Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52784 del 07/06/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 52784 Anno 2017
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PELLE SEBASTIANO N. IL 07/08/1954
avverso l’ordinanza n. 585/2015 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 10/05/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO
MANCUSO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 07/06/2017

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott.
Giulio Romano, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso
questa Corte, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 09/07/2001, divenuta irrevocabile il

Sebastiano alla pena di 14 anni di reclusione per il reato di cui all’art. 74,
commi 2 e 3, d.P.R. n. 309 del 1990, con la recidiva.
Con istanza al predetto giudice in fase esecutiva, veniva richiesta
nell’interesse del Pelle, richiamando anche gli effetti della sentenza della
Corte costituzionale n. 185 del 2015, la rideterminazione della pena, con
riduzione dell’aumento per la recidiva da 1 anno a 5 mesi di reclusione, in
applicazione dell’art. 99, ultimo comma, cod. pen.

2. La Corte di appello di Reggio Calabria, in funzione di giudice
dell’esecuzione, rigettava l’istanza. Osservava in primo luogo che era
fuori contesto il richiamo alla citata sentenza della Corte costituzionale,
che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 99, quinto
comma, cod. pen., nella parte in cui stabiliva il carattere obbligatorio
dell’aumento per la recidiva per i reati previsti dall’art. 407, comma 2
lett. a), cod. proc. pen. La modifica che aveva previsto detto carattere
obbligatorio, poi dichiarata incostituzionale, era stata introdotta con I. n.
251 del 2005 e, quindi, non aveva trovato applicazione nel processo di
cognizione concluso con sentenza di condanna irrevocabile il 16/01/2002.
Il giudice dell’esecuzione notava, poi, che doveva escludersi l’illegalità
della pena, perché comunque essa era stata determinata complessivamente – entro i limiti edittali previsti dagli artt. 74, commi 2 e
3, d.P.R. n. 309 del 1990 e dall’art. 99 cod. pen. Non era convincente, in
proposito, l’assunto difensivo secondo il quale l’invocata rideterminazione
dell’aumento per la recidiva in fase esecutiva sarebbe stato imposto dal
fatto che il giudice della cognizione, nonostante l’unico precedente
riportato dal Pelle fosse la condanna alla pena di 5 mesi di reclusione
inflittagli con sentenza della Corte di appello di Bologna del 14/05/1980,
aveva fissato detto aumento in 1 anno di reclusione in violazione dell’art.
99, quinto comma, cod. pen., in base al quale l’aumento per la recidiva

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16/01/2002, la Corte di appello di Reggio Calabria condannava Pelle

non può essere superiore al cumulo delle sanzioni penali risultante dalle
condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo.

3. L’avv. Marino Maurizio Punturieri, in difesa del Pelle, ha
proposto ricorso per cassazione con atto in cui deduce, richiamando l’art.
606, comma 1 lett. b), e), cod. proc. pen., violazione di legge e
omissione, carenza, contraddittorietà della motivazione con riferimento

precedentemente riportato soltanto una condanna alla pena di 5 mesi di
reclusione, la Corte di appello di Reggio Calabria, nel fissare l’aumento
per la recidiva in 1 anno nella sentenza in data 09/07/2001, divenuta
irrevocabile il 16/01/2002, era incorsa in violazione dell’art. 99, quinto
comma, cod. pen., in base al quale l’aumento per la recidiva non può
essere superiore al cumulo delle sanzioni penali risultante dalla condanne
precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo. Si impone
quindi, in sede esecutiva, il rilievo della illegalità della pena. Il ricorrente
richiama la giurisprudenza di legittimità e, in particolare, le sentenze delle
Sezioni Unite n. 47766 del 2015 e n. 6240 del 2014, nonché la sentenza
di questa Sezione n. 20466 del 2015.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. La giurisprudenza di legittimità ha spiegato che l’illegalità
della pena, derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del
giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, ove non sia
rilevabile d’ufficio in sede di legittimità per tardività del ricorso, è
deducibile davanti al giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’art. 666
cod. proc. pen. Così la sentenza Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015 – dep.
03/12/2015, Butera e altro, Rv. 265108 – puntualizza: “In particolare si è
ribadito che in sede esecutiva l’illegittimità della pena può essere rilevata
solo quando la sanzione inflitta non sia prevista dall’ordinamento giuridico
ovvero quando, per specie e quantità, risulti eccedente il limite legale, ma
non quando risulti errato il calcolo attraverso il quale essa è stata
determinata – salvo che sia frutto di errore macroscopico – trattandosi in
questo caso di errore censurabile solo attraverso gli ordinari mezzi di
impugnazione della sentenza. In buona sostanza la condanna a pena
illegittima, contenuta in una sentenza non ritualmente impugnata, non

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all’art. 99 cod. pen. Il ricorrente sostiene che, avendo il Pelle

può essere rettificata in sede esecutiva, salvo che sia configurabile
un’ipotesi di assoluta abnormità della sanzione; la pena sia frutto di un
errore macroscopico non giustificabile e non di una argomentata, pur
discutibile, valutazione; la sanzione sia oggetto di palese errore di
calcolo, in grado di comportarne la sostanziale illegalità. E ciò in quanto il
principio di legalità della pena, enunciato dall’art. 1 cod. pen. ed
implicitamente dall’art. 25, secondo comma, Cost., informa di sé tutto il

Tale principio, che vale sia per le pene detentive sia per le pene
pecuniarie, vieta che una pena che non trovi fondamento in una norma di
legge, anche se inflitta con sentenza non più soggetta ad impugnazione
ordinaria, possa •avere esecuzione, essendo avulsa da una pretesa
punitiva dello Stato. L’applicazione di pena illegale, per errore nella
determinazione o nel calcolo di essa, non configura un caso di inesistenza
giuridica o abnormità del provvedimento che la dispone, e, ove la sua
determinazione sia frutto non di argomentata valutazione, ma di palese
errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, se ne
impone la rettifica o la correzione da parte del giudice dell’esecuzione,
adito ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen., nel rispetto dei principi
contenuti nell’art. 25, secondo comma, Cost. e nell’art. 7 CEDU, i quali
escludono la possibilità d’infliggere una pena superiore a quella
applicabile al momento in cui il reato è stato commesso (Sez. 1, n. 14677
del 20/01/2014, Medulla, cit.)”.
1.2. Nel caso ora in esame non è configurabile alcuna delle ipotesi
in cui la rideterminazione della pena è ammessa in sede esecutiva.
Sebbene sia pacifico che la frazione di pena imputata dal giudice della
cognizione ad aumento per la recidiva è stata indicata nella sentenza di
condanna in misura superiore al limite stabilito dall’art. 99, quinto
comma, cod. pen., è anche certo che ciò non ha comportato il
superamento del limite edittale nella determinazione della pena finale
inflitta, stabilita da detto giudice in anni 14 di reclusione, quindi in misura
comunque inferiore al limite edittale previsto dall’art. 74, commi 2 e 3,
d.P.R. n. 309 del 1990, in relazione all’art. 23 cod. pen.
L’errore nel calcolo della evidenziata frazione intermedia, non
avendo comportato un palese errore nella determinazione della pena
finale con superamento del limite in sede di cognizione, non può
condurre alla rideterminazione in sede esecutiva della pena inflitta. Il
giudice dell’esecuzione ha correttamente respinto l’istanza a ciò rivolta.

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sistema penale e non può ritenersi operante solo in sede di cognizione.

2. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in
applicazione dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. Ai sensi dell’art. 616
cod. proc. pen., il ricorrente va condannato al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro 1.500,00 alla Cassa
delle ammende, non essendo dato escludere – alla stregua del principio di
diritto affermato da Corte cost. n. 186 del 2000 – la sussistenza della

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di
1.500,00 euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 7 giugno 2017.

ipotesi della colpa nella proposizione dell’impugnazione.

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