Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52798 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 52798 Anno 2017
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: APRILE STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DOMIZI WALTER nato il 06/08/1961 a ROMA

avverso l’ordinanza del 12/12/2016 della CORTE APPELLO di ROMA
sentita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE;
lette le conclusioni del PG Gabriele MAZZOTTA che ha concluso per il rigetto;

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Data Udienza: 07/11/2017

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Roma, in funzione
di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata nell’interesse di Walter
Domizi volta a ottenere la revoca del beneficio della sospensione condizionale
concesso con sentenza della Corte d’appello di Roma in data 24 aprile 1984, in
parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 16 maggio 1980,
irrevocabile il 15 giugno 1984.

Ricorre Walter Domizi, a mezzo del difensore avv. Eleonora Nicla

Moiraghi, che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata, denunciando la
violazione di legge, in relazione agli articoli 168 cod. pen., 657, 674, 665 cod.
proc. pen., per l’inosservanza dell’obbligo di revoca del beneficio della
sospensione condizionale, con conseguente necessità di procedere alla riapertura
del cumulo in esecuzione detraendo i periodi di carcerazione subiti senza titolo
per altra causa.

3. Osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile per bis in idem.
3.1. Il principio ne bis in idem assume portata generale nel vigente diritto
processuale penale, trovando espressione nelle norme sui conflitti positivi di
competenza (art. 28 cod. proc. pen.), nel divieto di un secondo giudizio (art. 649
cod. proc. pen.), nella disciplina dell’ipotesi di una pluralità di sentenze per il
medesimo fatto (art. 669 cod. proc. pen.).
È, quindi, indubbio che nel procedimento di esecuzione opera il principio
della preclusione processuale derivante dal divieto del bis in idem, nel quale,
secondo la giurisprudenza di legittimità, s’inquadra la regola dettata dal secondo
comma dell’art. 666 c.p.p., che impone al giudice dell’esecuzione di dichiarare
inammissibile la richiesta che sia mera riproposizione, in quanto basata sui
«medesimi elementi», di altra già rigettata (Cass. sez. 1, n. 3736 del 15/1/2009,
Anello, Rv. 242533). Con tale limite si è inteso creare, per arginare richieste
meramente dilatorie, un filtro processuale, ritenuto dal legislatore delegato
necessario in un’ottica di economia e di efficienza processuale.
In questa prospettiva emerge la nozione di «giudicato esecutivo», impiegata
in senso atecnico, per rappresentare l’effetto «auto conservativo» di un
accertamento rebus sic stantibus: più correttamente la stabilizzazione giuridica
di siffatto accertamento deve essere designata con il termine «preclusione»,
proprio al fine di rimarcarne le differenze con il concetto tradizionale di giudicato.
Appare, quindi, un dato acquisito, nella giurisprudenza di legittimità, quello
secondo cui è ammissibile la proposizione di un nuovo incidente di esecuzione

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2.

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che si fondi su nuovi elementi, allorquando la precedente richiesta sia stata
respinta.
3.2. Tanto premesso, il ricorso è inammissibile perché ripropone l’identica
questione, già oggetto dell’ordinanza della Corte d’appello di Roma del 30 marzo
2016, oggetto del ricorso per cassazione proposto nell’interesse del medesimo

Il motivo di ricorso, infatti, ha per oggetto la identica questione che, con
sentenza pronunciata da questa Prima Sezione Penale in data 6 giugno 2017 n.
34460/2017, è stata giudicata infondata, essendo stato disposto l’annullamento
della citata ordinanza della Corte d’appello di Roma del 30 marzo 2016, soltanto
con riguardo al periodo di detenzione subito dal 4 giugno 2001 al 10 marzo
2003.
3.3. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processuali e, in
mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna
al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura
che si stima equo determinare in euro 2.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000 in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 novembre 2017.
,

ricorrente.

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