la I. n. 633 del 1941, art. 181 bis, al comma 1 prevede da
parte della SIAE (Società Italiana degli autori ed editori) l’apposizione di un
contrassegno su tutte le opere destinate al commercio. Il comma 4 prevede che
“I tempi, le caratteristiche e la collocazione del contrassegno sono individuati da
un regolamento di esecuzione da emanare con decreto del Presidente del
2

di Giustizia Europea 8.11.2007, causa n. C-20/05, ric. Schwibbert. A ragione

Consiglio dei Ministri entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dalla
presente disposizione, sentite la SIAE e le associazioni di categoria interessate,
nei termini più idonei a consentirne l’agevole applicabilità, la facile visibilità e a
prevenire l’alterazione e la falsificazione delle opere. Fino alla data di entrata in
vigore del predetto regolamento, resta operativo il sistema di individuazione dei
tempi, delle caratteristiche e della collocazione del contrassegno determinatosi
sotto la disciplina previgente…”. In attuazione di tale disposizione è stato
emanato il D.P.C.M. 11 luglio 2001, n. 338, modificato con D.P.C.M. del 25

Sez. 3, in data 8 novembre 2007, nel procedimento C-20/05 Schwibbert, dopo
avere premesso che la previsione dell’apposizione di un contrassegno costituisce
una regola tecnica, ha stabilito che la normativa sul contrassegno in questione,
essendo entrata in vigore dopo la direttiva del Consiglio del 28 marzo 1983 n
83/189/CE, modificata con la direttiva 98/34, la quale prevedeva una procedura
d’informazione alla Commissione Europea nel settore delle norme e delle
regolamentazioni tecniche, doveva essere preceduta dalla procedura
d’informazione disciplinata dalla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio
del 22 giugno 1998 (Direttiva n 98/34/CE) e che l’omessa comunicazione alla
Commissione, rendeva la regolamentazione relativa al contrassegno inopponibile
ai privati. Sulla base di tale decisione da parte di questa Corte si è statuito che in
tema di diritto d’autore, la non opponibilità ai privati della normativa sul
contrassegno SIAE, quale effetto della mancata comunicazione della stessa alla
Commissione Europea in adempimento della normativa comunitaria relativa alle
“regole tecniche”, nel senso affermato dalla Corte di Giustizia CE, comporta il
venir meno unicamente dei reati caratterizzati dalla sola mancanza del
contrassegno suddetto, continuando dunque ad essere vietata e sanzionata
penalmente qualsiasi attività che comporti l’abusiva diffusione, riproduzione o
contraffazione delle opere dell’ingegno (cfr. Sez. 3, 3.9.2008. n. 34555, Rv
240753 e da ultimo Sez. III, n. 23678/2016, Rv. 267347). Inoltre, questa Corte
ha affermato che l’inopponibilità derivante dalla mancata comunicazione alla
Commissione UE della regola tecnica riguardante l’apposizione del contrassegno
SIAE, nelle fattispecie di reato che ne prevedono la mancanza quale elemento
costitutivo, vale per tutti i reati commessi sino al 21 aprile 2009, data di entrata
in vigore del d.P.C.M. 23 febbraio 2009, n. 31, con cui è stato approvato il testo
definitivo della regola tecnica oggetto del procedimento di notifica alla
Commissione n. 2008/0162/I. (Sez. 3, 23.9.2009 n. 37067, Rv 244962).

5. Nel merito, come correttamente affermato dal giudice dell’esecuzione, sia la
sentenza della Corte di appello di Napoli del 17/11/2008, che ha confermato
3

ottobre 2002, n. 296. Sennonché la Corte di Giustizia delle Comunità Europee,

quella del Tribunale di Napoli del 27/7/2007, che quella del Tribunale di Santa
Maria Capua Vetere del 18/9/2007 erano relative al reato di cui all’art. 171 lett.
c) della L. 633/1941, reato per cui Lo Moustapha era stato condannato, sicchè la
richiesta di revoca non aveva nessun fondamento. Le contrarie affermazione che
si leggono nel ricorso sono smentite per tabulas dalla lettura delle cennate
decisioni.

6. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al

della sanzione pecuniaria che si ritiene equo quantificare in 2.000 euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 10 novembre 2017

pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende

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