Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52781 del 09/03/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 52781 Anno 2017
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: SARACENO ROSA ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAVALIERE ASSUNTA N. IL 05/11/1957
avverso l’ordinanza n. 363/2016 TRIB. LIBERTA’ di SALERNO, del
18/07/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA ANNA
SARACENO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 09/03/2017

Uditi:
– il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Luca Tampieri, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
– il Difensore dell’indagato, avvocato Lucio Basco, che ha insistito per
l’accoglimento dell’impugnazione.

1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale del riesame di Salerno, decidendo
a seguito di annullamento, ha rigettato l’appello proposto, nell’interesse di
Cavaliere Assunta, avverso l’ordinanza, 10 ottobre 2015, con la quale il G.i.p del
Tribunale in sede aveva disposto nei suoi confronti la misura interdittiva della
sospensione per mesi nove dall’esercizio del pubblico servizio.
1.1 Alla Cavaliere, all’epoca dei fatti addetta alla cancelleria dell’ufficio del
Giudice di pace di Amalfi, sono attribuiti i reati di falso ideologico per induzione e
di truffa aggravata dall’abuso di poteri inerenti alla propria funzione, per avere
eseguito acquisti di beni personali, alterando le fatture e sostituendo le tipologie
merceologiche, in modo da farne gravare il costo sulla Corte d’appello di Salerno.
1.2 La quinta sezione di questa Corte, con sentenza del 18.4.2016, ha
annullato con rinvio per nuovo esame il provvedimento del Giudice dell’appello
cautelare, emesso in data 15.12.2015, confermativo dell’ordinanza applicativa
della misura, ritenendo non completamente giustificato il ritenuto pericolo di
recidiva, apprezzato nel profilo della sua concretezza, ma non anche della sua
attualità, alla luce delle mutate mansioni della ricorrente, nelle more assegnata
presso altro ufficio giudiziario, come operatore giudiziario Area F2, ex operatore
81, con compiti di mera ricezione degli atti presso l’ufficio Re.Ge.
1.3 A ragione della decisione, il Tribunale ha osservato che anche presso il
nuovo ufficio di destinazione la Cavaliere avrebbe occasione di compiere dei falsi
ideologici in atti pubblici in cambio di denaro o altra utilità, falsificando la data di
ricezione degli atti ovvero inducendo in errore sulla data di ricezione il
funzionario dotato del corrispondente potere certificativo.
2. Ricorre la Cavaliere, a mezzo del difensore, chiedendo l’annullamento
senza rinvio dell’ordinanza impugnata.
Denunzia violazione dell’art. 292 cod. proc. pen., comma 2, lett. c e c-bis,
nonché carenza e manifesta illogicità della motivazione.
Lamenta che il Tribunale, per giustificare l’attualità del pericolo, “si è
avventurato in una laboriosa ed inverosimile ricostruzione delle competenze
spettanti all’operatore giudiziario”, che si esauriscono nella mera e materiale
1

Ritenuto in fatto

attività di ricezione degli atti, spettando al funzionario dotato di potere
certificativo attestare il deposito dell’atto. Illogico è il richiamo ad una prassi
irregolare invalsa in molti uffici giudiziari, in base alla quale anche gli operatori
provvedono al deposito formale degli atti. È come sostenere che l’indagata, sulla
base delle sue effettive mansioni, non può reiterare il reato, ma potrebbe farlo in
virtù di una prassi contra legem. Incongruamente, pertanto, è stata ravvisata
l’attualità del pericolo, sebbene non vi siano occasioni e circostanze favorevoli

Considerato in diritto

Il ricorso va dichiarato inammissibile, risultando dallo stesso testo del
provvedimento impugnato che la misura è divenuta inefficace alla data del
22.7.2016.
1. Secondo costante insegnamento di questa Corte ( tra le molte: Sez. 6 n.
4180 del 3/11/1994 n. 4180, Isaia, Rv. 200832; Sez. 4 n. 14422 del
24/11/2005, Riccardi, Rv. 234023; Sez. 6 n. 12816 del 19/01/2006, Bertolucci,
Rv. 233731; Sez. 6 n. 24637 del 21/04/2006, Casu, Rv. 234734 ), l’interesse
alla decisione sull’appello cautelare deve ritenersi caducato dalla intervenuta
revoca o cessazione di efficacia della misura interdittiva, atteso che la
permanenza dell’interesse alla ridetta decisione non può prescindere da effettivi
caratteri di concretezza e attualità, che nel caso di specie non è dato ravvisare,
la stessa ricorrente, che ha presentato l’impugnazione dopo la data di cessazione
di efficacia della misura, astenendosi dall’enunciare i referenti di simili potenziali
danni. Laddove è palese che alcun nocumento può derivare all’attività e alla
stessa immagine professionali dell’impugnante dalla inefficace misura interdittiva
e non piuttosto ed unicamente dalla pendenza, effettiva, del procedimento
penale nei suoi confronti per i reati a suo carico ipotizzati. Il risalente, e in
sostanza isolato, orientamento di legittimità (Sez. 6 n. 3928 del 14/10/1997,
Spadafora, Rv. 210311) che ha affermato un persistente interesse impugnatorio
pur dopo la revoca della misura interdittiva deve considerarsi, infatti,
ampiamente superato dai più recenti e stabili arresti giurisprudenziali di questa
Corte, alla cui stregua non può non ribadirsi che la sopravvenuta inefficacia di
una misura cautelare interdittiva elide la persistenza di un concreto e
giuridicamente significativo interesse all’impugnazione contro il provvedimento
applicativo della misura, anche sotto ipotetici profili riparatori (coltivabili ex art.
314 cod. proc. pen. soltanto con riguardo a misure coercitive personali), di guisa
che nessun residuo negativo effetto giuridico extrapenale è ravvisabile (salvo
quello – del tutto diverso e autonomo- della perdurante pendenza del
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alla sua reiterazione.

procedimento penale) per colui al quale sia stata applicata la misura interdittiva
venuta meno o cessata nel corso del procedimento incidentale di appello.
Consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta
carenza di interesse.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Il consigliere

tensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2017

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