Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52801 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 52801 Anno 2017
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: APRILE STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PUCA PASQUALE nato il 09/07/1964 a SANT’ANTIMO

avverso l’ordinanza del 10/01/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA
sentita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE;
lette le conclusioni del PG Roberto ANIELLO che ha concluso per
l’inammissibilità;

Data Udienza: 07/11/2017

RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila
ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di Puca Pasquale avverso l’ordinanza
del Magistrato di sorveglianza dell’Aquila del 8 giugno 2016 che aveva dichiarato
inammissibile l’istanza di revoca della declaratoria di delinquenza abituale e di
applicazione della misura di sicurezza dell’assegnazione a una casa di lavoro
ordinata con una precedente ordinanza del 12 giugno 2014, ritenendo che
l’intervenuto annullamento da parte della Corte di cassazione della sentenza di

sociale non costituisce una mutazione dello «stato degli atti» che aveva
determinato l’applicazione della misura di sicurezza, essendo la stessa basata
anche su altri elementi.

2. Ricorre Puca Pasquale, a mezzo dei difensori avv. Saverio Senese e avv.
Massimo Vetrano, che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata,
denunciando:
– il vizio della motivazione con riguardo alla memoria difensiva depositata in
udienza con la quale denunciava la violazione del bis in idem con conseguente
revoca dell’ordinanza del Magistrato di sorveglianza dell’Aquila del 12 giugno
2014 che non aveva considerato la dichiarata cessazione della pericolosità
sociale a opera dell’ordinanza 5 settembre 2000 del Magistrato di sorveglianza di
Modena;
– la violazione di legge, in relazione all’articolo 666, comma 2, cod. proc.
pen., per essere stata dichiarata erroneamente inammissibile l’istanza di revoca
della misura di sicurezza perché riproducente altra istanza già respinta;
– la violazione di legge in relazione all’articolo 5 della Convenzione EDU,
mancando il nesso di causalità tra la condotta, risalente a oltre 20 anni fa, e la
limitazione della libertà personale.
2.1. Osserva, con i motivi aggiunti depositati il 31 agosto 2017, che
l’ordinanza è nulla per violazione di legge, in riferimento agli articoli 103, 109,
199, 205, 206 n. 3, 216 cod. pen., 25 Cost., e per vizio della motivazione, per
essere stata applicata la misura di sicurezza nonostante fosse stata
preventivamente revocata la dichiarazione di abitualità, senza che fossero
sopravvenute condanne o altri titoli definitivi, essendo anzi stata annullata la
sentenza di condanna all’ergastolo.
Inoltre, il ricorrente si duole che la misura di sicurezza sia stata applicata
senza un provvedimento del giudice della cognizione e in assenza di nuovi
elementi rispetto a quelli già valutati da Magistrato di sorveglianza di Modena in
data 5 settembre 2000.
2

condanna all’ergastolo per un fatto considerato quale sintomo della pericolosità

2.2. Con memoria depositata in data 3 novembre 2017 il difensore esprime
le proprie considerazioni in merito alla requisitoria del Procuratore generale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile.

di sicurezza con ordinanza pronunciata da Magistrato di sorveglianza dell’Aquila
in data 12 giugno 2014, non impugnata.
Con successiva istanza, l’odierno ricorrente ha chiesto al Magistrato di
sorveglianza dell’Aquila la revoca della misura di sicurezza, deducendo vizi
originari del provvedimento, nonché il venire meno, a causa dell’annullamento
della sentenza della Corte d’assise di appello di Napoli che aveva condannato il
ricorrente all’ergastolo, dell’elemento sul quale il Tribunale di sorveglianza aveva
fondato la dichiarazione di pericolosità sociale.

2. Va, innanzitutto, precisato che le doglianze concernenti la violazione del
bis in idem, costituito dall’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Modena del
5 settembre 2009, rispetto all’ordinanza applicativa della misura di sicurezza
pronunciata da Magistrato di sorveglianza dell’Aquila il 12 giugno 2014, e quelle
concernenti il giudizio di pericolosità ribadito con l’ordinanza del Tribunale di
sorveglianza dell’Aquila in data 17 febbraio 2015, doglianze già formulate in
occasione del ricorso avverso detta ordinanza, sono state esaminate e giudicate
inammissibili da questa Corte (Sez. 7, Ordinanza n. 37683, del 26/02/2016),
tanto che ogni questione, sul punto, è preclusa.
È il caso di notare, anche allo scopo di valutare la temerarietà dell’iniziativa
giudiziaria, che l’indicata ordinanza di questa Corte Suprema è stata
irritualmente impugnata con un duplice ricorso straordinario, ai sensi dell’articolo
625-bis cod. proc. pen., dichiarato inammissibile da Sez. 5, Sentenza n. 21837
del 15/02/2017 e da Sez. 5, Sentenza n. 21207 del 3/3/2017.

3. Tanto premesso, resta da esaminare la questione concernente il novum
introdotto, con l’istanza di revoca decisa dal Magistrato di sorveglianza con
ordinanza del 8 giugno 2016, a seguito dell’annullamento con rinvio disposto da
questa Corte Suprema (sentenza Sez. 1 n. 51.840 del 3/5/2016) della sentenza
3

Appare utile premettere che il ricorrente si trova sottoposto alla misura del

che aveva condannato all’ergastolo il ricorrente, elemento che è stato valutato
nell’ambito del giudizio di attualità della pericolosità sociale del quale si chiede la
revoca.
3.1. È opportuno precisare, in merito all’ammissibilità dell’istanza di revoca
della misura di sicurezza, che il principio ne bis in idem assume portata generale

conflitti positivi di competenza (art. 28 cod. proc. pen.), nel divieto di un
secondo giudizio (art. 649 cod. proc. pen.), nella disciplina dell’ipotesi di una
pluralità di sentenze per il medesimo fatto (art. 669 cod. proc. pen.).
La portata generale del principio

ne bis in idem

ha legittimato la sua

applicazione analogica con riferimento alle ordinanze del giudice dell’esecuzione
nei casi in cui esso costituisca l’unico strumento possibile per eliminare uno dei
due provvedimenti emessi per lo stesso fatto contro la stessa persona (Sez. 1,
Sentenza n. 45556 del 15/09/2015, P.M. in proc. Turchetti, Rv. 265234; in
precedenza Sez. 1, n. 1285 del 20/11/2008, dep. 15/01/2009, Linfeng, Rv.
242750).
È stato, poi, riconosciuto che il divieto di un secondo procedimento davanti
allo stesso giudice trova applicazione anche nel procedimento di sorveglianza
(con riguardo alla liberazione anticipata: Sez. 1, Sentenza n. 34625 del
19/04/2013, Bianco, Rv. 257092; con riguardo alle misure alternative: Sez. 1,
Sentenza n. 14823 del 03/02/2009, Fusco, Rv. 243737). È bene precisare che il
principio in questione è stato applicato nel caso in cui, in diversi procedimenti,
siano stati emessi provvedimenti sul medesimo oggetto.
In forza di tali principi deve ritenersi, in generale, ammissibile la richiesta di
nuova valutazione della pericolosità sociale in dipendenza del mutamento della
situazione di fatto sulla quale si fonda il provvedimento, fermo il rimedio previsto
dall’articolo 666, comma 2, cod. proc. pen..

4. Ciò premesso, il ricorso si limita a contestare genericamente la
motivazione del provvedimento impugnato che, contrariamente a quanto
asserito, ha dedotto la attuale pericolosità sociale sulla base una condanna
(Corte appello di Napoli del 20 ottobre 1999, irrevocabile il 14.1.2003) divenuta
irrevocabile dopo l’emissione dell’ordinanza di revoca della misura di sicurezza
pronunciata dal Magistrato di sorveglianza di Modena in data 5 settembre 2000.
4

nel vigente diritto processuale penale, trovando espressione nelle norme sui

La disposta applicazione della misura di sicurezza, come detto già valutata
da questa Corte (Sez. 7, Ordinanza n. 37683, del 26/02/2016), oltre a trovare
fondamento nell’indicata condanna definitiva, era stata desunta non solo sulla
base della sentenza di condanna all’ergastolo – poi annullata -, ma anche su un
diverso titolo cautelare costituito dall’ordinanza del Giudice per le indagini

condotto alla condanna del ricorrente in primo grado (sentenza del Tribunale di
Napoli in data 28 maggio 2015) alla pena di cinque anni di reclusione (sentenza,
nel frattempo, divenuta irrevocabile in data 31 ottobre 2017 a seguito della
dichiarazione di inammissibilità del ricorso presentato avverso la sentenza della
Corte d’appello di Napoli del 12 settembre 2016).
Il motivo di ricorso è, pertanto, inammissibile poiché non si confronta con la
motivazione del provvedimento impugnato e si limita a riprodurre
argomentazioni già esaminate e ampiamente confutate con valutazione di merito
insuscettibile di sindacato in sede di legittimità.

5. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processuali e, in
mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna
al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura
che si stima equo determinare in euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000 in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 novembre 2017.

preliminari del Tribunale di Napoli nell’ambito di un procedimento che ha

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